I ARCHIVIO

REMBRANDT | ACQUEFORTI

Dal 23.05.2020 al 31.07.2020

Rembrandt

Acqueforti

Malgrado la sua virile energia, Rembrandt ha conservato la sensibilità che conduce nei sentieri del cuore di cui ha frugato tutte le pieghe

A cura di Arialdo Ceribelli

Se è vero, come affermava Baudelaire, che l’incisione è il mezzo con il quale un artista realizza pienamente se stesso, nel quale trasferisce tutte le sue capacità, attraverso il quale è possibile valutare le sue doti tecniche e stilistiche, sicuramente Rembrandt ne fu uno dei migliori interpreti. Nei segni graffianti delle puntesecche così come nella sapiente equilibratura di luci e ombre, ottenuta con più morsure in acido per le molte acqueforti, troviamo il vero volto di quest’uomo, che tanto amò la sua arte da indagare con essa l’animo dei personaggi ritratti come quello dell’epoca in cui visse.

MARCELLO SILVESTRE | La città, l’uomo, l’anima e il tempo

Dal 23.05.2020 al 31.07.2020

Marcello Silvestre

Premio Biffi Arte 2018

La città, l’uomo, l’anima e il tempo

Bronzi, resine, foglia d’oro e polveri di ruggine

Le mie opere raccontano la città attraverso le emozioni, i profumi, i sapori e i rumori proprio
come faceva Calvino nelle sue “Città Invisibili”. Racconto il rapporto indissolubile tra uomo e città scolpendo corpi, gambe e braccia su cui faccio nascere torri e case, in un flusso continuo, in un intreccio di linee morbide, triangoli e spigoli. Racconto l’uomo e i suoi sentimenti cristallizzati in figure ricoperte dalla patina del tempo, quella patina che ricopre i muri, i cancelli e le grondaie che accompagnano i nostri passi mentre viviamo nelle nostre città. Si può parlare della città in molti modi, io lo faccio attraverso sogni onirici e materia che invecchia nel tempo come ogni pietra e ogni cuore fa ogni giorno. 

ALESSANDRA RENZI | PANTA REI

Dal 25.01.2020 al 01.03.2020

Antico Nevaio

ALESSANDRA RENZI

Panta rei

Presentazione di Alessandro Malinverni

Le ore e i colori dell’anima

“Guardare la vita in faccia. E conoscerla per quello che è. Al fine, conoscerla, amarla per quello che è. E poi metterla da parte. Per sempre gli anni che abbiamo trascorso… per sempre gli anni… per sempre l’amore… per sempre le ore…”. Con queste parole e si conclude il film “Le ore” di Stephen Daldry, tratto dal romanzo di Michael Cunningham. Il titolo del libro e del film è quello che avrebbe dovuto avere il romanzo della Woolf, poi intitolato La signora Dalloway. Durante un incontro a casa di Alessandra Renzi (in arte “Sassa”), così British nei suoi innumerevoli e accoglienti piani, forse anche grazie alla luce tersa di un mattino d’estate, ho ritrovato nelle sue opere gli stessi stati d’animo evocati dalla pellicola e dal romanzo: la perdita, la rabbia, la solitudine, ma anche la gioia, l’entusiasmo, l’amore per i propri cari. Come il regista e lo scrittore hanno indagato le emozioni dei diversi personaggi, così Sassa dà forma e sostanza a quelle che scandiscono le ore della sua esistenza. Innumerevoli stati d’animo, che denotano una personalità complessa e sfaccettata, sono i protagonisti di tavole e tele, a volte in contemporanea – poiché il mutare di uno stato d’animo nell’altro è talora repentino –, a volte protagonisti solinghi, sempre orchestrati con abilità ed eleganza. Ogni quadro è un gioco di pennellate materiche amalgamate a materiali poveri, con un effetto volutamente “scultoreo” che annulla limite stesso della pittura: la bidimensionalità. Reti americane per imballare le zolle, sacchi di caffè e sementi, corde e spaghi, fili metallici, cortecce, cartoni e tessuti creano una terza dimensione, che induce l’osservatore a toccare l’opera, in un’esperienza non solo visiva ma anche tattile. Le ampie dimensioni dei quadri rivelano poi il desiderio di trasmettere un messaggio preciso, pur attraverso un linguaggio astratto, che non rinnega però alcune soluzioni figurative, sebbene assai stilizzate. Un utilizzo dei colori, dei materiali e del segno fortemente connotato in chiave espressionista, con stilemi che accentuano i valori emozionali ed espressivi dell’opera stessa alla ricerca non della descrizione mimetica della realtà quanto della corrispondenza con il modo di sentire dell’artista nell’atto stesso di creare. Opere scaturite dal bisogno di esprimere le proprie emozioni, sotto l’impulso di un’ispirazione libera di esplorare nuove soluzioni formali e cromatiche, in un percorso artistico che è stato ed è anche terapeutico.

“La signora Dalloway disse che i fiori li avrebbe comprati lei”, così inizia il romanzo di Virginia Woolf, uno degli incipit più straordinari della lettura occidentale del Novecento. In una semplice frase è condensato il desiderio di prendere la propria vita in mano e viverla sino in fondo, almeno per un giorno, scegliendo le essenze e i colori che ne faranno da sfondo ideale. Come un bouquet di fiori, Sassa, amante della natura, ci offre quegli stati d’animo che sono i fondali della sua esistenza e nei quali possiamo ritrovare un po’ di noi stessi. Diversamente da quelli della signora Dalloway, i fiori di Sassa però non appassiranno mai…

L’ANGELO E LA VERGINE

Dal 08.12.2019 al 19.01.2020

L’Angelo e la Vergine

Stampe, incunaboli e oli sul tema dell’Annunciazione fra il ‘400 e il  ‘600

A cura di Arialdo Ceribelli

Dall’8 dicembre al 19 gennaio 2020

MARCO SOLZI

Dal 08.12.2019 al 19.01.2020

MARCO SOLZI

 “C’è una crepa in ogni cosa
ed è da lì che entra la luce”

A cura di Susanna Gualazzini

8 dicembre – 19 gennaio 2020

Inaugurazione domenica 8 dicembre ore 17

ROMANO BERTUZZI – L’ULTIMO ALBERO

Dal 19.11.2019 al 01.12.2019

Un percorso artistico-culturale attraverso i segreti della natura, i cambiamenti climatici e le responsabilità dell’uomo

A cura di Carlo Francou e Susanna Gualazzini

Inaugurazione | Sabato 19 Ottobre 2019

In mostra negli spazi dell’Antico Nevaio, L’ultimo albero vuole essere un nuovo momento di riflessione dell’artista Romano Bertuzzi attorno ad alcuni dei temi cruciali da sempre nella sua ricerca: la natura come straordinario contenitore di segni e suggestioni, un patrimonio prezioso a cui Romano Bertuzzi dà voce, in dialogo con le più attuali istanze di consapevolezza ecologica. In mostra una serie di lavori a grafite, sua tecnica di elezione, con cui l’artista piacentino restituisce la pelle numinosa di una natura solo in apparenza fossilizzata: sono i tracciati poetici e misteriosi dei ciottoli fluviali, le texture scabrose delle cortecce, scavate grazie alla docilità della grafite e restituite sulla carta da Bertuzzi con abilità tecnica non comune. E nel cuore del percorso espositivo, un’istallazione d’eccezione: un albero, bianco, abbraccia amorevole fra le fonde un nido. E’ l’ultimo albero?

Ma la mostra si pone anche e soprattutto come una riflessione sull’etica del vivere tra natura e disincanto, per una maggiore consapevolezza nei confronti di un patrimonio che tutti siamo chiamati a custodire. Come singoli e come comunità. Uno sguardo alla materia per coglierne l’anima nascosta. Per questo motivo, si inserisce in un circuito che raccoglie altre quattro sedi, tutte sul territorio, a costruire, proprio anche attraverso le opere di Romano Bertuzzi, una riflessione corale su temi cari a tutti noi:

Collegio e Galleria Alberoni, Via Emilia Parmense 67, Piacenza

Biblioteca Passerini Landi, Via Giosuè Carducci 14, Piacenza

Museo Civico di Storia Naturale, Via Scalabrini 107, Piacenza

Biblioteca di Calendasco, Via Giuseppe Mazzini, 4, Calendasco (Pc)

Museo Geologico di Castell’Arquato, Via Sforza Caolzio 57, Castell’Arquato (Pc)

L’intero programma degli eventi sarà presentato alla Conferenza Stampa che si terrà lunedì 14 ottobre, alle ore 11, presso il Collegio Alberoni di Piacenza.

ROBERTO TONELLI

REPERTORIO DEI SILENZI, ANCORA

Dal 18.11.2019 al 01.12.2019

ROBERTO TONELLI

Repertorio dei silenzi, ancora

A cura di Stefano Pronti

Inaugurazione | Venerdì 18 Ottobre 2019

L’elogio del silenzio ancora e sempre, come dimensione di spazio-tempo che favorisce la ricerca avviata nella propria interiorità, è il dato più originale della calcografia di Roberto Tonelli; la visione artistica è una contemplazione avvenente del luogo naturale, scelto tra rive di fiumi, campi, alberature solitamente ordinate in filari, cespugli, nuvole, e  in alcuni casi tra percezioni della figura umana. Il suo continuato soffermarsi a osservare, a scoprire un frammento estrapolato dal paesaggio genera una serie di sensazioni, che vanno a condensarsi poi, in buona parte, nel poetico titolo dell’opera finita. L’acutezza della visione connessa a una emozione si condensa nella rappresentazione sulla lastra. Questo è il senso della mostra di Roberto Tonelli alla Biffi Arte.

Le opere di diverso formato esposte alla mostra si distendono nella sala come un percorso che riserva suggestioni di luoghi visti in natura ma non effettivamente guardati, e lo sviluppo di equilibrati virtuosismi pittorici, come gli effetti della neve, della luce notturna e del sole abbagliante. La magia dell’incisione della lastra, le sue morsure e le sue inchiostrature si vedono esaltate in questa antologica, che consegna al pubblico i risultati di una ricerca quasi trentennale, innestata in una intensa sensibilità artistica. Alla mostra viene affiancato un catalogo, che mette in vetrina le considerazioni dell’artista e offre una ulteriore lettura critica dalle opere e della tecnica da parte di Stefano Pronti, storico dell’arte collaudato.

Questa mostra segna l’apice della produzione artistica di Roberto Tonelli, che ha avuto anche riconoscimenti nazionali autorevoli e ha rimesso sulla strada maestra dell’incisione sia la fondamentale tecnica disegnativa come prodigio della mano guidata dal cuore sia la delicata percezione della natura, insopprimibile nel rapporto con la vita umana nei suoi eterni cicli, soprattutto nel nostro tempo di vita inesorabilmente urbanizzata.

LUIGI MORETTI ARCHITETTO

 

Dal 12.11.2019 al 01.12.2019

Absentia 

In collaborazione con Liceo Respighi

Inaugurazione | Venerdì 12 Ottobre 2019

Inaugurazione della mostra con la partecipazione di Tommaso Magnifico, nipote di Luigi Moretti.

ABSENTIA. Le cose che non ci sono e avrebbero potuto esserci. Le cose che c’erano e non ci sono più.

Dai progetti originali di Luigi Moretti (Roma 1907 – Isola di Capraia 1973) per la casa GIL di Piacenza (oggi Liceo scientifico L. Respighi) agli spazi virtuali e gli oggetti tridimensionali che li animano: una mostra che colloca il limpido Razionalismo di Moretti in un nuovo linguaggio universale capace di convogliare a sé “spazi di luoghi e di tempi amplissimi“.

Un tributo a un monumento piacentino e al suo architetto “poeta di talento sconfinato che merita di essere riconsiderato. E, per favore, non per le sue opere costruite durante il fascismo che sono tra le poche che, chissà perché, non disturbano gli antifascisti”. (Luigi Prestinenza Puglisi).

E, nel cuore dell’allestimento, una piccola enclave virtuale restituisce l’atmosfera della coeva ricerca pittorica: per gentile concessione della Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi di Piacenza, saranno proiettati alcuni dei capolavori che hanno fatto la storia della pittura italiana di quegli anni. Creatore e fondatore della celebre rivista Spazio (esposta in mostra in due esemplari), Luigi Moretti fu infatti anche acuto e finissimo lettore dell’arte del proprio tempo e sempre attento a proporre collegamenti fra le diverse espressioni artistiche, dall’architettura, al cinema, alle arti visive.

FRANCO ZUCCHELLA

Vir Viri

Dal 07.09.2019 al 05.11.2019

FIGURATIVAMente

Cinque percorsi intorno alla figura

BRIZZOLESI/GUGLIELMETTI/MALOBERTI/VASAPOLLI/ZUCCHELLA

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FRANCO ZUCCHELLA

Vir viri

 

7 settembre – 5 ottobre

Inaugurazione Sabato 7 Settembre ore 18

Il corpo maschile indagato nelle sue complessità e ambivalenze: un racconto pittorico forte e struggente

E’ un maschile spezzato, quello che abita le tele di Franco Zucchella, il racconto di un eroe che porta iscritti nella carne i segni di un misterioso sacrificio, come una tramatura gloriosa. Ma anche nella sconfitta, i suoi viri possiedono lo spazio con una centralità che li rende magnetici e non lascia andare altrove lo sguardo. Zucchella lavora nelle pieghe della carne, che illividisce con una palette certamente destinata ad evolvere ma a tutt’oggi forte, aperta al racconto di un tormento profondo. E’ la narrazione di esistenze fragili eppure potenti, che Zucchella restituisce con tecnica solida, su fondi scabri, in cui il colore si sfalda ma conserva intatta la propria luce.

Susanna Gualazzini

ANNA GUGLIELMETTI | CORPO CAVO

Dal 07.09.2019 al 05.11.2019

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Cinque percorsi intorno alla figura

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ANNA GUGLIELMETTI

Corpo cavo

 

7 settembre – 5 ottobre

Inaugurazione Sabato 7 Settembre ore 18

Le ceramiche di Anna Guglielmetti: un lavoro nel corpo cavo della materia, per una nuova forma della figura.

Corpo cavo

Non ha paura di mettere le mani nel cuore della terra, Anna Guglielmetti: modellare, plasmare, cuocere per restituire terra alla terra, in un paziente lavoro di trasformazione che annoda il fare dell’artista alle procedure più primitive di un’arte antica. Guglielmetti padroneggia con abilità le tecniche, il raku in preferenza ma non solo, combina le terre, le mescola, le lavora e le pigmenta. Nasce un pantheon di forme arcaiche e eterne, corpi cavi in cui ritrovare paradigmi universali ma anche, e non accidentalmente, il corpo di un femminile antico, lunare e generoso che, come crisalide, esce dai forni di questa moderna Estia, senza fatica.

Susanna Gualazzini

GABRIELE MALOBERTI

DONNA, MISTERO SENZA FINE BELLO

Dal 07.09.2019 al 05.11.2019

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Cinque percorsi intorno alla figura

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GABRIELE MALOBERTI

Donna, mistero senza fine bello

 

7 settembre – 5 ottobre

Inaugurazione Sabato 7 Settembre ore 18

«Piange?» E tentai di sollevarti il viso
inutilmente. Poi, colto un fuscello,
ti vellicai l’orecchio, il collo snello….
Già tutta luminosa nel sorriso
ti sollevasti vinta d’improvviso,
trillando un trillo gaio di fringuello.

Donna: mistero senza fine bello!

(Guido Gozzano, da I colloqui, 1911)

Le donne di Gabriele Maloberti.

Non ha paura di mettere le mani nel cuore della terra, Anna Guglielmetti: modellare, plasmare, cuocere per restituire terra alla terra, in un paziente lavoro di trasformazione che annoda il fare dell’artista alle procedure più primitive di un’arte antica. Guglielmetti padroneggia con abilità le tecniche, il raku in preferenza ma non solo, combina le terre, le mescola, le lavora e le pigmenta. Nasce un pantheon di forme arcaiche e eterne, corpi cavi in cui ritrovare paradigmi universali ma anche, e non accidentalmente, il corpo di un femminile antico, lunare e generoso che, come crisalide, esce dai forni di questa moderna Estia, senza fatica.

Susanna Gualazzini

Donna, mistero senza fine bello

 

«Piange?» E tentai di sollevarti il viso
inutilmente. Poi, colto un fuscello,
ti vellicai l’orecchio, il collo snello….
Già tutta luminosa nel sorriso
ti sollevasti vinta d’improvviso,
trillando un trillo gaio di fringuello.

Donna: mistero senza fine bello!

(Guido Gozzano, da I colloqui, 1911)

Ennio Bispuri   Direttore Istituto Italiano di Cultura di Barcellona

Con innumerevoli opere che richiamano la grande ritrattistica del Rinascimento e che esibiscono la loro parentela con il meglio del Realismo italiano del Novecento, Maloberti, firma una esposizione che lascia lo spettatore ammutolito: sia per l’originalità del linguaggio estetico tendente alla perfezione della forma, quanto per la pretesa grandiosa, attraverso una serrata indagine emozionale dei personaggi ritratti, di fare di ognuno una identità assoluta, irripetibile, unica nell’universo ed immortale

Stefano Pronti  Storico dell’Arte

Oltre alla costruzione dell’immagine quale valore estetico nella favolosa pittura di Maloberti, la ricerca della luce viene raggiunta anche su un fondo chiaro e con vivide ombreggiature, evocanti certe antiche tele fiamminghe. E la solarità, la serenità della luce richiama proprio la straordinaria pittura di Vermeer, la sua quotidianità meravigliosa, la sua gioia di vivere

Francisco Gil Tovar Storico dell’Arte, Decano, Consulente ONU

La perfezione dei volti e delle figure, gli equilibratissimi valori tonali e l’attenzione posta a restituire una sensazione che, pur partendo da una connotazione realista, restituisce quel senso di intima sospensione e raccoglimento, proprio della ritrattistica antica, ne fanno una pittura di alto livello, senza tempo e confine, espressione di una ricerca, concentrazione e dedizione assoluta, verso la quale la mia penna si zittisce non trovando parole degne

Aligi Sassu   Pittore

Una predisposizione alla pittura vissuta con una sorta di spasimo orfico, sorretta da una tecnica raffinatissima, rarissima in un artista d’oggi

Mario Schifano   Pittore, regista

Maloberti, pittore ancorato indissolubilmente all’arte classica, rivisitata con il genio di un innovatore

Edoardo Lazzara   Critico letterario

L’ideale di bellezza evidente nelle sue figure femminili appare atteggiato a una estetica neoclassicheggiante, ma non mai come mera mimesi o reminiscenza di un passato anche se glorioso, ma come “categoria” atemporale di sincera matrice individuale e dunque essenzialmente basata sull’originalità e quel più conta rivissuta e resa con autenticità espressiva del tutto attuale

Antonello Trombadori   Critico d’arte, Giornalista, Senatore

Pur definibile Maloberti un intellettuale puro, la sua estetica nasce da una ricerca che non ha nulla di intellettuale, non è mossa da assillo critico, si muove piuttosto secondo la forza incoercibile del temperamento e ad essa si affida

Vittorio de Tassis  Filosofo, Critico letterario

Gabriele Maloberti: Uomo coltissimo, ma allo stesso tempo poeta originale come solo lo può essere chi si dimentica di tutti i complessi che sorgono scrivendo; con una freschezza intellettuale e all’occorrenza irriverente, ironica, pungente, ci fa dono di una poetica contraddistinta da una ricca varietà tematica dagli elevati contenuti umani, imprescindibile dalla sobrietà di linguaggio e rigore formale

 

SERGIO BRIZZOLESI | REGINE

Dal 07.09.2019 al 05.11.2019

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SERGIO BRIZZOLESI

Regine

A cura di Carlo Francou

 

7 settembre – 5 ottobre

Inaugurazione Sabato 7 Settembre ore 18

Artemidi, Estie, Afroditi: sono le Regine di Sergio Brizzolesi, divinità senza tempo o, forse, semplicemente donne.

SERGIO BRIZZOLESI

Regine

A cura di Marzio Dall’Acqua e Carlo Francou

 

Io ti ho nominato regina.

Ve n’è di più alte di te, di più alte.

Ve n’è di più pure di te, di più pure.

Ve n’è di più belle di te, di più belle.

Ma tu sei la regina.

Pablo Neruda per la moglie Matilde

Hai posato i piedi dentro l’anima

Di Marzio Dall’Acqua

 

Forme essenziali dell’esistenza, ridotte a segni grafici, a scheletri vegetali di rami e fronde, che hanno però ancora il fremito, l’ombra del sentimento, delle emozioni che li accomuna a chi guarda, sono opere come “il pensatore” o “riposo”, per fare un esempio tra le sculture di Sergio Brizzolesi, che hanno ulteriormente semplificato le figure atomizzate di Giacometti, frementi di una morte che le scarna e le arrugginisce già nel vivere, per diventare paradigma di una condizione vitale, di uno stato d’essere, immediatamente percepibile nel loro sintetico grafismo, ombra dell’umano che è in noi. In questo minimalismo si avverte però la mano dello scultore che ha accarezzato, non graffiato come Giacometti, la materia, perché Brizzolesi è artista quanto mai attento alla possibilità che sostanze sensibili, che  in sé non hanno la possibilità di durare vengano, in un processo alchemico di metamorfosi, trasformate, nella fusione in bronzo, in presenze immortali.

Di questo rapporto tra finitezza, caducità e sospesa eternità Brizzolesi è maestro e ne fa una delle sue chiavi di seduzione quando, ad esempio, trasforma pizzi, trine, merletti e stoffe in morbide forme dolcemente fissate per sempre senza perdere la loro morbidezza, la loro suggestione carezzevole e tattile.

Carezze, soprattutto di sguardi, che chiedono le sue “regine”. E per lui, va detto subito, ogni donna è una “regina”, che abbia o no un nome proprio. In queste figure il meditativo scultore diventa poeta, si lascia incantare da un mondo barocco, una ridondanza, che mentre veste le sue figure femminili, le fa apparire ancor più seducenti, affascinanti e ci obbliga a pensarle, immaginarle nude, non per un basso impulso erotico, ma per poterle cogliere nella loro misteriosa e segreta essenza, nella loro magia che unisce il presente fenomenico che le mostra presenti, immanenti, con l’evocazione di un apparire che viene da lontano. Anzi è senza tempo: si sospende ogni temporalità nei grandi gioielli a borchie, nei capelli al vento o acconciati con fogge d’antiche sculture però mai viste, completamente inventate.

C’è qualche cosa di barbarico, di arcaico in queste vesti, che in alcune opere, sembrano incrostate da conchiglie ad indicare un lungo periodo di immersione fuori dal nostro mondo. Certi particolari, la sedia in “Perla”, ad esempio, al contrario è come se anticipassero il futuro: segni tutti di una frattura nella temporalità che viene ad unire epoche e stagioni diverse.

Le forme fisiche scaturiscono, quasi emergono, da ampi e gonfi vestiti fatti d’aria e di vento che avvolgono i corpi che sempre ballano, vibrano, anche quando sono statici ed immobili. C’è nel modellare di Brizzolesi un vibratile nervosismo di tocco, come un tremore della mano, che è rispetto dell’animo per l’idea, per il progetto, per il percorso che l’artista va facendo, fino alla scoperta finale della scultura finita immersa nella luce che continua le carezze delle sua mani.

Possiamo pensare alla poesia “Come una regina” di Rabindranath Tagore: “Senza parlare / sei arrivata / come una / vera regina, / di nascosto / hai posato i piedi / dentro l’anima”. Ecco queste sculture di Brizzolesi sono apparizioni, immagini incantate e sospese, fisiche ed insieme sogni materializzati. In un’altra poesia – “Donna” – Tagore ha concluso: “Per metà sei donna, / e per metà sei sogno”. Appunto.

Sembra che Brizzolesi, alle sue donne abbia dato la solidità del bronzo, per poterle afferrare, per garantirne la concreta presenza, senza però che perdessero la improbabilità del loro apparire, del loro manifestarsi come lontane da noi, come estranee alla nostra corporeità, alle nostre quotidiane esigenze, e miserie. Intangibili nella loro assolutezza, anche nei loro gesti o pose più comuni. I loro pensieri sono segreti ed i loro sguardi ci escludono, ci sfiorano ma non ci vedono, tutte percorse dalla loro intima esistenza.

Oltre alla bellezza che ammalia e affascina ne avvertiamo la forza, che è prima di tutto capacità di seduzione, incanto fascinatore, attrazione, ma è invero sottile potenza. Le sue sono forme carezzevoli, da scoprire con mano lieve.

La regina negli scacchi salva il re, che può muoversi solo di una casella, mentre lei può fare quel che vuole. E alla regina degli scacchi pensiamo quando vediamo le sculture di Brizzolesi, figure allegoriche di una partita che è quella della vita e che tutti ci coinvolge. Ed anche noi davanti a queste splendide statue ci mettiamo in gioco.

ALESSANDRO VASAPOLLI

Dé Voilées

 

Dal 07.09.2019 al 05.11.2019

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ALESSANDRO VASAPOLLI

DéVoilées

 

7 settembre – 5 ottobre

Inaugurazione Sabato 7 Settembre ore 18

Suggerire nella trasparenza di un velo che di-svela: con candore e pudicizia il racconto fotografico di Alessandro Vasapolli restituisce al corpo femminile tutta la sua archetipica innocenza.

L’arte fotografica di Alessandro Vasapolli  nasce da quella particolare fascinazione che chiamiamo “bello”. Ma non è estetizzazione superficiale. Vasapolli astrae, potenzia, armonizza colori e forme, crea un ritmo, coordina energia e struttura e arriva così a quel carattere universale che chiamiamo “bello”: un equilibrio di forze tra percezione sensoriale e significati.

Restio a ogni classificazione, il lavoro fotografico di Vasapolli esprime i principi fatti propri durante gli anni di studio e di ricerca: un modus operandi scientifico coniugato all’ amore verso le humanities liberamente reinterpretate.

Le sue immagini, parti visibili e parziali di una realtà invisibile e immensa, diventano espressioni di una forza poetica sussurrata attraverso leggerezza di forme e soavità di colore. La visione si fa trasparente. Appare la luce che, discreta e aurorale, si espande come un profumo. Atmosfera indefinita, quasi luogo iniziatico.

Una totale assenza di peso nelle linee dei corpi flessuosi come silhouette, negli arti allungati come fossero ali, nelle chiome sciolte e raccolte in spazi luminosi. Una verticalità aperta: le figure emergono da uno sfondo che pare infinito mentre occupa solo i quattro quinti. Poi i veli. Sembrano cadere dal cielo traversati da un chiarore che si posa e tracima come l’acqua sui bordi dei fiumi. Trasparenti serrano i corpi, vetri rotti di bottiglia. Le figure stesse appartengono a quei fondi, tutto è animato dall’interno. Donne come cavallucci marini, immobili nella corrente. Emerge una solidità petrosa quasi cristallina opposta ai movimenti. Un velo o una piega della gonna, gli angoli delle braccia. Espressione di un mistero.

Vasapolli compie un atto di osmosi con quanto lo circonda, nutre le sue opere di sentimenti, solitudine, infinito. C’è un’altra solitudine, quella di una figura immobile e perduta che volta le spalle e contempla, avvinta dalla nostalgia di una pienezza che resta impossibile da raggiungere. Nasce una forma di attrazione simile a quella che attira i pescatori in fondo al mare o al potere di Lorelei.

Vasapolli esclude ogni esteriorità. In lui dominano un senso mistico del mondo e una tecnica precisa. L’evento avviene là in fondo, nella profondità dell’opera. Immergendoci in un universo emozionale spetta a noi tessere i fili. E’ nostro compito sollevare i veli, cercare un cammino segreto, uno svelamento.

Valerio Consonni

LORENZO PUGLISI

Pitture di luce e di tenebra

Dal 03.07.2019 al 28.07.2019

In mostra alla Galleria Biffi Arte un corpus di opere che esprimono il percorso artistico più recente di Lorenzo Puglisi. Originario di Biella, Puglisi è da tempo attivo in un lungo percorso di ricerca verso l’essenzialità della rappresentazione e denso di rimandi alla storia della pittura ad olio.

Lorenzo Puglisi usa il segno del dipingere come uno scavo, il colore sembra qualcosa che in qualche modo debba avere una presenza e per questo l’artista lo adopera con parsimonia, quasi per non farsene tentare e sedurre. Nasce un tipo di pittura che può essere definita “post-baconiana” : da un lato è segno, graffia come poche altre, toglie e non aggiunge mai, a dispetto della tecnica e della seconda pelle, dall’altro è come se catalizzasse i punti di catastrofe. Il corpo va esaminato come una faglia in procinto di rompersi, come una creta che subisce pericolose infrazioni dal suo interno. Un universo di sentimenti e di riflessioni si attualizza in una sorta di iperbole dell’esistere, in una concentrazione di vita dolorosa e insopportabile, quasi che ogni particella elementare di pittura diventasse pesante come un sasso, densa come la pece.

Nei lavori più recenti, in cui abbandona il ritratto, per prendere ispirazione dalla storia dell’arte, opera un processo di semplificazione visiva. Nasce un teatro visivo, una sorta di messa in scena della pittura classica, e forse per questo Lorenzo Puglisi le chiama Scene. Da un lato “cancella” la grande maggioranza del quadro, annulla la composizione o, meglio, la semplifica riducendola a elementi minimali, a dei veri costituenti ultimi dell’immagine. Matteo e l’Angelo, Nell’Orto degli Ulivi, Il Grande Sacrificio, Narciso, o L’Ultima Cena, quindi Goya, Caravaggio, Correggio o Leonardo da Vinci sono capolavori e artisti che Puglisi prende a prestito per sviluppare la sua idea di pittura. Questa ha bisogno di poco e di molto nello stesso tempo. Di poco perché gli elementi visivi sono creati dai bianchi, dagli accenni di rosso o di giallo che accendono brevemente l’immagine. La sua è un’opera di riduzione, come concentrare lo sguardo in un punto non vuol dire dimenticare il resto, ma determinare una direzione, un’essenzialità. Questa reductio è importante perché recepisce uno dei portati della contemporaneità, che è l’eccesso di memoria, e ne fa una questione di scelta. Non una semplificazione – qui bisogna stare attenti con le parole – ma la capacità di decidere cosa sia pittura e cosa no. Ma anche di molto perché dai capolavori del passato Puglisi non trae ispirazione, compie un’azione in cui si appropria del passato eliminandone gli sprechi, gli eccessi narrativi per come li possiamo leggere oggi. Ne fornisce una rilettura critica e aggiornata al presente.

GIOVANNI BRUNO

Usura e Memoria del tempo

Dal 08.06.2019 al 30.06.2019

Genovese di origine, Giovanni Bruno dedica la propria ricerca artistica alle tracce che il tempo consegna alla materia: esemplare il lavoro sulle carte a vetro, umili e residuali, raccolte dall’artista da artigiani e carrozzieri, e restituite con una nuova bellezza, memoria di un tempo rinnovato. Sono lavori figli di un inesausto esercizio di trasformazione: spaccare, lisciare, levigare, sbriciolare, un processo ossessivo di consunzione e ricostruzione.

Nelle opere su carta, il concetto di temporalità viene esplorato attraverso la scrittura, citazione letteraria (T.S. Eliot, Ezra Pound, Garcia Lorca) o filosofica (Nietzsche): rigorosamente a matita, strumento che ancora contiene il concetto di usura, la scrittura si fa segno euritmico,  trama fitta di ritmi antichi, poesia di una gestualità che esprime  la connessione profonda fra spazio esterno e spazio interno.

Giovanni Bruno è nato a Busalla (Ge) il 4 giugno 1961.

Diplomato al Liceo Artistico di Genova nel 1980, termina gli studi di Scenografia all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano nel 1984.

Dal 1987 si dedica completamente all’arte e inizia l’attività di ricerca, in cui l’indagine pittorica è integrata alle esperienze acquisite negli anni nell’ambito della scenografia, dove il confronto è con lo spazio scenico e la tecnologia dei materiali.

Inizia presto il lavoro di ricerca sul concetto di  usura nella materia, che diventa pittura, mentre il segno  che in molte opere di Bruno, è scrittura, si sfuma per diventare euritmica memoria del tempo.

Insegna Scenografia Teatro al biennio specialistico di Scenografia all’Accademia di Belle Arti di Brera.

Vive e lavora a Milano.

Gioxe De Micheli | Le trame della tela

Dal 04.05.2019 al 02.06.2019

Lo spazio storico della Saletta Biffi, ospita la mostra personale di Gioxe De Micheli, maestro della pittura figurativa e della narrazione poetica, venata di atmosfere metafisiche. Curato da Chiara Gatti, il percorso presenta una ventina di opere recenti, su tela e su carta, dedicate a un tema attuale ma sublimato da De Micheli come soggetto universale. Si tratta di una profonda riflessione sulla letteratura odierna dei grandi transiti, che abbraccia l’iconografia eterna del viaggio e della migrazione. Con una forma di sottile ironia, l’artista racconto storie di viandanti, venditori di oggetti umili, allegoria feriale di un mondo popolato di ricordi e nostalgie. Sulle spiagge della Maremma danzano personaggi reduci da un lungo cammino. Sono i suoi ambulanti apolidi incorniciati da un mare lirico ma inquieto. Ecco allora i suoi venditori di cappelli di paglia e aquiloni dalle code spezzate. Ed ecco anche il venditore di salvagenti, meravigliosa citazione dell’Uomo Vitruviano di Leonardo che, nelle sue proporzioni perfette, orchestra nell’aria ciambelle di gomma con calviniana leggerezza.

Come si legge nel testo a catalogo: “De Micheli non cede alla didascalia per dispensare moniti di accoglienza o denunzie di rigetto dell’altro. Il suo racconto è universale e tocca ogni forma di lontananza e abbandono. È solo leggendo le sue immagini con questa consapevolezza che si possono comprendere scene apparentemente enigmatiche: l’uomo sul jumping ball inghiottito dalla notte, gli aquiloni che perdono le code, gli imballi di cartone che appassiscono come fiori recisi, i litorali coperti di neve algida. Chiedetevi perché i suoi viandanti indossino il paltò anche d’estate. Perché il freddo li assilla in ogni stagione. Il paltò è una casa, un luogo sicuro, un riparo dalla tempesta, un galleggiante per il naufragio”.

Nota biografica

Gioxe De Micheli è nato a Milano il 27 gennaio 1947. Gioxe è la voce dialettale genovese di Giuseppe. Giovanissimo è andato “a bottega” da due tra i più rappresentativi esponenti del Realismo esistenziale, Giovanni Cappelli e Giuseppe Martinelli, in seguito, all’Accademia di Brera, sotto la guida di Gianfilippo Usellini, ha frequentato i corsi di Decorazione e Affresco.

Di lui hanno scritto critici e poeti: Raffaele De Grada, Giovanni Testori, Dino Buzzati, Luigi Carluccio, Franco Solmi, Raffaele Carrieri, Roberto Tassi, Rossana Bossaglia, Giorgio Seveso, Giovanni Raboni, Giorgio Luzzi, Elena Pontiggia, Vivian Lamarque, Gianfranco Bruno, Tiziano Rossi e Chiara Gatti. Nel 1994 ha realizzato un grande trittico per il Palazzo di Giustizia di Milano e nel 2001, a Collodi, un grande murale per la Fondazione Pinocchio. Dal 2013, il suo Polittico della Maternità, trova definitiva collocazione nella chiesa romanica di San Biagio a Lombrici di Camaiore (LU). Vive e lavora a Milano.

NATURA E CAOS

La natura del terzo millennio

Fotografie di

Margherita Del Piano, Sofia Meda, Stefano Parrini

Dal 04.05.2019 al 26.05.2019

I cambiamenti subiti dalla natura nell’epoca in cui stiamo vivendo sono sotto gli occhi di tutti: l’intervento aggressivo dell’uomo sta distruggendo poco a poco un equilibrio che aveva resistito per millenni: siamo testimoni di un’era dominata dal caos: l’ambiente naturale sta cambiando sotto la pressione dell’urbanizzazione crescente e ormai siamo coscienti del fatto che è un processo di non-ritorno.

L’arte, e in questo caso la fotografia, può aiutare a riflettere su quanto sta accadendo, incoraggiando una presa di coscienza che non si può più celare né procrastinare.

Il progetto espositivo, nato da un’idea di Annamaria Belloni, fotografa e curatrice da tempo impegnata sul tema della natura e del suo rapporto con l’essere umano, vuole sottolineare questa riflessione e al tempo stesso dare una lettura non solo inquietante di questo idillio spezzato, ma anche tendere una mano alla volontà di conservazione della natura nella sua infinita bellezza.

Stefano Parrini fa un’analisi sul rapporto tra globalizzazione e saccheggio delle risorse naturali attraverso una serie di immagini tragico-ironiche ispirate alla land art, mentre Margherita Del Piano congela piccoli frammenti di piante, semi, fiori, bulbi, petali e frutti e li riproduce nell’intento di preservare con l’aiuto della fotografia una piccola biodiversità. Sofia Meda fotografa piccole piante o frammenti di fiori nelle serre, dove la natura sembra piccola e silenziosa, quasi sussurrata.

PABLO E’ VIVO

La fantasia dell’anima

Dal 23.03.2019 al 28.04.2019

Pablo Lombardo è vivo.

La sua arte è senza tempo e spazio, poiché non ha necessità di definirsi contemporanea ne’ di sposare etichette di comodo.

Fluttua armonicamente tra forze ostinate e contrarie, tra parabole astrattiste e desiderio di figurazione: è Arte per l’Arte.

Obbligata, necessaria, a tratti disperata. La capacità di mescolare l’approccio espressionista a quello fauve, l’arte negra con l’Oriente estremo dei Samurai, l’Action con la Street Art, rende la sua opera tanto eterogenea quanto affascinante.

E’ un montante inatteso alla decima ripresa, non accarezza: tramortisce.

E’ un passage, un attraversamento di spazi in continua evoluzione, siano essi gli spazi della metropoli, presi direttamente dalla “sua” strada, che quelli più speciali dell’Anima di coloro he il destino gli ha posto innanzi. Spazi che solo chi ha percorso con coraggio, lottando e amando, sa tradurre in arte.

Pablo riporta “l’ego dell’artista” al centro delle cose.

La sua visione è in grado di raccontare e trasformare espressivamente, senza alcun intento realistico, ciò che il suo sguardo cattura. E questo “giro di vite” si dipana nelle tinte nette e accese di una pittura impulsiva, tenace, tagliente, dinamica, immediata.

La fantasia dell’anima di Pablo Lombardo si rivela in orme disparate, mosse unicamente dall’empatia instaurata con il soggetto rappresentato, fulcro ineluttabile e sacro del suo dipingere.

Maria Assunta Karini e Francesco Paolo Paladino 

Elementi Alchemici

Dal 15.02.2019 al 17.03.2019

Elementi alchemici nasce come il connubio creativo di due espressioni artistiche – la musica e le arti visive – che si intrecciano, si contaminano, traggono energia l’una dall’altra per realizzare qualcosa che trascende i limiti di entrambi.

Nata dalle suggestioni dell’artista visiva Maria Assunta Karini e dalle evoluzioni sonore del compositore Francesco Paolo Paladino, l’esposizione si sviluppa in forma di narrazione scandita in tre momenti: la quieta leggiadria dell’aria – Ariae – si coagula nelle stille liquide che scivolano sulle code argentine di Siren, per poi raggelarsi in un istante nella glaciale perfezione di Icereport. Un flusso di sensazioni che scaturiscono dalle note di Paladino, la cui trilogia musicale colma lo spazio, e si riverberano nelle immagini di Karini, in un saliscendi di fotografie e installazioni che scavano lo spazio della Galleria Biffi di Piacenza.

Elementi alchemici è un’esperienza di carattere immersivo, che richiede allo spettatore di assaporare sulla propria pelle le impressioni fuggevoli e tuttavia intense evocate dai due artisti: l’alchimia degli elementi diviene qui alchimia artistica, forme che si fondono e confondono per realizzare un viaggio di stupenda, incredibile consapevolezza.

HERMANN BERGAMELLI

 

Dal 15.02.2019 al 17.03.2019

rù | A cura di Michele Buonuomo 

Inaugurazione |Venerdì 15 Febbraio 2019

In mostra nella Sala Biffi, dedicata ai Progetti Speciali, due opere di Herman Bergamelli, vincitore del Premio Biffi 2017. Bergamelli esordisce giovanissimo con una serie di lavori su cui ordisce fili sulla tela per dare forma e sensazioni a piccole rappresentazioni domestiche, a ombre solitarie che a passi lenti misuravano spazi metafisici. E per far sì che tali ombre non si perdessero nel vuoto, gli erano sufficienti i tratti rossi lasciati dai punti di un ricamo che, come in una sinopia appena delineata, si ricomponevano negli occhi di chi provava a immaginare il dipanarsi paziente dei fili sulla trama di un canovaccio. Col tempo, Bergamelli ha trasformato questa pratica antica di ordire immagini in una silenziosa disciplina meditativa sul fare e disfare una visione, che per dichiararsi non fa ricorso ad apparati artificiosi di simboli o di ormai sempre più usurati espedienti linguistici. La materia stessa, accumulata e organizzata nelle sue “sculture-tessiture”, è divenuta soggetto e oggetto di indagine e di riflessione su una forma che contiene lo spazio e da esso è contenuto, su una pratica che impone di guardare se stesso e il mondo che sta intorno attraverso gesti e segni che non prevedono clamori, ma soltanto sottili e precisi espedienti formali. E un fare calmo e lento come per un rituale misterico.

FRANCO CORRADINI

Dal 15.02.2019 al 17.03.2019

Pittore e Incisore | A cura di Chiara Gatti

Inaugurazione | Venerdì 15 Febbraio 2019 ore 18

La mostra sarà presentata da Chiara Gatti.

La mostra personale di Franco Corradini presenta, a cura di Chiara Gatti, un ciclo recente di opere su tela e su tavola legate ad alcune serie di dipinti, fra cui “Marginare il vento”, “e da l’estiva arsura”, “Verso Santiago” e “Winterreise”. Impegnato da anni in una lunga e articolata ricerca sul linguaggio stesso della pittura, in bilico fra figurazione esistenziale ed astrazione lirica, Corradini indaga ora una nuova dimensione del gesto e del colore che mescola citazioni dell’espressionismo astratto di scuola americana, con i modi più vibranti, sensibili (persino romantici) dell’ultimo naturalismo italiano. Reduce da importanti commissioni d’arte sacra – fra cui le storie di San Giovanni in cinque tele monumentali (alte 2 metri e larghe 190 cm) concepite per la chiesa di San Giovanni in Canale a Piacenza – l’artista si concentra oggi su una riflessione formale, molto diversa dal carattere liturgico della sua produzione più nota al pubblico. Si scopre infatti l’intima vocazione per la traccia e per la materia, i due elementi principali di un lessico fatto di superfici sovrapposte, stratificazioni ed erosioni, applicazioni e scavi, accumuli e graffi. Mettere e togliere inseguendo il ritmo, l’equilibrio degli elementi, è la priorità di una investigazione condotta sulle possibilità spaziali dell’immagine, intesa come territorio solcato da linee che disegnano una conformazione orografica di luoghi mentali; luci e ombre dell’inconscio sono proiettate sulla superficie da sferzate di colore acuto e luminoso, gialli elettrici, azzurri opalini, verdi sonori. Nella sua celebre sperimentazione tecnica, che arriva a sposare la pittura con innesti di tavole xilografiche o applicazioni di piccole vetrate piombate, l’artista piacentino sintetizza in composizioni polimateriche il suo racconto astratto, evocazione di episodi climatici, sentimento di un paesaggio assoluto e delle sue mutazioni atmosferiche segnate dall’incedere battente dei venti, dalla siccità di deserti ambrati, dalla fertilità di boschi umidi. Ma la natura, per Corradini, resta uno stato mentale, la proiezione di moti del cuore affidati all’istinto delle mani che traducono, in gesti rapidi, campi di colore e affondi incisi col disegno aguzzo sul legno.

ANTONIO LIGABUE

Dal 14.02.2019 al 28.04.2019

Pittore e Scultore | A cura di Augusto Agosta Tota

In collaborazione con Fondazione Archivio Antonio Ligabue di Parma

Inaugurazione | Giovedì 14 Febbraio ore 18

La mostra sarà presentata da Marzio Dall’Acqua e Vittorio Sgarbi

Il percorso è stato lungo, all’inizio accidentato, mentre la meta si veniva sempre più spostando. Dal 2017 gli impegni ed i progetti del Centro Studi sono stati fatti propri dalla Fondazione Archivio Antonio Ligabue di Parma, che ne continua totalmente l’azione e che ha dato loro, se possibile, ancora più forza e maggior impulso, certamente maggiore autorevolezza. Tanti decenni di impegno hanno portato a far conoscere la vita e l’opera di Antonio Ligabue sul piano internazionale come artista completo di altissimo livello creativo, con uno stile personalissimo, affascinante ed attuale.

Qual è dunque la novità di questa mostra piacentina? È la prima che la Fondazione concepisce osservando anche un profilo antologico, in una galleria privata, per cui, se da una parte la Fondazione in pieno svolge la sua funzione culturale estranea a qualsiasi compromesso commerciale, che ne snaturerebbe le finalità, nel contempo permette ai collezionisti, ai proprietari delle opere, agli operatori culturali, mercanti d’arte, investitori, se lo vogliono, di confrontarsi realmente con il mercato, come è specifico di una struttura privata qual è la galleria, oltre ed al di là delle indicazioni, spesso fuorvianti, dei risultati raggiunti dalle opere dell’artista in alcune aste. Ormai, siamo convinti, io ed i miei collaboratori, che Ligabue sia un artista di così alto profilo che, anche se continueremo, come Fondazione, ad esporne le opere in strutture pubbliche, perché entri pienamente nel mondo artistico si debba consolidarne anche il mercato dando libero accesso alle quotazioni delle opere il cui valore, come per altri grandi artisti quotati, dipenderà dalla qualità pittorica, dal periodo di esecuzione, dalla dimensione e dal soggetto. Può accadere ci siano notevoli sbalzi, Ligabue stesso aveva coscienza di quali sue opere avessero valore e quali no. Spesso, per clienti che gli commissionavano i quadri, istintivamente produceva opere di minore interesse artistico.

Naturalmente il nostro obiettivo presuppone una scelta qualitativa ed iconografica di qualità ed una condizione espositiva che permetta il godimento delle opere, capolavori e non, con il massimo livello di attenzione e di piacere: il che ci sembra di aver ottenuto con questa esposizione in un ambiente così qualificato come la Biffi Arte di Piacenza. Vengono presentate 82 opere – 59 dipinti e 23 sculture in bronzo , un esemplare excursus su tutti i tre principali periodi in cui è stata suddivisa la produzione artistica di Ligabue: dagli animali domestici del primo periodo (Pascolo montano, olio su compensato, cm 56×69) alle tigri dalle fauci spalancate, (Testa di tigre, olio su faesite, cm 66,4×57,4) i felini in attacco (Vedova nera, olio su faesite, cm 102×134; Leopardo che sbrana una scimmia, olio su faesite, cm 110×124), i serpenti, i rapaci che ghermiscono la preda o lottano per la sopravvivenza (Volpe con rapace, olio su tela, cm 120×150) del secondo e terzo periodo: una vera e propria giungla che l’artista immagina con allucinata fantasia fra i boschi del Po.

E’ particolarmente negli autoritratti (Autoritratto con sciarpa rossa, olio su faesite, cm 45×35; Autoritratto con mosca, olio su tela, cm 70×50) che Ligabue dipinge il proprio dolore esistenziale, gridandolo con l’urgenza di una sensibilità intensa e ferina.

Questa catalogazione segue l’edizione TUTTO LIGABUE. Catalogo Ragionato dei Dipinti pubblicata nel 2005 da Augusto Agosta Tota Editore, in due tomi, che, completando un lungo percorso, ha permesso di documentare circa 900 quadri su una produzione stimata in 1050/1100 dipinti. L’editrice Electa ha stampato nel 2002 Antonio Ligabue. Catalogo generale dei dipinti, con 699 opere. Le opere riportate in entrambi i cataloghi generali sono state espertizzate Prof. Sergio Negri, così come le opere di grafica e scultura che saranno inserite nel catalogo generale di prossima pubblicazione.

Augusto Agosta Tota

SEGNI DI GUERRA | L’EX LIBRIS EUROPEO ALL’EPOCA DEL PRIMO CONFLITTO MONDIALE A CURA DI CLAUDIO STACCHI | LUIGI BERGOMI | GIUSEPPE CAUTI

Dal 18.12.2018 al 10.02.2019

Pittore e Scultore | A cura di Augusto Agosta Tota

In collaborazione con Fondazione Archivio Antonio Ligabue di Parma

Inaugurazione | Giovedì 14 Febbraio ore 18

La mostra sarà presentata da Marzio Dall’Acqua e Vittorio Sgarbi

In mostra negli spazi dell’Antico Nevaio una eccezionale collezione di 150 ex libris su temi ispirati al primo conflitto mondiale: un corpus esemplare di piccola grafica in cui, fatto rarissimo, il tema del foglietto travalica e prescinde dalla identità del titolare, dai suoi interessi e dalle sue passioni per imporsi come tema totalizzante, leit-motiv della vita di quegli anni cruciali. Negli ex libris eseguiti dall’inizio della prima guerra mondiale fino agli anni Venti, la guerra è interpretata ed evocata con stili estremamente diversi, a seconda del succedersi degli accadimenti: nel 1914 il sentire comune della società civile era disinteressato a individuare le responsabilità che avevano condotto al conflitto, ma piuttosto interessato ai possibili vantaggi che i singoli stati avrebbero potuto ottenere al termine delle ostilità: “La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi”: ecco il concetto espresso da von Clausenwitz nel suo “Vom Kriege” che rende perfettamente l’idea della guerra come semplice strumento politico, uno fra i tanti, e come percorso glorioso e di breve durata. Purtroppo non fu così, e infatti con il passare degli anni il fardello delle atrocità sperimentate si farà sempre più pesante: scompare ogni retorica, e l’unica ambizione rimasta è quella di arrivare il prima possibile alla fine dell’atroce conflitto. Nascono i gioielli letterari di Ungaretti e di Rebora mentre cadaveri e scheletri cominciano a popolare veri e propri piccoli capolavori della incisione, quali gli ex libris di Willi Geiger, Arthur Paunzen e Mathilde Ade. Dopo il 1928, a pace raggiunta, la memoria della guerra diventa una cicatrice profonda, che rimarrà nell’animo dei sopravvissuti per tutti gli anni Venti.

MARCO RIGAMONTI |PRESEPI PADANI | VIAGGIO TRA I PRESEPI IMMERSI NEI PAESAGGI DELLA PIANURA PADANA

Dal 16.12.2018 al 10.02.2019

Lungo le strade di campagna di alcune aree della Pianura Padana era viva l’usanza, nel periodo natalizio, di esporre il presepe davanti alla propria abitazione, nell’aia della fattoria, nel cortile dell’azienda agricola. Questa antica tradizione va però scomparendo ed i presepi, a volte bizzarri ma sempre molto rappresentativi, diventano sempre più rari e difficili da trovare. Si trovano spesso su strade secondarie con pochissime indicazioni per raggiungerli. Una volta trovati, mentre mi accingo a fotografarli, spesso mi perdo nel bellissimo paesaggio che li circonda lasciandomi conquistare dalla dolcezza di questo splendido territorio a cui appartengo ma che a volte sottovaluto nella sua bellezza. In questo lavoro ho voluto raccontare ciò che rimane di questa rappresentazione popolare (spesso un po’ kitsch) della spiritualità tipica del Natale che racchiude in sé il senso religioso e la devozione tipici delle persone umili e semplici. Marco Rigamonti

ARMODIO | PASSEGGIATE FRANCESI FRA ALTRE OPERE

A CURA DI GIOVANNI FACCENDA

Dal 15.12.2018 al 10.02.2019

E’ un universo di rituali enigmatici, quello del Maestro Armodio: mise en scene di manufatti che, se e quando non esistono, eppure riconosciamo, un mondo parallelo costruito con i segni di questo, e da cui le cose prendono a prestito il proprio sembiante per poi vivere di una vita altra, in attesa di un qualche misterioso accadimento. Ecco allora che lo sguardo si attarda sulla pelle delle cose e sui suoi infiniti accidenti e cerca indizi, mappe di quella geografia segreta che ci faccia strada, al cuore del segreto. Inutilmente, perché l’enigma rimane ed è sì spiazzante ma mai perturbante: è garbato stupore, con dentro il sorriso di un’ironia misuratissima. Artista da sempre in ascolto del segreto ultimo delle cose, Armodio è Maestro dalla tecnica prodigiosa e di colto e luminoso pensiero. Una pittura asciutta, rigorosa, di stupefacente meticolosità in cui il rilancio delicato del contorno raccoglie i volumi con attenzione amorosa, figlia della migliore tradizione dell’antico. Una mostra straordinaria con, fra le tante opere, su carta e su tavola, il corpus dedicato alle sue Passeggiate francesi: quindici tempere in cui il gusto per lo straniamento si fa forma viva nella metamorfosi di scarpe visionarie eppure ricche di estrosa poesia.

IN BETWEEN | MALTA: LO SGUARDO DELL’ARTE FRA DUE CONTINENTI | PERCORSI MALTESI DI ARTE CONTEMPORANEA | VICTOR AGIUS AARON BEZZINA TREVOR BORG VINCE BRIFFA RYAN FALZON FRANCESCA MERCIECA JOE SMITH ANDREA ZERAFA

Dal 20.10.2018 al 09.12.2018

A cura di Joe Philippe Abela

Con la collaborazione di Elyse Tonna

La mostra sarà inaugurate da S.E. Vanessa Frazier, Ambasciatrice di Malta presso la Repubblica Italiana La Galleria Biffi Arte è lieta di presentare In between. Malta: lo sguardo dell’arte fra due continenti. Protagonisti della mostra, otto fra i migliori artisti attivi nel panorama dell’arte contemporanea maltese e al centro della ricerca, il concetto di tempo inteso come parametro diffuso interiorizzato, esperito e comunicato attraverso prospettive differenti. Con la supervisione di Joe Philippe Abela, gli otto artisti esplorano la complessità implicita nel concetto di tempo, analizzandone gli aspetti simbolici con differenti strumenti espressivi. Il tempo è una costruzione dell’uomo, agevola l’arte di essere e si manifesta attraverso i cambiamenti, gli sviluppi e il ricorrere degli eventi. Può essere interiorizzato in modo differente, talvolta incondizionato e non intenzionale, e può avere un andamento lineare, ciclico o finito. E’ un meccanismo trainante che continuamente ci induce a mettere in discussione, a investigare, a cercare di comprendere, a riflettere e a creare. Intrinseco al concetto di tempo quello della atemporalità che rappresenta il tempo come una circostanza infinita, contrastata e sfidata da infinite unità e strumenti di misura. Ma In between. Malta: lo sguardo dell’arte vuole anche offrire l’opportunità di schiudere lo sguardo sullo stato dell’arte a Malta: territorio di rara complessità culturale, l’isola è punto speciale di incontro fra due differenti culture, quella europea e quella africana, ed è nel contempo portatrice di una propria assoluta unicità.

ANDREA MODICA | RECENT WORKS

Dal 19.10.2018 al 09.12.2018

A cura di Annamaria Belloni e Marco Rigamonti

I soggetti fotografati da Andrea Modica, una delle più affermate ed interessanti fotografe del panorama americano degli ultimi anni, si collocano in un’atmosfera surreale, quasi al di fuori del flusso del tempo: non descrivono eventi o azioni particolari, ma vengono isolati in un tempo parallelo, come se l’autrice volesse avvolgerli di una nuova sacralità. I luoghi nelle immagini di Modica non sono descritti, ma sono avvolti in un’atmosfera misteriosa e a tratti inquietante, dove può accadere che il bianco di una stoffa di un cuscino o una tovaglia, diventi un fondale per un soggetto apparentemente banale, che l’artista riesce a trasformare nel protagonista di un racconto metafisico. Lo stesso tipo di mistero si coglie nelle immagini del lavoro più recente “January 1”, un progetto fotografico realizzato in occasione di un evento che si svolge da trecento anni nei quartieri della classe operaia di Philadelphia (città dove l’autrice vive e lavora): “the mummers” (i mimi), a differenza degli altri soggetti, sono ritratti in maniera seriale, collocati in scorci cittadini anonimi, dove il mistero sta non tanto nei luoghi senza tempo delle ambientazioni precedenti, bensì negli sguardi e negli atteggiamenti di persone comuni, vestite per un giorno con abiti goffi e improbabili, ben lontani dalla realtà quotidiana, come provenienti da un’epoca differente. Tutte le fotografie in mostra sono state scattate con banco ottico e stampate a contatto 20×25 con l’antica e preziosa tecnica del platino-palladio. Andrea Modica è nata a New York e vive a Philadelphia, dove lavora come fotografa e insegnante alla Drexel University of media arts and design. I suoi lavori fanno parte delle collezioni permanenti delle più prestigiose istituzioni e musei americani.

GIOVANNA GIACHETTI | IL GIARDINO DI LATTA

Dal 19.10.2018 al 09.12.2018

A cura di Martina Corganti

In questa sua ultima personale, Il Giardino di latta, Giovanna Giachetti presenta un corpus di opere inedite, realizzate appositamente per l’occasione, assemblate in un’installazione complessa e suggestiva, che occupa l’intero spazio dell’Antico Nevaio della Galleria. Il visitatore si trova circondato da “laghi delle ninfee”, fiori alti sullo stelo, personaggi dall’aspetto esile e straordinario, un grande “mantello” dai molteplici intarsi, e diversi elementi a parete che trasformano l’ambiente in un luogo incantato e ambiguo, fiabesco ma non privo di inquietudine. Il Giardino di latta, un titolo che discretamente richiama sia i celebri giardini delle ninfee di Claude Monet sia le cadenze stridenti del capolavoro di Günter Grass, Il tamburo di latta, riflette la scelta effettuata dall’artista alcuni anni fa, da quando cioè latta o lamiera corredata da fili e altre componenti metalliche “povere” sono diventate l’unico materiale da lei utilizzato; un materiale duro e tagliente che però, adeguatamente battuto e trattato, si dimostra capace di insospettabili sensibilità tanto al segno e al colore quanto, più prevedibilmente, alla luce. Il risultato sono elementi plastici sempre privi di volume che, per la loro stessa natura, compromettono l’idea di scultura pur senza rinnegarne la valenza spaziale. In mostra è proposta una ventina di opere recenti: personaggi dalla raffinata fisionomia e in forma di stele, tantissimi fiori ed elementi circolari dal sapore talvolta quasi optical che letteralmente dilagano nella stanza e sulle pareti, operando uno straniante ribaltamento fra la dimensione verticale del quadro e quella orizzontale “tipica” di questo tipo di intervento; infine, completa l’insieme uno straordinario e teatrale mantello trasparente, tutto composto da fili ed elementi metallici vibranti alla luce, emblema di una regalità (o dignità) tanto antica e magniloquente quanto vuota e simulacrale. Intense ma rarefatte le memorie di un’Africa lontana e archetipica, che per l’artista resta un’imprescindibile riferimento poetico e culturale. La mostra è a cura di Martina Corgnati, storica dell’arte e curatrice, docente all’Accademia di Brera di Milano Giovanna Giachetti, italiana, è nata a La Chaux de Fonds (CH) e ha lungamente vissuto fra Lagos (Nigeria), il Botswana e l’Italia. Si è diplomata in scultura all’Accademia Albertina di Torino. La sua opera è stata presentata in decine di mostre personali e collettive in Italia e all’estero; l’ultima, al Castello di Lagnasco (CN) è accompagnata da un ricco catalogo edito da Skira. Vive e lavora fra Cuorgnè e Milano

KIM SOMMERSCHIELD | COME UN IRTO FIORE

Dal 08.09.2018 al 14.10.2018

Io fui sui monti come un irto fiore –e guardavo le rocce, gli alti scogli per i mari del vento – e cantavo fra me di una remota estate, che coi suoi amari rododendri m’avvampava nel sangue–

Antonia Pozzi, febbraio 1934

Nato in Inghilterra da famiglia di appassionati d’arte, Kim Sommerschield ha scelto, quale mezzo per il proprio operare artistico, l’acquarello: con questo strumento “implacabile” e fortemente votato all’astrazione, l’artista dà forma, pittorica e finanche poetica, alle proprie passioni, prima fra tutte quella per la montagna. Una montagna evocata non più come pura rappresentazione mimetica, ma come contenitore di un sentire profondo e meditativo. Nasce un corpus di opere, appositamente create per questa mostra, in cui sotto alla filigrana del colore emerge la voce struggente della poetessa Antonia Pozzi (1912-1938), da cui il progetto ha preso spunto, ricordandone l’anniversario della morte, per farsi meditazione su ciò che è spesso alla base del processo creativo: la solitudine. La mostra non vuol certo essere un percorso biografico-ideologico, ma piuttosto un progetto autoriflessivo il cui punto di partenza è proprio l’evocazione dei luoghi montani aspri e solitari in cui la poetessa cercava pace e ispirazione. Luoghi che nella traslitterazione di Sommerschield diventano “luoghi dell’anima”. Una mostra che è anche sul dipingere inteso come processo di affinamento e sintesi, inseguendo un ideale estetico fuggente eppure potente, che trova consonanza nelle parole della Pozzi, “asciutte e dure come sassi”. Ma la mostra accoglie, infine, anche un’altra istanza, certamente specifica ma di risonanza universale e trasversale alle epoche: è la tragedia di Antonia Pozzi intesa come drammatica lotta di una giovane donna contro una patriarchia aggressiva e le soffocanti convenzioni sociali.

ARMANDO FETTOLINI | IMMERGERSI NEL CIELO

Dal 08.09.2018 al 14.10.2018

Ormai da qualche anno Armando Fettolini ha trovato il blu. E con il blu ha scelto di immergersi nel cielo. I suoi paesaggi, le sue Derive occasionali – già paesaggi dell’anima ma ancora ascrivibili a un genere pittorico figurativo – si sono mutati in campiture astratte, dove la materia gioca sempre un ruolo da protagonista, permeata, però, di un colore che ha finito con il predominare nella tavolozza dell’artista, il colore simbolico per eccellenza, grande protagonista dell’arte di tutti i tempi. Progressivamente i paesaggi di Fettolini hanno smarrito il confine tra terra e cielo, hanno perduto la linea dell’orizzonte, si sono fatti luoghi intangibili e infiniti, spazi in cui l’elemento paesistico è relegato ad alcuni cenni simbolici o si è nascosto in piccoli dettagli che schiacciano l’occhio alla produzione passata. Lo sguardo dell’artista è andato oltre l’orizzonte, si è perso tra Whistler e Rothko, annullando i confini di un genere pittorico senza cercarne altri, vagando liberamente in un gioco sottile e convincente di pennellate materiche, costruzioni geometriche e decostruzioni visive, senza darsi alcun limite se non il proprio istinto pittorico. Le campiture si sono fatte sempre più geometriche, fino alla destrutturazione della superficie pittorica in frammenti, in moduli composti e compositi, che donano all’opera un margine straordinario di libertà e possibilità di cambiamento. I paesaggi sono diventati cieli – o meglio, ipotesi di cielo – e spazi assoluti in cui perdersi con l’immaginazione. Sono opere fortemente immersive, avvolgenti e sospese, che paiono giocare con il vero, sfiorandolo per poi allontanarsene. Opere che raccontano una scelta: una scelta espressiva ma anche una scelta poetica, compiuta incamminandosi in un percorso che inizia, non a caso con l’immagine di una stella salente, una stella che simboleggia la volontà del cambiamento e del fare e non l’attesa passiva dell’avverarsi di un desiderio. La volontà e la scelta paiono, dunque, essere due parole cardine di questa nuova produzione, giunta dopo quarant’anni di ricerca coerente e personale, segnando di fatto una delle fasi più convincenti della produzione dell’artista.

Simona Bartolena

CARLO BARUFFALDI | IL PESO DEL MONDO, L’AMORE

Dal 07.09.2018 al 14.10.2018

Il peso del mondo è amore. Sotto il fardello di solitudine sotto il fardello dell’insoddisfazione il peso, il peso che portiamo è amore.

Allen Ginsberg (Newark, 3 giugno 1926 – New York, 5 aprile 1997)

Come Dorian Grey, Carlo Baruffaldi, nato a Correggioverde, in provincia di Mantova, nel 1934 ha saputo mantenere una specie di eterna giovinezza, dopo una vita errabonda che lo ha portato a girare il mondo dipingendo, sempre dispensando fantasia con la leggerezza di un incantatore elegante e sfuggente insieme, un narratore dell’eterna fiaba dell’amore, inseguito e perseguito con, come sottofondo, l’incanto della voce della moglie cantante lirica. E le sue opere sono poesia fatta colore, musica visiva: viaggio senza fine e senza ritorno tra pianeti che hanno l’iridescenza dei sogni. Baruffaldi si è mosso nello stesso modo, quasi veleggiando in solitaria, anche nell’accostarsi alla pittura, anche se ha frequentato Giorgio De Chirico, al punto da considerarlo se non il proprio maestro almeno un costante punto di riferimento, a Chagall e Mirò, conosciuti personalmente a Parigi. Così ha mantenuto l’inquietudine dello zingaro, sempre pronto a partire con un bagaglio minimo, disponibile all’avventura, al rischio, con un ottimismo di fondo tenace e testardo che gli fa superare il suo carattere umorale ed umbratile. le sconfitte in un andare oltre fatto di strade, scie, ponti, barche, vorticare di luci, pianeti e acque che colorano cieli in fantomatici colori, in vastità che darebbero un senso di smarrimento e vertigine, se non fosse che proprio qui, proprio ora improvvisamente la coppia, il maschio e la femmina, si congiungono e dandosi la mano procedono per la propria strada. E’ una specie di eterno sogno, di rinnovato rimpianto di una giovinezza e di primavere eternamente cicliche. Come ha scritto Allen Ginsberg, uno dei poeti più rappresentativi della Beat Generation:

“… ma noi il peso lo portiamo stancamente, e dobbiam trovar riposo tra le braccia dell’amore infine …”

Ed è quello che ha sempre fatto e fa Carlo Baruffaldi raccontando e scrivendo con i colori i suoi personali viaggi nel sentimento che sono abbandono confidente all’emozione, sono disponibilità a lasciarsi andare senza remore né garanzie, sono il diario continuamente riscritto tra il desiderio e la disponibilità a farsi incantare.

Marzio Dall’Acqua

ELEONORA MARZANI | POSTCARDS TRILOGY

Dal 22.06.2018 al 08.07.2018

Video Project di Eleonora Marzani

Ad ogni latitudine il vestito porta un dono. È per uno sguardo che ci prepariamo. Davanti allo specchio non decidiamo di metterci soltanto gli abiti che ci stanno meglio addosso, ma ci visualizziamo in un paesaggio immaginato e sociale in cui agiremo. È proprio in funzione di questo che scegliamo gli abiti e con essi lo ‘portiamo’ con noi nel mondo. Questo vale in maniera particolare per l’Italia, dove la relazione tra quel che si mette e ciò che si è non è mai casuale, anzi ha una chiara lettura identitaria. Postcards Trilogy è costituita in tutto da 42 brevi video-cartoline e dai testi che le accompagnano. In ogni postcard appare un solo protagonista che indossa un capo d’abbigliamento che gli appartiene, che ama molto ma non ha (quasi mai) l’occasione di mettere. Così vestito, è collocato in un paesaggio/scenografia scelto da me e rimane lì ad aspettare, senza far nulla, senza far finta che non ci sia un occhio che guarda, senza intrattenimenti o diversioni. I video successivamente montati sono accompagnati da libretti con i testi creati a partire da interviste fatte ai protagonisti dopo l’esperienza dell’attesa. Queste sono le regole del gioco. La performance è uno strumento usato qui nella sua accezione di ‘prestazione’: non c’è esibizione vera e propria ma piuttosto l’esperienza dell’essere visibili in maniera diversa dal quotidiano. Eleonora Marzani ELEONORA MARZANI, attrice, performer, formatrice e visual artist. È tra i vincitori del Premio Creatività 2017 – Progetto SPACE, promosso dal Comune di Ascoli Piceno, ed è membro del centro di ricerca artistica CHAIA/Università di Évora, Portogallo

DARIO BALLANTINI DIPINTI | SCULTURE | VIDEO

Dal 08.06.2018 al 08.07.2018

A cura di Massimo Licinio

In mostra alla Galleria Biffi Arte un cospicuo corpus di opere pittoriche che, accanto a video e sculture, costruiscono il percorso artistico di Dario Ballantini (Livorno, 1964). E’ un linguaggio certamente figlio dell’approfondita assimilazione delle prime avanguardie artistiche, espressionismo e cubofuturismo in modo particolare, ma pronto a riconfigurarsi in un gesto violento eppure controllatissimo, impaginato in campiture esatte di colore fermentante. Ed è il volto come “maschera” (non a caso al centro della vita professionale altra di Ballantini), il territorio di elezione di questo lavoro, in cui il colore è portatore di un’energia che fa della tela un vero e proprio campo di forze. In dialogo con le opere pittoriche, una selezione di pezzi prodotti dal migliore design italiano, per gentile concessione di Pialorsi Arredamenti, a evocare i contorni di un paesaggio domestico in cui le forme pure degli arredi temperano i colori “furiosi” di Ballantini, in un dialogo felice di voci contrapposte. Consulenza artistica di Gianmaria Tosca In collaborazione con Michele Votto per ARTeCORNICE Con la partecipazione di PIALORSI Arredamenti e Kadō Flower Design

SCIENZA E CARITA’ | GRUPPO IDEAIMMAGINE

Dal 05.05.2018 al 03.06.2018

Mostra fotografica in occasione di Omeofest 2018, Festival dell’Omeopatia e delle scienze umane

Non è stato un viaggio privo di sorprese quello affrontato dai fotografi del Gruppo ideaimmagine alla ricerca di una rilettura iconografica sul tema dell’edizione 2018 del Festival dell’Omeopatia, “Scienza e Carità”. Interrogativi profondi hanno però fatto emergere percorsi e ritrovamenti per nulla scontati, le cui immagini hanno permesso agli autori di tracciare una mappa nuova, che sposta i confini oltre il momento di esperienza del reale. Forse mai come in questa edizione, la fotografia (Scienza?) si è rivelata come uno degli strumenti più attuali per indagare con coscienza (Carità?) il nostro tempo, perché il progresso non sta nel trovare delle risposte, ma farsi sempre nuove domande.

MAITI (Maria Teresa Invernizzi) | STANDART CLIPS

Dal 05.05.2018 al 03.06.2018

Presentazione di Giovanni Chiara

In mostra gli ultimi lavori della scultrice Maiti (Maria Teresa Invernizzi): una serie di sculture “da parete” che, con una linearità ora filiforme e ora leggermente più corposa, testimoniano la mediazione visiva con la terza dimensione tramite spessori che paiono tratti grafici, e si offrono all’armonia del fluire delle linee. Dal tondino di ferro alle fascette per materiale elettrico, si concretizza un percorso artistico raffinato e originale: il mostrarsi di primo acchito come rappresentazione criptica, viene decodificato attraverso il riconoscimento di soggetti propri di una sfera di conoscenza affettiva. Incontriamo così tuffatori perduti nel nulla di un elemento da scoprire, ai quali si affiancano le anatomie umane tronche che sanno di reperto, vene e arterie a incrociarsi nell’essenza della scorrevolezza delle forme, fino alle anatomie equine, teste e non solo, tracciate come fossero schizzi veloci, eppure corpose di sostanza forte.

GIUSEPPE MASCARINI (1877-1954) | LO SGUARDO VIGILE SUL REALE E IL RARO LUSSO DI “DIVAGARE NEL SOGNO”

Dal 04.05.2018 al 03.06.2018

A cura di Antonio D’Amico

Giuseppe Mascarini nasce diciannove anni dopo Giovanni Segantini e soltanto nove dopo Giuseppe Pellizza da Volpedo e il suo linguaggio figurativo viene dall’Ottocento lombardo, in quanto, come sottolinea il futurista Carlo Carrà, la sua pittura è autenticamente lombarda e ottimamente inquadrata in un disegno sobrio ed equilibrato. Dopo l’ultima esposizione personale tenutasi alla Permanente di Milano nel 1942, dopo oltre settantasei anni dunque, alla Galleria Biffi Arte si potranno ammirare da vicino una selezione di circa trenta opere che evidenziano l’affascinante parabola artistica di Giuseppe Mascarini che si è soffermato, “sovranamente appartato da ogni specie di cenacolo”, a dipingere superbe vedute paesaggistiche, rifugiandosi in Engadina tra i luoghi cari a Segantini, ma anche raffinatissimi ritratti della vita intima famigliare e della borghesia milanese. La pittura di Mascarini, che è stata oggetto di una sistematica catalogazione confluita nel volume pubblicato da Skira e curato da Antonio D’Amico con contributi di alcuni tra i massimi studiosi dell’arte lombarda tra cui Annie-Paule Quinsac, è strettamente ancorata all’intramontabile cultura figurativa tardo-ottocentesca, dalla quale il pittore milanese non si separerà lungo tutta la sua esperienza artistica, fervida di suggestioni antiche ma reinterpretate con originalità e freschezza. Su questa scia della sicura aderenza al dato reale, Mascarini rimane fedele a se stesso e ferma nel tempo le sue immagini con la consapevolezza, come egli stesso dichiara, che “la vita è movimento ed io invece sto fermo e dipingo”. Il suo atteggiamento è quello di chi ha esercitato per tutta la vita la bella pittura, vivendo con sereno distacco i nuovi fermenti del Novecento, senza lasciarsi influenzare dal futurismo o dalle avanguardie che acclamano la destrutturazione della forma, rimanendo nel chiuso del suo studio a dipingere gli affetti e gli sguardi della quotidianità a lui più prossima. Il suo linguaggio pittorico, come afferma Antonio D’Amico, “è leggiadro, decantato sui rivoli del reale, attento com’è al valore della vita e degli affetti famigliari che lo proteggono persino negli anni del secondo conflitto mondiale, immerso com’è nella sua torre d’avorio, fatta dalla gioia della nascita di una figlia e dalla presenza di una giovanissima seconda moglie. Questa serenità lo accompagnerà fino alla morte, generando opere, oggi nascoste in numerose collezioni, in cui i travagli del mondo moderno non trovano posto”. I suoi scenari infatti, sono delicati e placidi, come i ghiacciai che dipinge salendo nel silenzio dell’alta montagna, la pennellata che incornicia i volti è decantata con armonia, dimostrando che ad appagarlo è la bellezza che emana dalle piccole cose, fermando sulla tela il tempo e lo spazio. Laddove si accosta al simbolismo, come nella dolcissima e delicata Campanella, una tela databile intorno al 1924, Mascarini non manca di raccontare la semplicità dell’umano esistere e l’innocenza che solo gli animi gentili hanno la possibilità di cogliere e vivere. Nella sua arte, scrive Annie-Paule Quinsac, “preferì affidarsi al proprio intuito d’artista che, riletti e assimilati scapigliatura e divisionismo, lo portò a un equilibrato uso del chiaroscuro e a una pittura sciolta e ariosa, dove la pennellata non è fonte di espressione ma sorregge le forme in una sintonia di volumi e toni, in cui domina la sicurezza del tratto”. In mostra, si avrà la possibilità di ammirare la pittura di un artista, vissuto tra due secoli, che ha saputo mantenere lo sguardo vigile sul reale, concedendosi il raro lusso di “divagare nel sogno”. In mostra anche numerosi prestiti provenienti da istituzioni pubbliche. Nell’ambito della mostra, due importanti conferenze dedicate alla tradizione pittorica lombardo-piemontese fra fine Ottocento e inizio Novecento: Venerdì 18 maggio ore 18 La ritrattistica fra fine Ottocento e inizio Novecento: i benefattori dell’Istituto dei Ciechi di Milano Conferenza di Melissa Tondi, Responsabile dei beni culturali dell’Istituto dei Ciechi di Milano Mercoledì 30 maggio ore 18 Il disagio di fronte alle avanguardie. Giacomo Balla, Vittore Grubicy de Dragon e quattro pittori della tradizione nell’ambito lombardo-piemontese della prima metà del Novecento: Giuseppe Mascarini, Carlo Fornara, Ambrogio Alciati e Clemente Pugliese Levi Conferenza di Annie-Paule Quinsac

OFF BRERA | SEI PERCORSI PER SEI NUOVI ORIZZONTI |  YUKI AOKI, ALESSIO BARCHITTA, DANIELE FABIANI, DOMENICO LIGUIGLI, VALERIA MANFREDDA, JULIAN SORDI

Dal 24.03.2018 al 29.04.2018

A cura di Maurizia Bonvini

Galleria Biffi Arte | Piacenza Antico Nevaio Dal 24 Marzo al 29 Aprile 2018 Inaugurazione | Sabato 24 Marzo ore 17.00 Off Brera, è uno sguardo sul futuro dei ragazzi dopo gli anni dell’Accademia. Artisti, giovani alla ricerca di una strada, di un linguaggio espressivo proprio, che può essere tra quelli esplorati durante gli anni di studio, ma anche del tutto diverso. Per alcuni il percorso appare semplice, lineare, già definito da un talento evidente, per altri invece la strada appare nuova all’improvviso. Alcuni esplorano di continuo tracciati inediti, altri cercano di unire talento e stabilità, indagando le possibilità dell’insegnamento o quelle nell’ambito del design. In comune tutti hanno la spinta costante alla ricerca. Perché questa, di là di ogni specifico percorso, è la peculiarità, l’impronta che lascia l’Accademia: l’urgenza a guardare sempre avanti, a incamminarsi per vie diverse di espressione, sperimentando tra linguaggi e materiali. Senza porre limiti nel percorso creativo. E questa è la differenza, lo stigma dell’Accademia di Brera, il segno che più di ogni altro fa la differenza tra Accademia e percorsi di studi diversi. I sei artisti presenti in questo group show (Yuki Aoki, Alessio Barchitta, Daniele Fabiani, Domenico Liguigli, Valeria Manfredda e Julian Soardi) applicano alle proprie radici l’irrinunciabile spinta alla sperimentazione, e danno voce creativa a quel sentire profondo che si portano dentro e che segna l’inizio della loro storia. Yuki Aoki appartiene a una cultura in cui la carta ha un significato quasi sacro: kami, in giapponese, significa carta, ma anche “Dio, divinità che si esprime nella natura”. Ecco allora che lavorare la carta, per un giapponese, significa ricercare un rapporto spirituale, profondo, personale con l’ambiente e con la natura. Alessio Barchitta la sua Sicilia l’ha stampata dentro e nei suoi strappi al silicone ha trovato forma, modo e materiale per raccontarne le architetture e le tracce. Per Daniele Fabiani, la valle lombarda, in cui è cresciuto, è la lente attraverso la quale guardare il mondo. E ovunque se ne rintracciano i segni: nei tratti, scorci di volti che si immergono nei laghi, o nei materiali, i legni che non può impedirsi di flettere e rivestire di colore – non colore: è il bianco velato che percorre tutta la sua ricerca. Domenico Liguigli, vola e spazia tra linguaggi e materia, cerca segni con cui marcare la sua storia, consapevole che solo il tratto creativo resta, esplora a tutto tondo, cerca la luce in uno spaccato di marmo che prima brucia, o nei dipinti a olio dove un punto bianco fende il nero assoluto. Ma la sua installazione può essere, ed è stata, anche solo UN punto, un segnale di luce. La sua. Per Valeria Manfredda l’arte è luce, un percorso che deve lasciare tracce, con fibra ottica, o nei riflessi e nei bagliori dell’acciaio e del rame, elementi che forgia perché moltiplichino i bagliori del sole. E infine il mare, luogo imprescindibile della sua storia personale, entra nel lavoro di Julian Soardi, in forma di ghiaccio. La sua è una riflessione sul rapporto fra mente e percezione visiva: una ricerca in cui, come dice l’artista stesso “L’incorporeo che si presenta ai nostri occhi ha le sembianze di una presenza immateriale”. Perché siamo all’apice della smaterializzazione dell’individuo e la materia non lascia più traccia. E’ importante dar vita ad iniziative di questa natura, nella convinzione di intraprendere un processo virtuoso, utile al pubblico dell’Arte, che vede affermarsi nuove presenze, con la possibilità di un collezionismo più avvicinabile; alle Istituzioni che hanno ulteriori momenti di verifica del proprio lavoro; alle Gallerie che hanno modo di intercettare nuove personalità, e infine ai giovani autori che possono valutare dal vivo l’effettiva efficacia della propria operatività. Renato Galbusera già docente di Pittura all’Accademia di Belle Arti di Brera

ANTONELLA SIGNAROLDI | Yā-Huā Alla finestra

Dal 24.03.2018 al 29.04.2018

A cura di Susanna Gualazzini

Galleria Biffi Arte | Piacenza Sala Biffi Dal 24 Marzo al 29 Aprile 2018 Inaugurazione | Sabato 24 Marzo ore 17.00 In mostra 24 lavori frutto della inesausta volontà sperimentatrice dell’artista piacentina Antonella Signaroldi. Scostandosi dalla consuetudine con le tecniche incisorie più tradizionali, a lungo praticate, con questi lavori Signaroldi affronta modalità nuove, e sfrutta la sapiente familiarità con il torchio per approdare a esiti sorprendenti. E sono i figli più randagi della natura, i protagonisti di queste carte: erbe infestanti, baccelli solitari, girasoli spolpati del loro sole, rose sfinite, radici denudate: Signaroldi lavora fiori, erbe spettinate e indocili, e li riarmonizza con gesti sicuri. Nasce un erbario di frammenti che celebrano l’impermanenza di essere, di esserci, ma che nel respiro finale del torchio, si fanno impronta definitiva che la carta restituisce con indicibile grazia. Ed ecco che, alla fin fine, è forse improficuo e superfluo interrogarsi sulla esatta appartenenza tecnica di questi lavori: sono, a tutti gli effetti, impressioni, tracciati di pochi segni risonanti, in cui la eco di forma e colore si fa sinopia, carica di tenerezza.

BARBARA SILLARI | L’ACQUA E LA BATTAGLIA DELL’EVANESCENZA

Dal 24.03.2018 al 29.04.2018

Presentazione di Susanna Gualazzini

Galleria Biffi Arte | Piacenza Sala delle Colonne, Salone d’Onore, Sale del Paradiso Dal 24 Marzo al 29 Aprile 2018 Inaugurazione | Sabato 24 Marzo ore 17.00 La retrospettiva presentata alla Galleria Biffi Arte L’Acqua e la battaglia dell’evanescenza ricostruisce la produzione pittorica di Barbara Sillari in un arco cronologico quasi ventennale, dal 1990 al 2018: un percorso complesso, di scontro e di scelta tra tenebre e luce, di cui la mostra ripercorre le varie tappe. A cominciare dalla serie dell’Eroe e i guerrieri, del 2001, in cui le tele si trasformano in veri campi di battaglia alla conquista dell’auto-consapevolezza, e dove la realtà si scontra con le forze dell’inconscio. Con la serie Trasposizione notturna il percorso metamorfico dell’artista si abbandona libero e fiducioso a una modalità simbolica: nasce una ricerca introspettiva che porta Barbara Sillari a una visione più meditativa e contemplativa dell’infinito, verso un linguaggio astratto e volutamente universale. Con i lavori dell’ultimo periodo, Aqua, origine della vita e Ondine (2007-2018) l’artista riflette sul concetto di “evanescenza”: il colore blu con tutte le sue complesse implicazioni di ricerca diviene, insieme al mare, luogo di contemplazione e punto di partenza per sperimentare sui colori più enigmatici. Un percorso che conferma la volontà, da parte dell’artista, di porre il proprio lavoro in continuità con la migliore tradizione dell’arte mediterranea, sia moderna che contemporanea. Barbara Sillari nasce a Modena nel 1963, vive a Monte-Carlo e dipinge da più di trentacinque anni, dividendosi fra Roquebrune-Cap-Martin e le colline modenesi. Subito dopo gli studi, in Italia e in Francia, è stata selezionata dal Centro Studi Antonio Ligabue di Parma con il quale ha collaborato per molti con mostre prestigiose. Ha avuto il privilegio di rappresentare il Principato di Monaco alla 50ma Biennale di Venezia (2003) ed è stata selezionata ufficialmente dal Governo Principesco per partecipare all’Esposizione Universale di Shangai (2010) e di Milano (2015) presso il Padiglione Ufficiale di Monaco con la personale Acqua, origine della vita.

GIORGIO TENTOLINI E MICHAEL GAMBINO| ILLUSIONI E NARRAZIONI

Dal 24.02.2018 al 18.03.2018

A cura di Alessandra Radelli

Gioca di sponda tra illusioni ottiche, finzioni, suggestioni e storie narrate la mostra in programma dal 24 febbraio al 18 marzo alla Galleria Biffi Arte di Piacenza. Organizzato in collaborazione con Colossi Arte Contemporanea di Brescia, il progetto mette a confronto e in dialogo due artisti dell’ultima generazione, entrambi caratterizzati da un immaginario multiforme, da un uso libero e inedito dei materiali e dalla capacità di muoversi in equilibrio tra una figurazione pulita e un concettuale intelligente e sofisticato. Giorgio Tentolini presenta una serie di figure femminili che pur collocandosi nell’iconografia più tradizionale – quella del ritratto e del nudo – spiazzano per la scelta di un materiale duro, inaspettato: una serie di stratificazioni di rete metallica ritagliata dall’artista in modo da ricostruire l’effetto del chiaroscuro fotografico. Stratificare materiali, ritagliarli, scomporre l’immagine per poi ricomporla come in un incantesimo, muoversi in un mondo ibrido tra bidimensionalità e scultura è stata la modalità dell’artista fin dall’inizio, quando faceva comparire personaggi fantasmatici tra strati di tulle o li creava da sovrapposizioni di nastro adesivo. Ma oggi, con la rete metallica, Tentolini ha fatto un ulteriore passo avanti. Le sue grandi Jeune filles, infatti, se viste da lontano ci osservano ammiccanti e sensuali, integre nella loro fisicità, una volta che lo spettatore si avvicina, incuriosito dalla consistenza ruvida del materiale, magicamente si dissolvono, si smaterializzano in un intrico di nodi metallici, in una versione riveduta e corretta dell’Optical Art e dell’Arte Cinetica. E ancora nuove letture offre il lavoro quando si scopre che a queste Jeune filles contemporanee Tentolini affianca le teste della statuaria classica, che ai loro corpi sensuali avvicina quelli di Veneri antiche, piene e materne, dandoci la misura di una bellezza che cambia e dell’inesorabile scorrere del tempo. Anche Michael Gambino si muove tra la bidimensionalità dell’opera a parete – questo sono, a tutti gli effetti, le sue installazioni – e la tridimensionalità della scultura, costituita qui di elementi recuperati (e l’objet trouvé in questo caso è il libro) e sciami di farfalle. Non le farfalle di Hirst, però, memento mori violentemente strappato alla vita in nome dell’arte, ma finzioni, illusioni di sciami: le farfalle, infatti, sono create dall’artista, ritagliando pazientemente la carta secondo i colori della natura. Sono queste creature leggere, dall’aspetto perennemente vibrante, a uscire come storie narrate dalle pagine dei libri che lui incastona al centro di composizioni eleganti, pulitissime, giocate su sinfonie di colori accesi. E sono sempre loro a sostanziare le grandi planimetrie, realizzate con uno sguardo alla gioia cromatica di Boetti e un altro alla precisione scientifica (Gambino viene da studi in scienze e biologia) che lo spinge a costruire ogni nazione proprio con le farfalle che lì, in quei luoghi, hanno il loro habitat. E – ancora – sono le farfalle protagoniste dei ritratti di profilo, spesso installazioni site-specific, che invadono gli spazi espositivi in un trionfo di ali palpitanti, in un brusio sommesso di colori e di luce. Simboli dell’effimero, precarie e fuggevoli, ma capaci di rinascere in forme nuove, di rivivere, e dunque – anche – simboli della metamorfosi e dell’eternità, le farfalle sono, per Gambino, l’idea stessa della bellezza. Una bellezza che racconta il mondo (sì, proprio il pianeta) e lo redime, che trasfigura la parola in poesia, che sostanzia le persone che amiamo. Una bellezza salvifica che può disperdersi in un istante, nel volo improvviso dello sciame, ma che in virtù dell’arte prima o poi tornerà a posarsi.

TIZIANA CERA ROSCO | LA CREATURA ININTERROTTA

Dal 24.02.2018 al 18.03.2018

A cura di Davide Brullo

Con La Creatura Ininterrotta, titolo della nuova mostra di Tiziana Cera Rosco, l’artista espone una serie di lavori, dalla performance alla scultura, passando per la fotografia e l’installazione, che mostrano un filo conduttore sottostante la sua ultima produzione, Holocene. Cresciuta nel parco nazionale d’Abruzzo, rintracciamo in lei una matrice sacra e naturale, una sorta di genesi mai esauribile. La performance Patientia, presentata negli scatti di Yari J.Montemagno, e che è una lentissima preghiera deformante, è nata e si è conclusa proprio nel bosco del lago di Barrea, in cui risiedono le sue origini, un bosco di salici argentati sommersi per la maggior parte dell’anno, i cui tronchi sembrano zampe e la cui caduta stabilisce la nascita di un nuovo tronco. Ed è proprio questa forma di rigenerazione continua che troviamo anche all’interno del lavoro dell’artista. Dai materiali scelti (il gesso usato negli ultimi calchi è lo stesso gesso usato nelle performance e ugualmente si può dire per l’uso delle radici e della canapa) ai temi affrontati. Il nucleo centrale della produzione dell’artista è il corpo, da cui potremmo rintracciare una sorta di biografia rituale, tenuto conto che Cera Rosco usa il proprio come matrice per ogni opera. Ma con l’ultima produzione si compie una sintesi più compiuta, in cui i luoghi suggeriscono l’anima del lavoro. Se prima era stato il suo luogo di nascita a far emergere l’espressione di una profonda ritualità, nei nuovi lavori troviamo il primordiale di un altro luogo: l’Islanda. Infatti il ciclo delle sculture Holocene nasce dopo un lungo viaggio nell’isola più primitiva del nord Europa, l’Islanda, che sintetizza con i suoi ghiacci e i suoi fuochi, una sorta di genesi mai estinguibile. I corpi che ci vengono presentati paiono reperti, resti rinvenuti da un passato remotissimo, che hanno subito metamorfosi non si comprende se durante la loro vita o in seguito ad essa. Si rimane così nell’ambiguità del capire se sono forme che ci hanno preceduto o resti di noi, per come ci ritroveranno nel futuro, primitivi come siamo. I materiali usati sono il gesso, la canapa, il bitume a cui si uniscono reperti animali e vegetali. Sembrano corpi che declinano una preghiera, l’emersione di quanto ha resistito al tempo ed è per questo divenuto eterno a se stesso, il rintracciamento di qualcosa di sacro a cui l’artista non smette di lavorare. Ogni frammento di corpo porta come titolo un frammento di versi di Cera Rosco. Ricordiamo “il mio fondo inumano sarà manifesto”, “vedremo il nostro linguaggio scoperchiarsi”, “sono l’animale a cui non ho più bisogno di credere” “my hearth is not here”: sembrano suggerirci ciò che la poesia ci impedisce di dimenticare, ossia l’enigma che riguarda la vita per quel che è e che non recuperiamo mai in forma narrativa ma solo per illuminazioni. Ed è cosi che l’artista affida al suo autoritratto “il mio ultimo giorno in me” l’immagine della mostra: un bacino spezzato dalla cui dolcezza viene rilasciata un’ernia inguinale. Cera Rosco ha sempre lavorato esclusivamente con l’immagine del proprio corpo e con la propria figura, usandola cosi tanto, dagli autoscatti, ai calchi sempre originali (data la sua ossessione per l’opera non riproducibile), da far “scomparire” la sua figura, superandola in un universale. L’installazione Anthurium – che è il nome di un fiore, il primo che l’artista ha usato nella sua produzione fotografica- richiama il tema del perdono, e insieme a quello della deposizione, è l’altra dominante della produzione dell’artista: 490 piccoli corpi che richiamano la frase del vangelo “quante volte bisognerà perdonare? 70 volte 7”, una riflessione sulla sufficienza o meno del perdono e sull’essere fatti a immagine e somiglianza di Chi.

GIUSEPPE LORENZON | PAESAGGI PADANI

Dal 24.02.2018 al 18.03.2018

A cura di Susanna Gualazzini

Venticinque scatti, frutto dello sguardo esperto del fotografo Giuseppe Lorenzon, portano in mostra tutta la dolcezza del paesaggio padano: le sue colline, i suoi colori nella mutevolezza delle stagioni, l’operosità dei suoi abitanti. Nasce un repertorio che racconta la specificità di luoghi con cui l’autore stabilisce un rapporto di appartenenza profondo, antico. Un senso di appartenenza che risuona in ciascuno di noi.

Paolo Luxardo | Le Geometrie della percezione

 

Dal 20.01.2018 al 18.02.2018

A cura di Claudio Castellini ed Elena Zani

Testo critico di Luciano Caprile

Le geometrie della percezione si sviluppa attorno a sedici scatti scelti dal lavoro recente di Paolo Luxardo, fotografo ligure, classe 1962. Un percorso attraverso opere che da un’impronta minimalista evolvono verso visioni surreali e metafisiche, approdando a soluzioni sorprendentemente affini all’indagine pittorica. Recentemente selezionato per partecipare alla ventiduesima Esposizione d’Arte Contemporanea di Avignone Entre terre et ciel e alla prima Triennale della Fotografia Italiana di Palazzo Ca’ Zenobio a Venezia, Paolo Luxardo usa con grande libertà l’obiettivo fotografico, aprendolo a uno sguardo sempre pronto a “inventare” nuovi percorsi, nuove visioni.

TERRA Nuovi Dialoghi 3

Dal 20.01.2018 al 18.02.2018

A cura di Alberta Franzini

Per il terzo anno consecutivo il gruppo Arte e Nuovi Dialoghi affronta il piacere “coraggioso” di esprimere l’arte attraverso un cammino nuovo, senza teoremi o schemi configurati: ne scaturisce un labirinto di espressioni scavate nell’anima di ogni artista. Il racconto di questi artisti parte infatti dal desiderio di unire il pensiero a un dialogo artistico fatto di riscoperta della creatività, un vocabolario dove la materia incontra e sublima la suggestione e l’emozione, dove ogni forma si sottopone alla visione individuale. Sentire il bisogno di esprimere con spatole, colori e materia, esplorare il proprio animo nell’esistere attraverso il dilatare del tempo con un linguaggio espressivo, lascia emergere il rapporto con la natura, il silenzio, l’eternità: un unicum con i segni universali e indistruttibili della materia. L’artista attraversa l’immaginario, e il suo viaggio costruisce un’emozione ora scultorea, ora cromatica, ora tattile, spesso enigmatica. In mostra istallazioni, opere informali materiche a tecnica mista di:

GIUSEPPE BARONI, MARINA DODI, LUIGI CAMPAGNOLI, GIUSEPPE CODA ZABETTA, VIRIA DEL VECCHIO, BARBARA ERCINI, GIANPAOLO FERRARI,  ALBERTA FRANZINI, EMANUELE FRITTOLI, ANTONIA RAO MAR, VITTORIANA MASCHERONI, ANTONELLA SIGNAROLDI.

QUI ed ALLORA | Attualità del post moderno italiano II

Dal 20.01.2018 al 18.02.2018

A cura di Edoardo Di Mauro

Il gruppo selezionato da Edoardo Di Mauro, e proposto come seconda tornata espositiva dopo una prima edizione svoltasi nell’ottobre 2015 nei locali torinesi di Maurizio Colombo Art Design, rappresenta un esemplare spaccato di quella che il Curatore definisce la “generazione artistica saltata” degli anni Ottanta e Novanta. Una generazione le cui poetiche stanno vivendo una fase di approfondita rilettura, generando un eclettismo stilistico in cui si fondono pittu-ra, tecnologia, installazione, nuovi materiali, sono¬rizzazioni ambientali, uso ironico e spiazzante dell’oggetto e dei materiali di recupero. L’”allora” della prima post modernità, frutto del crollo della dimensione ide-ologica, e del desiderio di dare libero sfogo alla propria personale cari¬ca creativa, abbinato alla volontà di rivisitare intelligentemente i percorsi dell’avanguardia novecentesca, confrontandosi con la dimensione post industriale della “società dello spettacolo” prefigurata dai Situazionisti, sta¬bilisce una cinghia di trasmissione ideale con il “qui”, della scena attuale, di cui questi artisti, forti della corazza del proprio stile e della propria esperien¬za, riescono a evidenziare miserie e grandezze, denunciando i limiti della realtà senza sovrapporsi a questa, mantenendo un atteggiamento di lucida e disincantata ironia, e non venendo meno alla volontà di sperimentare, nel tentativo, mai spento, di creare una dimensione estetica allargata. I diciassette artisti presenti in quello che vuole essere un primo momento di approfondimento del tema, coprono un lasso temporale atto a comprendere l’intero arco della prima fase della post mo¬dernità, dalla fine degli Settanta ai primi anni Novanta.

Annunciazione di Antonio Ambrogio Alciati

Dal 16.12.2017 al 14.01.2018

Inaugurazione | Sabato 16 Dicembre ore 17

Accogliendo con piacere l’invito dell’Assessore alla Cultura, Massimo Polledri, Biffi Arte è onorata di ospitare l’opera Annunciazione di Antonio Ambrogio Alciati. La tela proviene direttamente dai preziosi depositi della Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi di Piacenza, e sarà esposta nell’Area Bookshop della Galleria Biffi Arte fino al 14 gennaio 2018. Ritrattista abilissimo, Antonio Ambrogio Alciati (Vercelli, 1878 – Milano, 1929) fu anche apprezzato docente, titolare della Cattedra di figura all’Accademia di Brera e presente in quasi tutte le Biennali di Venezia dal 1910 all’anno della morte. Annunciazione documenta il linguaggio della prima maturità dell’artista vercellese, con forme fragili, avvolte in un’atmosfera intrisa di vibrazioni evanescenti; con un verismo sentimentale, ma ancora memore della suggestione simbolista di fine Ottocento, l’opera offre una declinazione delicata eppure felicemente rapida del momento dell’annunzio alla Vergine. L’evento espositivo è stato realizzato con la collaborazione di Massimo Ferrari e di Maria Grazia Cacopardi, rispettivamente Presidente e Direttrice della Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi, e si inserisce nell’ambito di un progetto di interazione e dialogo della Galleria Biffi Arte con le istituzioni museali del territorio.

Francesca Ardito. Identical Twins

Dal 02.12.2017 al 14.01.2018

Progetto fotografico di Francesca Ardito

Presentazione di Silvano Bicocchi

A volte gli esseri umani si trovano a vivere un’esistenza condizionata dai giochi imprevedibili della genetica, tra questi i gemelli omozigoti perché sono due persone che nascono insieme, con lo stesso patrimonio genetico e identici tratti somatici. Quando il processo creativo del fotografo nasce dalla curiosità verso questi fenomeni naturali, egli può essere coinvolto in un’esperienza intima che va subito oltre la logica ed entra nello straniamento di un’irresistibile attrazione. Fu così per Diane Arbus, ed è accaduto anche a Francesca Ardito da quando ha conosciuto il dolore di una persona prostrata dalla perdita della sorella gemella. A differenza dalla Arbus che pose lo sguardo sulla varietà di persone segnate da uno stigma come: i gemelli, il nano, la donna cannone, l’uomo gigante, ecc… l’Ardito si spinge a cogliere interamente il senso più profondo solo nel fenomeno dei gemelli omozigoti. La coppia di gemelli è una variabile genetica umana paradossale che se ben osservata può risvegliare domande ancestrali sul significato del “Sé” e il senso dell’altro. Colpisce come nella coppia di gemelli sia evidente un’esistenza tra due persone dove l’alterità è labile perché ognuno deve rapportarsi col proprio doppio e a volte con inspiegabili fenomeni che riguardano le sfere immateriali della percezione e anche molto, molto oltre… Il progetto Identical Twins è un’opera di natura concettuale che compone l’idea centrale sia con l’immagine fotografica che con la parola. In esso l’autrice osserva il fenomeno dei gemelli secondo due direttrici: la diversa età e la diversa etnia. Mentre con la parola enuncia i comportamenti conseguenti allo stigma, con le immagini interpreta quel determinato aspetto considerato. L’ampia conoscenza delle culture del mondo di Francesca Ardito, mette in gioco una gran varietà di segni e simboli di diversi popoli della terra e ci fa comprendere come il fenomeno dei “gemelli omozigoti” possa così tingersi di misteriose trame esistenziali e diventare sempre più complesso e attraente. Francesca Ardito è stata la vincitrice, nell’edizione 2016, del Premio Biffi, offerto da Formec Biffi, main sponsor del Premio Cairo.

Alfredo Casali. Tutto lo spazio che vuoi

Dal 02.12.2017 al 14.01.2018

A cura di Chiara Gatti

La Galleria Biffi Arte ospita una nuova personale di Alfredo Casali, curata da Chiara Gatti. Venti dipinti a olio (per la maggior parte inediti) e una selezione di carte svelano la ricerca recente del maestro piacentino reduce da alcune mostre importanti allestite nel corso dell’ultimo anno anche a Napoli, Milano e Busto Arsizio. Autore di immagini poetiche, in cui il rigore della composizione è spezzato da indizi visionari, brani narrativi nascosti nello spazio impalpabile del quadro, Casali cita e rilegge in forme intime la lezione del grande astrattismo lirico di Klee e Licini, riflettendo sul linguaggio stesso della pittura. Il suo lessico essenziale alterna segni minimali, giochi di velature, geometrie irregolari, una figurazione evocata da presenza iconiche, archetipi radicati nella memoria: la casa, la nuvola, la tavola, la neve. Elementi dal timbro arcaico, incisioni rupestri, disegni infantili; fattori diversi si mescolano in atmosfere sospese. Lo spazio ha qui un valore mentale, una dimensione infinita. Il titolo – legato a un ciclo di opere esposte – “Tutto lo spazio che vuoi” allude proprio all’estensione indefinibile, allo sguardo libero da confini, ai margini rotti, alle prospettive aperte. La pittura è intesa come un passaggio, un varco, un panorama incalcolabile. Poche tracce di un vissuto quotidiano concentrano la tensione in primo piano, sul fusto di un albero sottile, sul muro invisibile di una dimora che galleggia in assenza di gravità. Tutto il resto è, dunque, spazio. Casali gioca col sogno ma non perde di vista la misura. Ricorda Melotti e la sua capacità di sintetizzare l’universo in una linea: la traiettoria di una goccia di pioggia. E non dimentica neppure Morandi, l’equilibrio perfetto di pochissimi oggetti – due pani, una tazza – orchestrati sulla tela con ritmo quasi musicale. Saranno presenti lungo il percorso alcuni esemplari di un nuovo ciclo tematico, dal titolo “Geometrie familiari”. Il catalogo – in italiano e in inglese – è concepito come un libro d’arte, contiene testi di Chiara Gatti, Susanna Gualazzini e poesie di Alberto Pellegatta.

Juan Eugenio Ochoa. Vanishing

Dal 02.12.2017 al 14.01.2018

A cura di Susanna Gualazzini

Strato su strato, velatura dopo velatura, rispettando i principi della più tradizionale pratica pittorica, e poi procedendo “per via di levare”: è così che Juan Eugenio Ochoa (Medellin, Colombia, 1983) porta alla luce i propri volti. Sono tutti i protagonisti di Blu e Seta e di Lirica Analitica, i due percorsi espressivi, entrambi in mostra, che hanno portato il giovane artista colombiano ad affinare gli strumenti di un fare pittorico rigoroso nelle procedure ma liberissimo nel risultato. Perché Ochoa manipola l’ombra, cavandola dal campo luminoso del fondo a forza di colpi secchi di pennellessa: uno straordinario processo di sottrazione che dà vita a un consesso di presenze-assenze, messe in vibrazione dalla luce e dalla sua latitanza. Sono creature sulla soglia: della memoria, del ricordo, del tempo, pronte a venire verso di noi e già lontane, sparite, inghiottite in una sospensione luminosa. Visioni in uno spazio evanescente eppure dotato di volume, perché Ochoa, come un artista del Quattrocento, cerca la prospettiva, e la trova modulando il blu, un blu labile, con cui costruisce lo struggente scivolar via di questi volti verso un altrove di cui non abbiamo memoria. O forse l’abbiamo: è quella del dagherrotipo, della fotografia d’archivio, terra di volti senza nome. Sono i volti da cui l’artista prende le mosse, talvolta con un gesto sconvenientemente contemporaneo, dal cellulare, per trattenerli sotto le palpebre e restituirne sulla tela preparata, senza disegno, senza mappe di orientamento, l’imago evanescente. Artista inesausto, nella serie recentissima Blu e Seta va ancora più a fondo nella ricerca del valore semiotico dell’opera e accanto alla tela, suo strumento privilegiato, si cimenta con il più impalpabile dei supporti, il voile di seta, diaframma luminescente e opaco al tempo stesso, fissato su plexiglass. Ecco allora che, ancora di più, il dileguarsi dell’immagine si espande in una trasparenza nuova, a stento trattenuta nel retro dell’opera, in un soffio, prima di sparire.

Giancarlo Cazzaniga e gli anni del Realismo Esistenziale

Dal 21.10.2017 al 26.11.2017

A cura di Giovanni Cerri

Opere di Giancarlo Cazzaniga e: Giuseppe Banchieri – Pietro Bisio – Mino Ceretti – Gianfranco Ferroni -Piero Leddi – Sandro Luporini – Bepi Romagnoni – Paolo Schiavocampo – Tino Vaglieri

La mostra è un omaggio all’opera del maestro milanese Giancarlo Cazzaniga (Monza, 1930 – Milano, 2013) e ad alcuni artisti suoi contemporanei. Tra loro, saranno presenti in mostra opere di: Giuseppe Banchieri, Pietro Bisio, Mino Ceretti, Gianfranco Ferroni, Piero Leddi, Sandro Luporini, Bepi Romagnoni, Paolo Schiavocampo, Tino Vaglieri. L’esposizione è nata da un’idea di Giovanni Cerri e Mario Palmieri, storico mercante e amico di Giancarlo Cazzaniga. L’iniziativa serve a ricordare non solo il maestro scomparso recentemente, ma anche un periodo e un gruppo di artisti che per alcuni anni condivise tematiche e idee intorno a un pensiero critico sul realismo di quell’epoca che vedeva i primi segni della ricostruzione post-bellica. Con le loro opere, con una pittura scarna e ridotta quasi al bianco e nero, attraverso la narrazione di ambienti interni ed esterni legati soprattutto al contesto urbano, questi autori hanno raccontato quel periodo intermedio tra la fine del dramma della guerra e l’inizio di una nuova epoca, poi sfociante negli anni Sessanta del boom economico. Dal testo in catalogo di Giovanni Cerri: […] Per interesse singolo o di pochi amici, nascono ogni tanto queste iniziative di riproposta, per mostrare le loro opere intense che raccontano di quel periodo. In questa mostra abbiamo voluto ricordare e rendere omaggio a Giancarlo Cazzaniga, non più tra noi da pochi anni, con una selezione di opere sufficienti a tracciare un suo ritratto. I temi di Cazzaniga si sono succeduti per tutta la sua vita; in particolare i jazz-men e gli interni, ne troviamo esempi di grande qualità sia negli anni giovanili che nella tarda maturità. Sono spunti che non hanno mai cessato di ispirarlo, ne ha dato solo una differente interpretazione nei diversi periodi della sua vita. Come cambiamo noi, così evolvono anche i nostri dipinti, l’età ci conduce verso altre “letture”. I dipinti risalenti al periodo del realismo esistenziale si intonavano su scale di grigi, terre, bruni e neri profondi, colori e non-colori che traducevano la faticosa risalita di un Paese provato dalla guerra. Via via poi la tavolozza del maestro milanese si è arricchita di luminosità e cromie più vivaci, soprattutto nei cicli dei “glicini” e dei “paesaggi del Conero”, negli anni ‘70 e ’80. Ma, direi che il tema a lui più caro, ripreso negli anni recenti di una raggiunta e consolidata maturità è sempre stato quello dei musicisti jazz. Si pensi, a questo proposito, all’amicizia di oltre mezzo secolo con il celebre chitarrista Franco Cerri, rapporto che sottolinea il suo legame profondo e di lunga durata con la musica americana “incontrata” negli anni dell’immediato dopoguerra. Così come l’inquadratura dell’interno dimostra un particolare interesse all’interpretazione interiore, intima, segreta, di luoghi domestici o, a maggior ragione, dello studio, l’ambiente creativo dove tutto ha origine. Insieme alle opere di Cazzaniga, protagonista della mostra, abbiamo voluto rendere doveroso omaggio (con opere scelte tra quelle appartenenti agli anni del realismo esistenziale, dalla metà degli anni ’50 ai primi anni ’60) ai suoi “compagni di strada”, coscritti o di poco più grandi, come i già citati Gasparini e Schiavocampo, anche loro attentissimi alla rappresentazione della realtà di quel periodo. Il tema urbano aleggia e unisce un po’ tutte le loro ricerche, tese e concentrate nella resa delle periferie, degli interni, dei luoghi di lavoro…tutto rinasceva, allora, tra ciminiere fumanti e sirene di fabbrica, lungo le strade lunghe e rettilinee della Bovisa, della Bicocca, di Greco/Pirelli.

Alberto Andreis. Babele

Dal 21.10.2017 al 26.11.2017

A cura di Sergio Signorini

Quando si ha a che fare con Alberto Andreis, non c’è da chiedersi se la scenografia sia un’arte al massimo livello. C’è da chiedersi se l’arte al massimo livello può permettersi di non essere scenografia. Vittorio Sgarbi

Quindici acrilici su faesite e masonite e sette disegni, a carboncino e china, compongono l’avventuroso scandaglio del mito della Torre di Babele. Alberto Andreis affronta uno fra i più complessi e affascinanti temi biblici, contaminandolo con altri miti e riferimenti letterari: dal Labirinto, nelle sue molteplici strutture, alla borgesiana Biblioteca di Babele, intesa come spazio non misurabile. Ogni dipinto è un paesaggio interiore che scandisce le tappe del viaggio alla ricerca del vero sé, a partire dal sembiante iper-narcisistico della società occidentale odierna, la quale reitera ossessivamente il mito nell’edificazione di torri sempre più elevate: simboli fallimentari di una potenza divina irraggiungibile, e al prezzo di drammatici rischi. Eppure, nella pittura fuori dal tempo di Alberto Andreis, l’utopia fa capolino nella sua più sfolgorante veste positiva e concreta, intrisa di magica speranza. Le sue torri esprimono l’energia dirompente del saper tenere insieme gli opposti: prima fra tutti la doppia anima, neo-barocca e minimalista, che attinge, rivitalizzandoli, alla luce e ai silenzi della metafisica.

Camilian Demetrescu

La grafica astratta: storia di un passaggio

Dal 21.10.2017 al 26.11.2017

A cura di Susanna Gualazzini

In mostra, un corpus di serigrafie dalla cospicua produzione grafica di Camilian Demetrescu (Busteni, 1924 – Gallese, 2012), l’artista romeno che ha percorso il proprio tempo guidato dall’inesauribile volontà di dare voce ai grandi simboli esistenziali che sono al cuore del nostro essere nel mondo. Tutta la ricerca artistica di Demetrescu è stata una lezione di spiritualità, spesso in controtendenza con lo spirito del tempo, ma mai incerta, sostenuta da una profonda sapienza filosofica. Ne è nato un percorso artistico poliforme che approda, all’inizio degli anni Settanta, alla sintassi libera della grafica, in cui il complesso corpus simbolico dell’artista trasmigra in un sincretismo astratto di grande forza poetica. Astri, Impronte, Spazi, Conchiglie, Macchine per volare, sono forme nate da un’idea simbolico-naturale, forme impressive, chiamate a riflettere la realtà dello spirito di chi le contempla. E quando, a partire dagli anni Ottanta, l’artista approderà a un linguaggio più strettamente figurativo, soprattutto con le tempere e gli arazzi, recuperando i simboli della cristianità originaria e della tradizione ebraica, lo farà sempre guidato dalla consapevolezza per la quale l’uomo, esattamente come il Cosmo, è pluralità di dimensioni, e a questa complessità l’arte è chiamata a dare voce. La mostra intercetta la fase tradizionalmente definita “astratta” nella produzione di Demetrescu, un complesso momento d’ispirazione che si rintraccia anche nella produzione plastica dello stesso periodo. Sono opere che nella loro tramatura trattengono talvolta l’impronta di mitologie arcaiche, ma sempre cercano la trascendenza: quella “immobilità beata dello spirito”, come scrive l’artista con luminosa poesia, in uno spazio finalmente liberato dalle poetiche, dai linguaggi, dalla storia. Ed è questo, forse, il necessario passaggio grazie al quale la ricerca di Camilian Demetrescu rinascerà ancora una: con le Hierofanie e il coraggioso ritorno al figurativo, trattenendo, di quella delicata fase astratta, tutta la forza, la libertà, la luce.

Alfonso Borghi. La pittura come poesia

Dal 16.09.2017 al 15.10.2017

A cura di Giovanni Faccenda

Chi conosca, anche solo marginalmente, la natura indomita e i suoi mille interessi, sa quale genere di sentimenti travolgenti al solito intervengano a sollecitare la vena creativa, incessantemente feconda, di Alfonso Borghi. Da sempre portato a coltivare ognuno degli intimi fremiti che gli appartengono, continua, fra l’altro, a offrire saggi cospicui di una abilità non comune: quella di trasformare anche il meno appariscente indizio esistenziale in potente pretesto di pittura. L’intero ambito della tela diventa così, per lui, un’avvincente sfida che gli è impossibile non accettare; il colore e qualunque ricercatezza materica, più o meno vistosa, sono i segni, estremi, di un conflitto che perdura, fertile di germinazioni, nella sua anima di pittore incline alla meraviglia e all’incanto. Stavolta, a orientare, di Borghi, l’ardente itinerario espressivo e, prim’ancora, quello emozionale, sono i versi di alcuni poeti stabili nel Pantheon dell’eternità: da Shakespeare a Withman, da Baudelaire a Kavafis; senza dimenticare Rimbaud, Rilke e Yeats. Tutt’altro che casuale, nel caso ciò fosse frainteso, la scelta di simili brani, poesie o riduzioni narrative: rispecchiano, infatti, comunanze elettive espresse ora con parole mirabili, ora in struggente pittura; alternanze emotive rivelatrici di verità profondissime, che insistono fin dalla notte dei tempi; archetipi e lasciti ancestrali vorticanti nei cieli dell’arte e, parimenti, in quelli della letteratura. Merito non indifferente di Borghi, tuttavia, quello di non aver scelto, nell’occasione corrente, la più facile strada illustrativa, lasciandosi all’opposto aperta la via a licenze e libertà interpretative ovunque affascinanti quanto sorprendenti. Il catalogo della mostra, con testo critico di Giovanni Faccenda, è stato realizzato dall’Editoriale Giorgio Mondadori.

Roger Corona. Pattern geometrico

Dal 16.09.2017 al 15.10.2017

A cura di Maurizio Rebuzzini

È illuminante rilevare quanto il fotografo Roger Corona apprezzi l’arte contemporanea, e quanto la sua ispirazione si nutra dei capolavori dei grandi maestri, soprattutto di ambito scultoreo. Lo dimostra anche e soprattutto la serie di Pattern Geometrico, in mostra negli spazi dell’Antico Nevaio della Galleria Biffi Arte, trentatré lavori in cui il fotografo compone la propria visione in chiave plastica, andando, di volta in volta, a sottolineare bianchi, neri e grigi all’interno di inquadrature a lungo meditate, a lungo pensate. E lo stesso vale per le escursioni nel colore, mai sfacciato, mai ridondante, ma sempre e comunque ricondotto a una lievità cromatica e tonale. Con questi strumenti, nelle opere in mostra Corona affronta e risolve diversi aspetti di un tema centrale nella sua riflessione: quello della forma intesa come valore a sé, scissa sia dal contenuto oggettivo, il soggetto rappresentato, sia dal contenuto soggettivo, il carico di esperienza personale che si veicola attraverso l’immagine. Nasce uno spazio fotografico sospeso in cui, però, sempre e comunque la forma acquisisce una propria lucida collocazione, grazie alla cura controllatissima, viene da dire feroce, della luce e dell’ombra.

L’innocenza del vuoto – L’ex macello di Sant’Anna nella fotografia di Mauro Scarpanti

Dal 16.09.2017 al 15.10.2017

A cura di Susanna Gualazzini

A volte arrivo in certi luoghi proprio quando Dio li ha resi pronti affinché qualcuno scatti una foto.

Ansel Adams

Diciassette scatti, catturati di corsa, alla vigilia dell’inizio dei lavori di ristrutturazione e, per un soffio, Mauro Scarpanti ci consegna la verità nuda di un’architettura disarmata. E’ il Macello di Sant’Anna, costruito a Piacenza fra il 1892 e il 1894, afferrato dallo sguardo di Scarpanti un attimo prima di diventare tutt’altro territorio e anni dopo la sua chiusura definitiva, attorno alla metà degli anni Ottanta. Colto in una sorta di stato purgatoriale, in attesa di redenzione, il Macello sveste l’orrore della sua memoria passata e si fa spazio vuoto e, per questo, innocente. Questo, consegnano le fotografie di Scarpanti: l’innocenza di un luogo che ritorna innocuo e recupera una sua silenziosa bellezza. Ecco allora che i ganci, le carrucole, non a caso conservati nel progetto di ristrutturazione, abbandonano le tracce del loro uso e si fanno segni grafici, tracciati di luce che Scarpanti insegue e coglie, al volo. Gli è stata concessa una sola mezza giornata, negli spazi del Macello: poco tempo, impensabile per un fotografo dalle modalità puntigliose e sistematiche quale è Scarpanti. Quella “collaborazione con il sole” che auspica Alphonse de Lamartine, non gli è concessa. Le “materie prime” di cui dice lo scrittore John Berger, la luce e il tempo, gli sono negate. Di qui, l’allure da “semilavorato” di certi scatti, che certamente avrebbero richiesto più tempo, un maggiore ascolto del paziente racconto delle ombre, ma nel purgatorio, lo sappiamo, non si dimora per l’eternità, ma si sosta per poi andare altrove. Questo altrove è il Macello di oggi, che accoglie l’Urban Center e diverse istituzioni legate alla vita della città, oltre a ospitare la sede piacentina del Politecnico di Milano. Un perfetto modello di archeologia industriale, uno spazio di voci sonore e di energie buone.

Scimon baby Scimon. Il fantastico mondo di Scimon

Dal 24.06.2017 al 10.09.2017

A cura di Susanna Gualazzini

Tenero e forte, spavaldo e gentile, aggressivo e poetico, Scimon è un vero e proprio “palombaro della realtà”: ne esplora le profondità e le restituisce con tutte le loro complessità e incoerenze, ricomponendole in un sistema simbolico pulsante, straripante di vita. I suoi personaggi, un po’ pop un po’ surreali, si muovono in spazi che nessuno ha mai abitato prima, spazi ospitali e impervi allo stesso tempo: sono territori di altre latitudini, che Scimon attraversa con la fantasia e costruisce con sguardo fervido e visionario. Un artista trasversale ai linguaggi, sempre aperto a nuove suggestioni, sempre pronto a farsi mondo. In mostra, tutta la produzione dell’artista: dalle grafiche ai disegni, alle istallazioni.

Paolo Vegas. I quattro Elementi

Dal 23.06.2017 al 10.09.2017
Figlio della migliore pratica pubblicitaria della fine degli anni Novanta e apparentato alla Stage Photography degli anni Settanta, Paolo Vegas viaggia per gli infiniti mondi del quotidiano con la macchina fotografica chiusa e gli occhi spalancati, pronto a cogliere schegge di vita, a trattenere reperti di memoria. In mostra alcuni recenti lavori tratti dalla serie Biocloning, costruita attorno al tema del doppio e della dislocazione del soggetto, e il progetto I Quattro Elementi, creato espressamente per Biffi Arte: folgoranti mises en scène in cui Vegas costruisce scenari e li spezza, li manovra e li moltiplica fino a ricomporli in una unità altra. Estranei all’estetica del foto-giornalismo, i suoi lavori sono saghe fantastiche, luoghi in cui le cose improbabili si incontrano per fare corto circuito emotivo. Perché una e una sola cosa interessa a Paolo Vegas: recuperare nella memoria una emozione, smontarla e restituirla, duratura.

Fausto Meli. Effetto Nottetempo

Dal 13.05.2017 al 18.06.2017

a cura di Gigliola Foschi

Immagini simili a visioni in un buio squarciato da bagliori lontani, sovrastato da un cielo immenso, punteggiato di stelle e pianeti, a volte attraversato dal magico biancore luminescente della Via Lattea. Parti di terra interiore osservati come per la prima volta, forse solo immaginati, forse davvero esistenti e visibili solo a chi, come Fausto Meli, ami Perdersi nella notte – titolo significativo dell’ampia ricerca fotografica (ancora in corso) che l’autore ha iniziato nel 2009 e che presenta accanto alla recente serie Sightline (2015), dedicata alla rievocazione di una corsa automobilistica che avvenne nel circuito cittadino di Piacenza nel 1947, quando per la prima volta vi partecipò una Ferrari. Due serie che solo in apparenza appaiono molto distanti tra loro: entrambe sono infatti attraversate da una temporalità inquieta, dilatata e sospesa, capace di suggerire che qualcosa dovrà accadere o che forse è già trascorsa. Scattate in pieno giorno, con un sole estivo quasi allo zenith, le immagini di Sightline, grazie a tale luce abbacinante, giocano su una sorta di effetto notte (come indica il titolo della mostra). Tale luce appare infatti simile, per certi versi, a quella artificiale dei lampioni e dei faretti che illuminano l’oscurità, in quanto crea a sua volta ombre violente, nette e inaspettate; oscura e cancella parti delle immagini e altre le rivela con il vigore di un metafasico faro poderoso. Il buio delle immagini di Perdersi nella notte, nate dai molti viaggi compiuti da Meli in giro per l’Italia (dalle montagne dell’Appennino al mare della Liguria, fino all’entroterra della Basilicata) non è un abisso oscuro e inquietante, ma il grembo fecondo in cui, grazie alle luci inaspettate della notte, ci avviciniamo a sconosciute e magiche configurazioni, che disegnano un nuovo rapporto con il mondo: lo aprono infatti a una visione intrisa di un soffuso incanto che pare sospendere il tempo e allontanarci dalla fretta della quotidianità diurna. Tali immagini nascono come un esercizio di attesa e di silenzio, come un saper rinunciare a sé per consentire al paesaggio di apparire, creando nuove forme e visioni inedite, grazie a un linguaggio carico di oscure sonorità. Simili visioni inconsuete Meli riesce a crearle anche nella serie Sightline. Anziché adottare l’ormai abusato metodo dello spanning – con cui si vuole rendere l’idea del movimento – Meli “congela” le auto, le cristallizza fuori tempo, quando stanno per entrare nell’inquadratura oppure ne sono già in parte uscite. Egli evita di cogliere l’apice dell’evento e il mitico “attimo fuggente”, per concentrarsi invece sul “dopo attimo”, su qualcosa che deve ancora accadere o sta già per scomparire, risucchiato dal tempo che scorre. Un tempo perduto che può solo essere resuscitato nel gioco del “come se…”; che può vedere giocosamente intrecciarsi vecchi bolidi d’altre epoche e segnali stradali dell’oggi. Il tutto in un tempo e in una realtà a sua volta cristallizzata, un po’ reale, un po’ simile al frame di un film d’antan, dove le auto erano immancabili protagoniste. Queste foto “imperfette” hanno un’altra perfezione, perché – mentre ci mostrano il presente – sanno al contempo raccontarci e farci immaginare senza enfasi l’epoca di queste antiche gare automobilistiche. Il movimento non è più creato dallo sfrecciare delle auto eppure è ugualmente presente nelle linee diagonali che le sue immagini, accostate tra loro, sanno costruire con rigore geometrico.

La bellezza resta

Dal 13.05.2017 al 18.06.2017

a cura di Simona Bartolena

Il Progetto

È fuor di discussione: l’arte ha spesso preferito la sofferenza al sorriso, il pessimismo all’ottimismo. Forse dovremmo ripensare alle parole che Pierre Auguste Renoir ha lasciato in eredità a un giovane Henri Matisse: “Ricordati sempre: la sofferenza passa, la bellezza resta!”. A quei tempi Renoir risiede a Cagnes, nella splendida cornice della campagna nizzarda, costretto all’immobilità su una sedia a rotelle, per via di una forma gravissima di artrosi che lo sta progressivamente paralizzando. La condizione di estrema sofferenza fisica dell’artista rende ancor più eclatante la dimensione effimera e leggera della pittura di Renoir che, pur avendo da tempo abbandonato la via dell’impressionismo, continuerà fino all’ultimo dei suoi giorni a raccontare la gioia di vivere…il medesimo sentimento che darà poi il titolo a una delle opere giovanili più importanti di Matisse, che saprà far tesoro delle parole del maestro per elevarne il significato, donando a un concetto che rischia di essere superficiale una dimensione profonda e complessa, ricca di spunti di riflessione importanti sull’esistenza umana. E proprio da Renoir e Matisse siamo partiti per questo nostro viaggio nel pensiero positivo, inteso non come attitudine al chiudere gli occhi davanti ai problemi, ma come capacità di superare il dolore, la rabbia e la paura riconducendole al loro valore di passaggio verso qualcosa di migliore. La bellezza – e mi pare chiaro che non si sta parlando di bello esteriore – può cambiare il mondo: un concetto che, con epoche eccezioni, mette tutti d’accordo. Eppure l’arte ben raramente ha raccontato la felicità e quando lo ha fatto è spesso stata mal giudicata, guardata con sospetto, quasi che il tentativo di esprimere un sentimento positivo fosse inutile, complicato, imbarazzante, perfino risibile. Da dove arriva l’idea che l’artista o il letterato debbano comunque essere “eroi tragici” e descrivere scenari distruttivi? Un retaggio del concetto romantico di Sturm und drang? Un bisogno profondo dell’uomo che preferisce denunciare i propri sbagli e svelare i propri tormenti piuttosto che aprire il proprio cuore agli altri? E se provassimo a cambiare questa attitudine? Se parlassimo del bello della vita – magari un bello riconosciuto e reso ancor più prezioso proprio dal passaggio nella sofferenza – senza paura di apparire superficiali? Declamare La gioia di vivere, Matisse lo sapeva bene, non significa affatto chiudere gli occhi verso le brutture del mondo. Alzare gli occhi a un cielo stellato, come fece Joan Miró negli anni più tragici del conflitto mondiale e delle persecuzioni naziste, non significa assumere un atteggiamento passivo o incosciente. Significa provare a non aver paura del bello dell’esistenza e ricordarsi che sarà proprio quello a restare. Perché nonostante tutto, si può sempre provare a sorridere. La bellezza resta. è un progetto diffuso che prevede esposizioni d’arte, conferenze, incontri, spettacoli teatrali, concerti, performance, dibattiti.

Le Mostre

Abbiamo lanciato un appello agli artisti: una call a inviti che chiedeva loro di interpretare questo concetto con un’opera. Non abbiamo dato limiti di tecnica, di dimensioni, di linguaggio. Hanno risposto in tanti, tantissimi. Ora questi progetti sono stati valutati e selezionati e costituiscono un corpus importante di opere dedicate al tema. Sono firmate da artisti tra loro molto diversi: differenti per età, formazione, carattere, personalità…alcuni già avvezzi al tema, altri del tutto estranei a esso. Le proposte sono state spesso sorprendenti: quelle più convincenti, tra l’altro, sono arrivate proprio da chi di bellezza non ha mai voluto parlare, destinando nella consuetudine la propria attenzione alla descrizione del dolore o del disagio. Dalla sequenza di installazioni, dipinti, sculture, video, performance… – opere eterogenee e dal carattere autonomo e indipendente – è emerso il senso di questo progetto: un inno alla vita e alle sue meravigliose manifestazioni naturali, umane, artificiali. La mostra de La bellezza resta approda ora negli spazi espositivi di Biffi Arte, con una significativa selezione delle opere presenti nella prima e racconta, attraverso lavori di natura diversa e con linguaggi molto eterogenei, il concetto del progetto interpretato da artisti tra loro differenti come formazione, età e attitudine artistica. La mostra è un vero e proprio viaggio nella gioia di vivere, nella possibilità che anche un’esperienza dolorosa si trasformi in una riflessione sulla bellezza dell’esistenza. La bellezza resta segna un nuovo momento di collaborazione tra Biffi Arte e l’Associazione heart di Vimercate, dopo le esperienze molto positive delle mostre Ciboh? e AnimaLI. La bellezza resta è un progetto molto complesso che prevede un calendario di attività di vario genere, in vari ambiti culturali. Per conoscerne le iniziative consultate il sito www.labellezzaresta.com Gli artisti della sede di Piacenza: Piera Biffi, Raffaele Bonuomo, Ermenegildo Brambilla, Federico Casati, Simone Casetta, Silvana Castellucchio, Elisa Cella, Valeria Codara, Matilde Domestico, Giorgio Donders, Giuliano Gaigher, Nadia Galbiati, Kazumasa Mizokami, Alessio Larocchi, Carlo Mangolini, Annalisa Mitrano, Ettore Moschetti, Giacomo Nuzzo, Lorenzo Pacini, Luciano Pea, Dolores Previtali, Nicolò Quirico, Silvia Serenari, Giovanni Sesia, Elisabetta Erica Tagliabue, Arturo Vermi, Simona Uberto.

Transparency.

La pittura di Paolo Terdich

Dal 13.05.2017 al 18.06.2017

a cura di Susanna Gualazzini

In mostra alla Galleria Biffi Arte l’ampia ricognizione di quello che può essere considerato uno fra i temi più cari al pittore Paolo Terdich: l’acqua, nelle sue forme, nelle sue imprevedibili motilità. Elemento volubile per eccellenza, nelle opere del pittore di ascendenza istriana l’acqua diviene contenitore di luce, territorio di visione, narrazione misteriosa di nodi interiori. E’ una pittura che si intuisce di gestazione lenta, la lentezza necessariamente richiesta dall’uso dell’olio, quasi esclusivo; ma è anche la lentezza intrinseca a una padronanza tecnica che nel corso degli anni si è sempre più affinata per dare voce a un sentire profondo. In dialogo con il corpo umano nelle immensità marine, o in immobile e poetica sospensione nella trasparenza del vetro, nelle opere di Terdich l’acqua acquisisce una forza trascendente, che la rende luogo interiore. Pittore ampiamente esposto a esperienze artistiche di altri Paesi, Terdich esprime una ricerca che può certamente inserirsi nell’ambito del realismo nordamericano di secondo Novecento, rispetto al quale, però, abbandona quel connotato di disturbante asetticità per farsi stupore, sospensione ipnotica. Perché quelle di Terdich sono trasparenze abitate: dal nostro sperdimento.

Terdich ha la dote di affrontare con virtuosismo tematiche di notevole difficoltà esecutiva; quindi di competere con se stesso in un costante dialogo con la dinamicità della forma, grazie a una tavolozza ricca di vibrazioni. I dipinti “Acqua” trasmettono all’osservatore un alto valore di rigore espressivo, per cui a buon diritto, si possono definire gioielli di sapiente talento. E’ decisamente ricerca d’ambito realista, grazie ad un costrutto che nulla concede alla retorica. (Paolo Levi)

Le Mostre

Abbiamo lanciato un appello agli artisti: una call a inviti che chiedeva loro di interpretare questo concetto con un’opera. Non abbiamo dato limiti di tecnica, di dimensioni, di linguaggio. Hanno risposto in tanti, tantissimi. Ora questi progetti sono stati valutati e selezionati e costituiscono un corpus importante di opere dedicate al tema. Sono firmate da artisti tra loro molto diversi: differenti per età, formazione, carattere, personalità…alcuni già avvezzi al tema, altri del tutto estranei a esso. Le proposte sono state spesso sorprendenti: quelle più convincenti, tra l’altro, sono arrivate proprio da chi di bellezza non ha mai voluto parlare, destinando nella consuetudine la propria attenzione alla descrizione del dolore o del disagio. Dalla sequenza di installazioni, dipinti, sculture, video, performance… – opere eterogenee e dal carattere autonomo e indipendente – è emerso il senso di questo progetto: un inno alla vita e alle sue meravigliose manifestazioni naturali, umane, artificiali. La mostra de La bellezza resta approda ora negli spazi espositivi di Biffi Arte, con una significativa selezione delle opere presenti nella prima e racconta, attraverso lavori di natura diversa e con linguaggi molto eterogenei, il concetto del progetto interpretato da artisti tra loro differenti come formazione, età e attitudine artistica. La mostra è un vero e proprio viaggio nella gioia di vivere, nella possibilità che anche un’esperienza dolorosa si trasformi in una riflessione sulla bellezza dell’esistenza. La bellezza resta segna un nuovo momento di collaborazione tra Biffi Arte e l’Associazione heart di Vimercate, dopo le esperienze molto positive delle mostre Ciboh? e AnimaLI. La bellezza resta è un progetto molto complesso che prevede un calendario di attività di vario genere, in vari ambiti culturali. Per conoscerne le iniziative consultate il sito www.labellezzaresta.com Gli artisti della sede di Piacenza: Piera Biffi, Raffaele Bonuomo, Ermenegildo Brambilla, Federico Casati, Simone Casetta, Silvana Castellucchio, Elisa Cella, Valeria Codara, Matilde Domestico, Giorgio Donders, Giuliano Gaigher, Nadia Galbiati, Kazumasa Mizokami, Alessio Larocchi, Carlo Mangolini, Annalisa Mitrano, Ettore Moschetti, Giacomo Nuzzo, Lorenzo Pacini, Luciano Pea, Dolores Previtali, Nicolò Quirico, Silvia Serenari, Giovanni Sesia, Elisabetta Erica Tagliabue, Arturo Vermi, Simona Uberto.

Incisioni da Guercino (1591-1666)

Dal 06.04.2017 al 09.07.2017

Testimonianze della fortuna incisoria legata all’opera dell’artista di Cento

La Galleria Biffi Arte, in occasione della mostra “Guercino a Piacenza” in corso dal 4 marzo al 4 giugno, ospita nella propria Area Bookshop un affascinante corpus di incisioni tratte dall’opera del grande artista di Cento. A testimonianza della straordinaria fortuna incisoria dell’attività artistica del Guercino e in un arco cronologico dal Sei all’Ottocento, la mostra offre una documentazione rara che raccoglie, in 15 fogli, alcuni dei nomi più autorevoli nella storia dell’incisione europea: Antonio Baratti (1724 – 1787), Pietro Bettelini (1763 – 1829), Francesco Curti (1610 – 1690), François Chaveau (1620 – 1676), Richard Dalton (1715 – 1791), Oliviero Gatti (1568 – 1651), Clemente Nicoli (1753 – 1811), Bernard Picart (1673 – 1734), Giuseppe Zocchi (1717 – 1787). In mostra anche i due tomi con 155 incisioni eseguite da Francesco Bartolozzi ed altri e che illustrano la raccolta di disegni di scuola italiana in possesso della corona inglese. La serie si compone (nel primo volume) di 82 stampe tratte da disegni di Guercino: 58 del Bartolozzi, 6 di Richard Dalton, 13 di James Basire e 5 di Giovanni Vitalba. Nel secondo volume le incisioni di Bartolozzi tratte da Guercino sono 31. Pubblicati a Londra all’inizio dell’Ottocento da John and Josiah Boydell, Cheapside, i due tomi offrono una testimonianza rara e preziosa, che la Galleria Biffi Arte è onorata di ospitare.

MARCO SCIAME. Genesi di linea incompiuta

Dal 01.04.2017 al 07.05.2017

a cura di Paola Fiorà

In mostra, i lavori più recenti di Marco Sciame, vincitore nel 2015 della Targa d’oro per la pittura del Premio Arte e del Premio Biffi, attribuito a un’opera sperimentale. Artista completo, pittore noto per il cromatismo lineare e la sfasatura o scomposizione che diventano assoluti caratteri identificativi, in questi ultimi lavori Sciame evolve ulteriormente la sfasatura che affiancata al linearismo e lega il colore in una nuova chiave di lettura che ritroviamo sicuramente in quella pop. Si sveleranno dunque i lavori ultimi focalizzati sugli sfasamenti come già contemplava Vittorio Sgarbi, visibili in tagli verticali come orizzontali quanto in tagli di rombo. Osservando le opere sarà immediatamente cosciente la diversa intensità di colore fra le parti, così come sembrerà di scoprire le immagini attraverso una lente o un vetro rotto. Una percezione alterata. Si riscopre l’artista in una continua ricerca che non perde mai memoria dello storico artistico che lo accompagna e lo spinge altresì a nuove forme e percezioni contemporanee che consentano una nuova chiave pittorica. Ne diventano prova quei lavori ove con maestranza conduce deformazioni attraverso figure molli così come si avesse una visione distorta che potrebbe addirittura ricondurre al surrealismo di Dalì. Non manca di stupire Sciame che in oltre 30 opere in mostra svela l’emozione artistica di un’ulteriore novità assoluta che lo porta a scegliere un’icona d’eccellenza dell’era contemporanea. Emotiva per il messaggio sociale intrinseco la volontà di scegliere Vasco Rossi nell’ulteriore percorso che affianca alle sue già amate muse eleganti e senza tempo, o alla ricerca del colore e delle scenografie di sfondo, o nelle memorie delle sue città così come nei tortuosi interni. Scelta quella dell’icona rock che gli consente il primato nella pop art. Si percepisce senza mezzi termini in questa mostra il messaggio di Marco Sciame, la continua evoluzione nella ricerca di una nuova percezione visiva che non perde mai di vista la memoria di un bagaglio che in un attimo e di pari passo riconduce all’impressionismo come al pop, alla ricerca del disegno come la meticolosità dei particolari. All’interno del catalogo, oltre ad importanti testi critici, ritroveremo la “nota” dedicata al suo allievo Sciame dal Maestro Tonino Caputo, già opera vivente firmata da Piero Manzoni. In occasione dell’inaugurazione, sabato 1 Aprile, alle ore 17, la mostra sarà presentata da Francesca Sacchi Tommasi e sarà proiettato il video Creative Obsession, ideato da Marco Sciame che torna ad affermare la sua totalità artistica in veste di performer e regista.

La tela tela

Dal 01.04.2017 al 07.05.2017
a cura di Eugenio Gazzola

La tela tela è una mostra che ruota intorno a una questione ineludibile per ogni avanguardia: la dialettica tra superficie e profondità, vale a dire tra l’opera d’arte concentrata nella bi-dimensionalità e l’opera che, al contrario, scava nella materia. Arte che in ogni caso prende vita attraverso l’impiego di innumerevoli mezzi e materiali. Quattro gli artisti convenuti a segnare i diversi sentieri per i quali affrontare la questione che abbiamo indicato. Margherita Raso, da Lecco, indaga la pelle delle cose e le modalità di percezione e comprensione di ciò che si vede e di come il visibile esteriore informa il materiale che compone il lavoro – in questo caso seta. Alessandro Conti, da Grosseto, ma vive a Milano, è scultore e fonditore, perciò costituzionalmente lavoratore della materia profonda e plausibile; l’opera che presenta a Piacenza è un albero pietrificato abitato da presenze notturne, opera di grande suggestione destinata a modificarsi in una scena più ampia dal sapore fiabesco. Con Roberto Goldoni, da Castel San Giovanni, torniamo al lavoro sulla superficie condotto col mezzo pittorico e una gestualità da lavoratore edile che unisce modulo a modulo in una costruzione efficiente. I suoi soggetti sono tratti dalla pelle della città: edifici in via di costruzione o rifacimento riprodotti attraverso il filtro della memoria fotografica. Alberto Guidato, da Ivrea, scava nei significati del parlato sociale attraverso il confronto con i testi sacri e con le abitudini profane, disarticola significati già dati utilizzando vari mezzi (collage, fotografie, biro, colori) per giungere all’origine sepolta della parola. Una mostra per vedere alcune sponde dell’arte che si fa in Italia.

SIMONE NERVI. Incanto Visuale

Dal 01.04.2017 al 07.05.2017

a cura di Maurizio Rebuzzini

Ciò che definisce il mondo fotografico di Simone Nervi è un paese delle meraviglie, entro il quale ciascuno di noi ha piacere di camminare, di sognare, di evocare le proprie emozioni. In mostra due progetti, riuniti nel contenitore identificativo Incanto visuale: The Sons of the Earth, sei visioni fantastiche, e Traditional Utopian Portraits, sette azioni immaginative della luce. Un progetto visivo che risponde appieno alla semplificazione (non banalizzazione) con la quale Bruno Munari ha sintetizzato il processo della creazione artistica: Fantasia: tutto ciò che prima non c’era, anche se irrealizzabile. Invenzione: tutto ciò che prima non c’era, ma esclusivamente pratico e senza problemi estetici. Creatività: tutto ciò che prima non c’era, ma realizzabile in modo essenziale e globale. Immaginazione: la fantasia, l’invenzione e la creatività pensano, l’immaginazione vede. E, aggiungiamo noi, lascia libero quello spazio individuale nel quale ciascuno può cercare proprie strade e verifiche.

MARIA CRISTINA COSTANZO. ANIME LEGGERE

Dal 25.02.2017 al 26.03.2017

a cura di Alessandra Redaelli

Sono Anime leggere, le fanciulle protagoniste della personale di Cristina Costanzo. Creature di argilla eppure evanescenti e fuori dal tempo: incarnano una leggerezza che non è mai intesa come superficialità, ma piuttosto come il dono di un approccio lieve alla vita, rasserenante e capace di arrivare al cuore dei sentimenti.

FURIO MAESTRI. GRAFICI|KOSMOS|SCHEDE

Dal 25.02.2017 al 26.03.2017

a cura di Giuseppe Biasutti

Grafici, Kosmos, Schede: tre diverse esperienze artistiche, tre diversi periodi in ognuno dei quali Furio Maestri ha sempre e soltanto cercato il proprio “hic et nunc”, sperimentando con tecniche e supporti diversi, con l’unico obiettivo di dare voce alla propria cultura, al proprio sentire. Né principio né fine, ma dall’inizio alla fine ogni linea converge al cuore.

GIORGIA ZANUSO. SIPARI

Dal 25.02.2017 al 26.03.2017

a cura di Mariasole Vadalà

La mostra raccoglie una parte del ricco corpus di opere realizzato finora dalla giorvane artista ligure Giorgia Zanuso. Inizialmente influenzata da un approccio minimalista, poi espressionista, l’artista oggi si concentra sulla manifestazione della verità, metaforicamente celata sotto spessi strati di acrilico. L’elemento centrale delle sue opere, la luce, assume qui un nuovo ruolo: diviene la componente attraverso cui l’opera prende vita.

SPHERAE. Il potere evocativo delle sfere

Dal 25.02.2017 al 26.03.2017

a cura di Mara Cappelletti

Ispirandosi all’affascinante potere evocativo della sfera, l’unico solido geometrico uguale ovunque lo si osservi, forma perfetta, insomma, di regolarità assoluta e piena di mistero che ha affascinato pensatori, filosi e artisti, la mostra Spherae riunisce creazioni e suggestioni di alcuni rappresentanti dell’eccellenza orafa contemporanea e presenta circa quaranta gioielli d’autore, a creare un percorso variegato e affascinante.

EMILIO SGORBATI. SANGUE E LINFA

Dal 21.01.2017 al 19.02.2017

a cura di Alessandro Malinverni

Nella sua nuova personale, Emilio Sgorbati indaga il legame tra uomini e piante. L’entusiasmo e la voglia di sperimentare, che sempre caratterizzano la sua ricerca pittorica, lo hanno infatti spinto a cimentarsi con un tema caro all’arte occidentale, interpretandolo attraverso uno stile ormai consolidato e riconoscibilissimo, fortemente ancorato al figurativo. Soltanto dieci tele e una tavola – rigorosamente quadrate – per formare altrettanti tasselli di un universo fantastico, nel quale si muovono uomini e donne – semplici silhouettes bianche o nere, intere o sezionate, dai tratti fisionomici appena accennati. Presenze ibride, dalla doppia natura, che occupano uno spazio immaginario e immaginifico, con gesti vibranti di pathos o silenziosamente racchiuse in loro stesse. Rappresentazioni liete si alternano ad altre dagli accenti più cupi, in una complessa partitura cromatica nella quale Sgorbati traspone i propri stati d’animo. Cellule vegetali, foglie, racemi, radici, tronchi lungi dall’essere meri elementi decorativi vengono “vivificati” dalla compenetrazione formale e sentimentale con l’essere umano. La mostra è curata da Alessandro Malinverni, dottore di ricerca in Storia dell’arte, conservatore del Museo Gazzola di Piacenza e dei Musei Civici di Parma.

PIETRO FINELLI. LA NOTTE HA MILLE OCCHI

Dal 21.01.2017 al 19.02.2017

a cura di Chiara Gatti

Artista e curatore attivo a Milano, Finelli torna a riflettere su uno dei temi cari alla sua ricerca; quello del cinema come fonte visiva di un immaginario collettivo. Su tale base, Finelli innesta una riflessione inedita sui valori formali del racconto cinematografico riletti in chiave pittorica. Il titolo “La notte ha mille occhi” è tratto dall’omonima pellicola “Night has a thousand eyes” diretta da John Farrow nel 1948, sofisticata metafora, punteggiata di sequenze oniriche, del ruolo dell’artista e dell’arte e del loro potere utopico. Una selezione di lavori recenti su tela e su carta, dipinti e disegni anche di grandi dimensioni, rievoca inquadrature, scenari, dettagli tipici del cosiddetto periodo narrativo classico del cinema noir, datato fra gli anni Quaranta e Cinquanta del Novecento. Anni in cui il linguaggio estetico espressionista, erede della lezione tedesca, torna sotto i proiettori, favorendo nuove analisi atmosferiche, giochi di luci e di riflessi, contrasti chiaroscurali fortemente accentuati dall’uso di ombre lunghe, flash improvvisi, con risultati ipnotici e memori di quel cortocircuito fra bianco e nero che ha segnato tutta l’arte tedesca delle avanguardie storiche (fra pittura, grafica e fotografia). Finelli indaga così nelle sue opere, quasi monocrome, il punto di contatto fra verità e percezione, fra l’oggetto e il suo mistero, la certezza e il dubbio nascosto nel buio profondo di un colore nero che modula sfumature impercettibili e inghiotte lo sguardo nell’abisso della notte. I lumi inattesi, i bianchi opalescenti dei lampioni, mettono a fuoco porzioni di un reale che si manifesta solo in parte. La memoria fotografica delle immagini dipinte è tradita da un gioco di rimandi intellettuali dove ogni dipinto ha un referente preciso in un fotogramma, ma la narrazione non cede mai al didascalico; viene sublimata in una dimensione astratta. Il luoghi della rappresentazione diventano luoghi della pittura; ogni scenografia è l’alibi, il pretesto per uno studio dei meccanismi di percezione della realtà filtrata dall’obiettivo. Vista nel suo complesso, la sequenza dei lavori di Finelli può essere idealmente ricostruita in una unità visiva. È, a sua volta, una concatenazione di fatti narrativi che seguono nuovi copioni. Se l’organicità dell’opera non distrae dalla visione individuale di ogni singolo brano, crea al tempo stesso un intervento ambientale all’interno della galleria; come se “mille occhi” fossero puntati in direzioni diverse, dentro scene che si alternano in inquadrature differenti. Le inquadrature stesse di Finelli inaugurano un concetto di composizione formale ispirato ai movimenti della macchina da presa, laddove la ripresa viene a coincidere con il cono prospettico dell’occhio che entra ed esce dal set, che si muove fra interni di case borghesi e strade illuminate dai fanali delle auto nell’oscurità. Piani a focale variabile, zoomate, fermimmagine, carrellate ottiche. Sono tutti elementi di un lessico traghettato dal linguaggio del cinema a quello della pittura che, nelle immagini sospese di Finelli, sposano le tre unità aristoteliche di tempo, di luogo e d’azione, canoni essenziali di un racconto che immortala, nel segno dipinto, le vite degli altri.

FEDERICO GAROLLA. RACCONTO ITALIANO

Dal 21.01.2017 al 19.02.2017
Federico Garolla (1925-2012) è stato fra coloro che con maggior forza hanno definito l’evoluzione del linguaggio fotografico nel nostro paese. Il suo professionismo è stato poliedrico e multiforme, così come era richiesto negli anni Cinquanta, gli anni del suo esordio. Da cui e per cui, le sostanziose mostre personali allestite in sollecita successione a partire dal 2005 hanno potuto via via sottolinearne gli aspetti peculiari: dal reportage, alla moda, alla documentazione sociale, in un tragitto senza alcuna soluzione di continuità. Questa mostra è occasione per una ulteriore ricognizione del suo vasto archivio di cui vengono attraversati i vari soggetti, per sollecitare il contatto con tanta e tale dimensione d’autore. In quale contesto si collocano la personalità fotogiornalistica di Federico Garolla (a volte prestata alla moda, un’alta moda ambientata negli avvolgenti esterni delle città d’arte italiane) e la sua capacità di racconto (che si è manifestata in notevoli e non comuni servizi pubblicati da testate autorevoli e prestigiose)? Soprattutto in un’interpretazione fotografica costruita su una solida cultura individuale: non nozionismo di date, persone e luoghi, ma fondata e solida materia attraverso la quale esprimere inquadrature dirette, composizioni di immediata decifrazione, resoconti in forma fotografica che hanno alimentato, assieme a una identificata schiera di altri autori parigrado, una irripetibile stagione del fotogiornalismo italiano, in capace equilibrio tra la cronaca del giorno e la testimonianza in profondità.

EDOUARD MANET : Alla scoperta dell’anima grafica di Edouard Manet (Parigi 1832-1883)

Dal 26.11.2016 al 15.01.2017
E’, come la definì Baudelaire, “la scoperta di un meraviglioso quotidiano” quella offerta dall’opera grafica di Edouard Manet: in mostra un corpus di trenta incisioni in cui il segno libero e istintivo dell’artista insegue inediti effetti atmosferici e indaga, nel contempo, con rara e seducente introspezione gli umori più sottili dei personaggi.

RAKUSFERA: LE CERAMICHE RAKU DI RITA SPINA

Dal 26.11.2016 al 15.01.2017
Il Raku è una procedura giapponese di trattamento artistico della ceramica, introdotta in Occidente nel diciottesimo secolo e in cui tutte le fasi di lavorazione, dalla modellazione alla smaltatura, dalla cottura al raffreddamento, influiscono sul risultato finale. Ne consegue che ogni ceramica è un pezzo unico, particolare e irripetibile. E’ questa la tecnica che Rita Spina ha scelto per realizzare opere di grande poesia, in cui la sobrietà della linea giapponese sposa la ricerca meditativa dell’incanto, secondo la dottrina Zen.

LA VITA IN UNA TAVOLA. ULISSE SARTINI

Dal 12.11.2016 al 15.01.2017

A cura di Giovanni Gazzaneo

La Galleria Biffi Arte ha l’onore di accogliere nel proprio Salone d’Onore, dal 12 Novembre 2016 al 15 Gennaio 2017, una delle più imponenti fatiche artistiche del pittore Ulisse Sartini: L’Ultima Cena.

Realizzato dal Maestro nel 2015, il dipinto possiede una forte carica simbolica e offre nuovi spunti critici sui codici iconografici propri dell’arte sacra e sul dialogo tra contemporaneità e tradizione.

L’ampio dipinto (4,90 metri per 1,80), esposto per altro nella primavera scorsa nella Sagrestia del Bramante di Santa Maria delle Grazie a Milano, propone con efficace teatralità un tema di lunga e autorevole tradizione, che il Maestro Sartini interpreta con la consueta pregnanza espressiva e icasticità di linguaggio: Accompagnano L’Ultima Cena, una serie di studi preparatori e la selezione di alcune fra le più belle opere pittoriche del Maestro.

Ulisse Sartini nasce a Ziano Piacentino, vive e lavora a Milano.

Avvia la sua attività espositiva all’inizio degli anni Settanta, con le prime personali negli spazi meneghini della Galleria Schettini, ritagliandosi presto un ruolo di primo piano nel genere della ritrattistica.

Nel corso degli anni, Sartini ha eseguito i ritratti ufficiali di personalità di primo piano della scena politica e culturale internazionale, ed è il secondo pittore italiano, dopo Pietro Annigoni, a entrare nelle collezioni della National Portrait Gallery di Londra.

Al Limite del Visibile Gregorio Botta, Paolo Meoni, Maria Morganti, Silvio Wolf

Dal 08.10.2016 al 06.11.2016

a cura di Gigliola Foschi

La rapida ed eccessiva produzione contemporanea di immagini superficiali e affermative sta trasformando l’esperienza visiva in un consumo accelerato privo di interrogazioni. Gli artisti che Biffi Arte è lieta di presentare sono in antitesi rispetto a tale frastuono visivo, e offrono una serie di opere che suggeriscono una condizione di rallentamento, di ascolto, di sospensione e stratificazione del tempo. Opere in cui il medium (fotografia, pittura, installazione, video) non viene usato per mostrare e rappresentare qualcosa di certo, né per veicolare un significato univoco, ma viene “reinventato” per trasformarsi in un dispositivo aperto all’interpretazione, ricco di risonanze che non si esauriscono nell’immediato. Tali opere, simili a presenze silenziose e intense, si presentano celando al proprio interno una sorta di segreto e di energia latente che, guardandoci, ci invita a guardarle diversamente: aprono spiragli e percorsi protesi al di là delle loro stesse apparenze, oltre il visibile. Spesso aniconiche, introducono nel discorso comunicativo un “meno” – uno spazio di silenzio, un’apertura – capace paradossalmente di renderle simili a un’eco vibrante che le fa sconfinare oltre se stesse.
Con Meditation Silvio Wolf espone una fotografia nera e retroilluminante. Metafora dell’esposizione della superficie fotosensibile a tutte le immagini del mondo, tale quadrato oscuro, ma circonfuso di luce, contiene una memoria che non racconta la propria storia ma presenta il suo mistero sotto l’aspetto di un volume nitido, specchiante, in cui lo spettatore si riflette come un’ombra. Protette da panni neri sono invece le immagini semiriflettenti della serie Shivah, che invitano chi guarda a scoprire e immaginare il loro segreto nascosto. Le opere di Silvio Wolf pongono l’osservatore davanti a se stesso, affinché l’immagine, guardata, lo ri-guardi. Sono soglie temporali, in cui il passato dello scatto si coniuga con il presente dell’esperienza del soggetto che intravede se stesso mentre osserva.
Giocate anch’esse su una doppia temporalità sono le opere fotografiche e il video di Paolo Meoni. Con Polaroid l’artista non mira a catturare la realtà, ma l’immagine fotografica stessa in uno stadio di latenza, prima della sua genesi definitiva. Soggetto del suo lavoro è il corpo chimico e materico della polaroid che, aperto ed esposto, si presenta come un dittico astratto, attraversato da segni e cromie capaci di contenere un passato in nuce e suggerire nuovi misteriosi paesaggi. Con Volumi, invece, Meoni parte da pellicole già usate e impressionate, le piega e le scannerizza fino a creare opere ready-made che suggeriscono nuove tridimensionalità e s’impongono quali immagini fotografiche “altre”, al limite del visibile e del visivo.
Maria Morganti crea quadri “quasi monocromi”, con stratificazioni di colori che emergono e si rivelano ai margini (come nelle serie Sedimentazioni e Impastamento). Nate da un reiterato e lento processo di metamorfosi, che pone la materia della pittura in dialogo con il suo corpo, le sue esperienze e il trascorrere del tempo, tali opere indicano qualcosa di nascosto e al contempo presente. Liberate dall’illusionismo della rappresentazione, simili a tracce di memoria che si sedimentano giorno dopo giorno (non a caso l’artista stende un colore al giorno, ottenuto aggiungendo altri toni a quello del giorno precedente), rimandano sottovoce a una profondità temporale che si fa presenza, strato, materia.
Aperte a un dialogo con il passato le opere su vetro di Gregorio Botta nascono da materiali antichi, come le terre colorate, la cera, il ferro, il vetro. I Larari stessi, già dal titolo, rimandano a un passato arcaico e al contempo a qualcosa di misterioso e sacro (i larari erano i piccoli sacrari, in forma di edicola, che nelle case degli antichi romani racchiudevano i sacra privata). I suoi accudenti e materici larari di gesso custodiscono l’inafferrabile: la traccia evanescente di una fiammella, lo scorrere dell’acqua, il soffio di un fumo… Simili ad apparizioni che affiorano dalla profondità del tempo, queste opere di Botta portano il visibile sulla soglia dell’invisibile, verso un altrove solo evocato. Tutto si trasforma in altro, trascolora in mistero, conduce verso una soglia tra luce e ombra, come in uno strano teatro metafisico da contemplare in silenzio.

Nel corso degli anni, Sartini ha eseguito i ritratti ufficiali di personalità di primo piano della scena politica e culturale internazionale, ed è il secondo pittore italiano, dopo Pietro Annigoni, a entrare nelle collezioni della National Portrait Gallery di Londra.

Nuove ombre L’opera recente di Bruno Missieri

Dal 08.10.2016 al 06.11.2016

a cura di Chiara Gatti

La recente opera pittorica di Bruno Missieri, in mostra personale nell’Antico Nevaio della Galleria Biffi, conferma ancora una volta tutta la forza dell’ispirazione dell’artista. Immerso negli umori umidi del creato, nei paesaggi stirati della Bassa e poi, giù, verso l’Appennino con i suoi andamenti lenti, Bruno Missieri tocca da oltre quarant’anni i temi eterni legati al senso della natura come specchio di situazioni esistenziali affidate all’espressione istintiva del gesto. Nelle incisioni quanto nei dipinti, la natura per Missieri  è rilevata sempre come uno stato mentale. Un luogo dello spirito dove si rapprendono tutte le tensioni e i drammi della coscienza. Missieri confessa il suo debito verso la lezione di un certo informale europeo, Hans Hartung in prima linea, ma si indovina anche un nesso, in sottotraccia, con la grande scuola di Mark Rothko e dell’espressionismo astratto americano, laddove la forma evanescente di uno sfondo piatto ricorda la sintesi perfetta del “color field”. Ma è un passato che incontra il presente, quello di Missieri, e nutre le sue immagini secolari: boschi di pioppi costruiti secondo proporzioni auree, rovi deposti come simboli spinosi su altari laici.
C’è qualcosa di mistico nei soggetti che citano la notte della redenzione: il sambuco, nella tradizione celtica, era l’albero sacro della rinascita; il canneto si rigenera in un ciclo continuo della vita. Un inno generoso al culto della dea Madre.

Franco Mussida
Il suono adulto dell’ingenuità
Viaggio tra le forze della musica

Dal 08.09.2016 al 02.10.2016

 

Chi ascolta Musica respira amore vibrante organizzato
Franco Mussida
E’ lunga la strada che ha portato Franco Mussida dalla musica “suonata sui palcoscenici di mezzo mondo” alla musica “ascoltata per ascoltarsi: ossia alla musica come strumento primo per la comunicazione affettiva, alla ricerca dei suoi effetti più veri e profondi. Autore di alcune tra le più belle canzoni del nostro tempo e co-fondatore di Premiata Forneria Marconi, la più longeva e celebrata band progressive Rock italiana, Mussida ha da anni intrapreso un complesso percorso conoscitivo che sposa forma, suono e immagine per un’esplorazione della parola musica nelle sue accezioni più ampie e sottili. Una visione estetica che lo ha portato a lavorare su una serie di istallazioni con un linguaggio espressivo-concettuale da percepire con gli occhi, con le orecchie ma anche e soprattutto con il cuore.
In mostra diverse famiglie di opere che tracciano, partendo da latitudini espressive diverse, il complesso territorio emotivo e sensoriale dell’artista. Il percorso prende le mosse da una serie di opere a tecnica mista che raccolgono pezzetti di memoria personale e artistica di Mussida, frammenti del passato su cui l’artista posa uno sguardo adulto eppure ancora ingenuo, nel tentativo, riuscito, di dare voce a un pensiero illuminante “cavato” dalle cose. Accanto, i Doni della Malinconia opere a forte resa formale, in cui si rendono visibili alcune forme di forze vibranti organizzate, come le definisce Mussida, che considera la musica appunto Amore vibrante organizzato. E’ la messa in mostra di una ricerca interiore sull’effetto emotivo provocato da un preciso flusso sonoro che incontra la qualità psichica del colore. Per la malinconia il blu, colore emotivo per eccellenza. Ma l’esperienza di relazione col quadro non è solo visiva: il pannello frontale risonante esprime suoni legati a quel preciso flusso vibrante, suoni come elementi fisici imprescindibili, come corpo fisico della musica. Nel cuore della mostra, accanto ad alcune opere della sua più recente mostra esperienziale “Musica respiro celeste”, sono presenti 10 delle 17 opere risonanti della sua prima mostra esperienziale Cambiare di Stato, opere in cui ha espresso il suo trentennale lavoro sui codici emotivi intervallari. Un’istallazione composta da una serie di teche risonanti che interagiscono al passaggio del visitatore. Codici musicali che si legano alla struttura singola affettiva accendendo in modo magico e puro, slegato quindi dall’esperienza quotidiana, il mondo dei nostri sentimenti con i sui contenuti emotivi diversi, dalla sicurezza alla paura, dall’ambiguità alla malinconia alla speranza.

Sono questi stessi codici che Mussida ha usato come archetipi per le sue auditeche divise per stati d’animo. E’ questa l’anima del progetto CO2, oggi in 12 carceri italiane, in cui i detenuti possono rimettere al centro delle loro osservazioni il proprio mondo interiore riscoprendone la pienezza. Un progetto finanziato da Siae con il Ministero della Giustizia. In galleria sarà presente una copia dell’audioteca utilizzata nel progetto: il visitatore potrà non solo consultarla, ma attraverso un’applicazione, suggerire una musica che ama offrendola all’audioteca in modo che i detenuti possano confrontare il loro sentire con quello del suggeritore.

Un percorso complesso, quello offerto alla Galleria Biffi Arte, con una pluralità di estuari che dimostrano l’inesausto impegno di Franco Mussida nel voler approcciare la sacralità dei misteri legati alle incredibili potenzialità di quel mondo vibrante sonoro che governa a nostra insaputa il nostro intimo “sentire”.

NS Nayestones Jewelry. Le line pure di Natalie Schayes

Dal 08.09.2016 al 02.10.2016

Dietro al marchio NS Nayestones Jewelry, c’è tutta la creatività della designer del gioiello Natalie Schayes. Al cuore della ricerca di questa giovane artista di origine belga, sta tutto l’affetto per le linee pure, che Natalie da sempre persegue modellando la materia prima, preziosa e semipreziosa, in modo tale da creare forme leggere che avvolgono il corpo come sottili fili di luce.

Ciro Palumbo. Lo spirito e la carne

Dal 24.06.2016 al 31.07.2016

a cura di Alessandra Redaelli

Una personale, per Ciro Palumbo, che racconta una nuova svolta nella sua storia pittorica. Un progetto completamente inedito, creato per la galleria, in cui l’artista dei guerrieri e del mito si avventura in una dimensione più intima.

Il tema, attualissimo, è quello dell’aspirazione verso un senso “altro”, uno scopo superiore in un momento storico travagliato e denso di incertezze. La soluzione che l’artista ci suggerisce è quella di lasciare da parte almeno per un momento la ragione e di seguire il cuore. La ricerca, tuttavia, va ben oltre. Questo cuore, rappresentato pittoricamente come un organo vivo e palpitante, diventa a sua volta personaggio, presenza forte reale e simbolica al tempo stesso. Tappa dopo tappa, ecco dispiegarsi storie di passioni respinte e di amori che non moriranno mai, personificate da quelle figure marmoree ma vive e respiranti che negli anni Palumbo ci ha insegnato ad amare. I suoi guerrieri e le sue dee che pur partendo da un immaginario classico e incarnando la bellezza impeccabile della statuaria antica appaiono sostanziati di una materia morbida e viva, non molto dissimile dalla carne, e animati da emozioni, ansie e passioni che ce li rendono presenti e vicinissimi.

L’eterno conflitto tra spirito e carne, dunque, tra cuore e ragione, si dispiega qui su più piani. Quello, appunto, del corpo e della scultura, dell’artificio e della realtà, ma anche quello dell’iconografia del cuore. Organo pulsante, come dicevamo, ma anche ricettacolo di una rete di simbologie talmente vasta e sterminata da aprire mille strade di lettura. Il cuore di Ciro Palumbo, dunque, è quello degli ex-voto della tradizione religiosa, puro spirito tradotto in un linguaggio semplice, ma è anche quello dei tatuaggi, dove la stessa semplicità di linguaggio si trasforma nella possibilità di portare un amore o una passione incisi per sempre sul corpo: di far apparire lo spirito sulla carne viva attraverso un processo doloroso e indelebile. E che dire dell’etimologia di un lemma come “passione”, che spazia dalla passione di Cristo morente e sanguinante sulla croce alla passione che accende i sensi nell’amore?

Ciro Palumbo indaga tutto questo e altro ancora, con il suo linguaggio profondo, stratificato, fatto di una pittura intensa che facendo tesoro della lezione degli antichi (da De Chirico a Böcklin, da Salvador Dalì fino all’espressionismo astratto) racconta storie quanto mai attuali.

Per la mostra, l’artista ha preparato una serie di lavori del tutto inediti. Delle piccole tavole di legno sulle quali il simbolo del cuore diventa metafora per storie di sapore onirico e surreale e anche, per la prima volta nella sua carriera, due lavori in terracotta dipinta.

 

ANIMALI

Dal 24.06.2016 al 31.07.2016

a cura di Simona Bartolena

Quest’estate l’Antico Nevaio della Galleria Biffi Arte si trasformerà in un sorprendente e immaginifico zoo, con una collettiva di dieci artisti dedicata al tema del mondo animale e delle sue molteplici relazioni con l’essere umano. La mostra, organizzata dall’associazione heart – PULSAZIONI CULTURALI propone un vero e proprio bestiario contemporaneo, un’ironica riflessione sul mondo animale visto con gli occhi dell’arte. I dodici artisti selezionati, tra loro molto diversi per tecnica, linguaggio, età, formazione e attitudine, ben rappresentano i molti volti della relazione tra arte e mondo animale: un rapporto che affonda le radici nelle origini dell’umanità.

L’animale è preda, pericoloso avversario da cui difendersi, vittima sacrificale, strumento di lavoro, simbolo religioso, emblema di potere, inconsapevole protagonista di racconti moraleggianti, amorevole compagno di giochi, delizioso elemento compositivo e, soprattutto, è, orwellianamente specchio dell’uomo. È specchio dei suoi pregi, dei suoi difetti, delle sue ambizioni, delle sue paure e delle sue vanità. Uno specchio che sa essere ora benevolo, ora ironico, ora spietato, che sa mettere in evidenza, come una potente lente, la vera indole dell’essere umano.

(Simona Bartolena)

In mostra:

Sergio Battarola _ Raffaele Bonuono _ Alberto Casiraghy _ Andrea Cereda _ Armando Fettolini _ Nicola Magrin _ Renzo Nucara e Carla Volpati _ Marco Pariani _ Fabio Presti _ Anna Turina _ Alice Zanin

L’eterno conflitto tra spirito e carne, dunque, tra cuore e ragione, si dispiega qui su più piani. Quello, appunto, del corpo e della scultura, dell’artificio e della realtà, ma anche quello dell’iconografia del cuore. Organo pulsante, come dicevamo, ma anche ricettacolo di una rete di simbologie talmente vasta e sterminata da aprire mille strade di lettura. Il cuore di Ciro Palumbo, dunque, è quello degli ex-voto della tradizione religiosa, puro spirito tradotto in un linguaggio semplice, ma è anche quello dei tatuaggi, dove la stessa semplicità di linguaggio si trasforma nella possibilità di portare un amore o una passione incisi per sempre sul corpo: di far apparire lo spirito sulla carne viva attraverso un processo doloroso e indelebile. E che dire dell’etimologia di un lemma come “passione”, che spazia dalla passione di Cristo morente e sanguinante sulla croce alla passione che accende i sensi nell’amore?

Ciro Palumbo indaga tutto questo e altro ancora, con il suo linguaggio profondo, stratificato, fatto di una pittura intensa che facendo tesoro della lezione degli antichi (da De Chirico a Böcklin, da Salvador Dalì fino all’espressionismo astratto) racconta storie quanto mai attuali.

Per la mostra, l’artista ha preparato una serie di lavori del tutto inediti. Delle piccole tavole di legno sulle quali il simbolo del cuore diventa metafora per storie di sapore onirico e surreale e anche, per la prima volta nella sua carriera, due lavori in terracotta dipinta.

 

Roberta Diazzi. Shady Lion

Dal 24.06.2016 al 31.07.2016

Più di 31.600 cristalli Swarovski, un gioco pop di luce e colore che, come per magia, compone la testa sfolgorante di uno straordinario leone. Uno fra i più recenti lavori dell’artista modenese Roberta Diazzi che realizza opere Crystals from Swarovski® a campitura totale con cristalli originali dell’azienda austriaca.

(Simona Bartolena)

La rabbia, la poesia L’opera recente di Guido Maggi

Dal 22.05.2016 al 18.06.2016

A cura di Susanna Gualazzini

È lunga, lunghissima la strada che Guido Maggi, sfolgorante classe 1926, ha percorso e che lo ha portato da una prima maniera figlia della lezione espressionistica di declinazione mitteleuropea, a questi recenti lavori, tutti degli ultimi due anni. Ed è stato un percorso necessario che lo ha visto affondare con il colore in spazi corrosi dalla sofferenza, sostare sulla ustionante condizione umana con gli occhi spalancati da una sorta di rabbia, di fronte all’umano imbarbarimento. Ma tutta l’angoscia che nel passato aveva spaccato i tratti della sua cosmogonia personale, sembra lasciare ora spazio a una profonda e pacata comprensione delle cose del mondo. Sono opere di grande formato, che accolgono tutta la forza del gesto di Maggi, un gesto fatto di accelerazioni cromatiche e segniche sempre in dialogo con imprevedibili aree di quiete. E’ tutta la rabbia di un artista che dagli anni Sessanta ingaggia un “corpo a corpo” con la tela, trasformandola in mobilissimo, trepidante luogo di poesia.

30×30=‘900 Trenta opere di artisti piacentini del Novecento per il trentennale del Rotary Farnese

Dal 21.05.2016 al 18.06.2016

 

A cura di Alessandro Malinverni

In occasione del trentesimo anniversario di fondazione, il Rotary Club di Piacenza Farnese (2050° Distretto), in collaborazione con Biffi Arte, organizza l’esposizione 30 x 30 = ‘900. Trenta opere di artisti piacentini del Novecento per il trentennale del Rotary Farnese.

Curata da Alessandro Malinverni, dottore di ricerca in Storia dell’arte e conservatore del Museo Gazzola di Piacenza e della Pinacoteca Stuard di Parma, la mostra si sviluppa su quattro sezioni ed è incentrata sull’influenza – più o meno intensa e duratura – che tre importanti docenti dell’Istituto d’arte Gazzola di Piacenza (Francesco Ghittoni, Alfredo Soressi e Umberto Concerti) ebbero su alcuni dei loro numerosi allievi.

La prima sezione è dedicata a Luciano Ricchetti e Bruno Cassinari, allievi di Ghittoni; la seconda a Cinello, che ebbe come maestro Soressi; la terza a Gustavo Foppiani, Giancarlo Braghieri e Ludovico Mosconi, che si formarono sotto la guida di Concerti. Chiude la rassegna una sezione consacrata a Luigi Arrigoni, Sergio Belloni ed Ettore Bonfatti Sabbioni, che non frequentarono il Gazzola, e tuttavia ampliarono il ventaglio culturale dell’arte piacentina grazie alla formazione rispettivamente milanese, parigina e urbinate.

Ghittoni, Soressi e Concerti sono rappresentati da un’opera ciascuno, mentre gli altri nove artisti da tre capolavori, che permettono di percepire alcuni momenti della loro peculiare cifra stilistica. Giocata sul numero 3 e sui suoi multipli, l’esposizione offre varietà tematica (soggetti sacri, scene di genere, ritratti, fiori, paesaggi, vedute), tecnica (dipinti, disegni, incisioni) e culturale (dal figurativismo – più o meno legato alla tradizione – all’informale).

Rispetto alle precedenti esposizioni del Rotary Club di Piacenza Farnese, realizzate nel 1999, nel 2007 e nel 2012, questa privilegia un aspetto poco indagato dell’arte piacentina del Novecento: la relazione tra maestro e allievo, in particolare presso la scuola d’arte più antica della città. Tre sono i principi che hanno sostenuto le scelte del curatore: l’alta qualità delle opere, la loro appartenenza a soci del Rotary e la storicizzazione dei loro autori, ormai tutti scomparsi.

ALESSANDRO FARNESE: un grande Condottiero in miniatura Il Duca di Parma e Piacenza ritratto da Jean de Saive

Dal 20.05.2016 al 31.07.2016

 

A cura di Riccardo Lattuada

Straordinaria e inedita la mostra che si inaugura venerdì 20 Maggio alle ore 18, nella Sala delle Colonne della Galleria Biffi Arte. Per la prima volta in Italia, e direttamente da Londra, un’opera che segna il ritorno nelle terre dei ducati di Parma e Piacenza di Alessandro Farnese (1545 – 1592), esponente valoroso di una fra le più importanti dinastie che hanno fatto la storia d’Europa. Si tratta di una rara e preziosa miniatura a olio su rame con il ritratto del Farnese poco più che trentenne. Il dipinto, giuntoci entro una splendida cornice barocca di legno intagliato e dorato, fino al 2005 è stato custodito nella collezione di S.A.R. Principessa Maria Beatrice di Savoia. In questo piccolo gioiello (cm. 9,8 x cm. 7,3), giunto a noi dopo più di quattrocento anni in perfetto stato di conservazione, il poco più che trentenne Alessandro Farnese è raffigurato a mezzobusto senza il Toson d’Oro, onorificenza riconosciutagli nel 1585 da Filippo II di Spagna a seguito della presa della città di Anversa.

Il dipinto è stato riconosciuto come opera dell’artista Jean de Saive (Namur 1540 – 1611), da Riccardo Lattuada, Professore presso la Seconda Università degli Studi di Napoli, già capo del Reparto Dipinti Antichi di Christie’s Italia e membro del board degli Old Master Paintings di Christie’s International, oggi componente del Vetting Committee del TEFAF di Maastricht e della Biennale di Antiquariato di Palazzo Corsini a Firenze.

Il repertorio dei ritratti di Alessandro Farnese è attualmente molto esile poiché il condottiero italiano, impegnato nelle interminabili campagne militari nelle Fiandre, non ebbe molto tempo per gli otia della vita di corte. La miniatura che lo raffigura, per la prima volta in una esposizione pubblica, è al momento l’unica nota, e insieme ad un altro ritratto di Jean de Saive recentemente ritrovato e che rappresenta Alessandro Farnese all’età di 36 anni (firmato e datato 1581), è un documento di fondamentale importanza per lo studio dell’iconografia del Farnese.

Posti l’uno accanto all’altro i due dipinti colmano un vuoto nella sua iconografia in un periodo particolarmente importante nella vita del Condottiero: entrambi lo raffigurano nel vigore della prima maturità diversamente dagli altri rari ritratti esistenti – quasi tutti conservati nei maggiori musei del mondo – nei quali viene raffigurato fanciullo e adolescente (sedicenne) e poi quarantenne, dopo la conquista di Anversa e l’attribuzione del Toson d’Oro.

Il piccolo ritratto a cui la Galleria Biffi Arte dedica la mostra si aggiunge agli altri tre ritratti di Alessandro Farnese a figura intera in età diverse (collezione privata, Museo Stibbert di Firenze e Galleria Nazionale di Parma – Palazzo della Pilotta), dipinti da Jean de Saive nella sua qualità di pittore di Corte di Alessandro Farnese a Bruxelles.

Riccardo Lattuada ritiene altamente probabile che la miniatura e il dipinto del 1581, in collezione privata, siano stati eseguiti dal vivo a Namur, poiché  dalla documentazione disponibile si sa che in quell’anno Alessandro Farnese e Jean de Saive si trovavano entrambi in quella città. De Saive, figura artistica oggi dimenticata ma di consolidato prestigio ai suoi tempi, è documentato in città ancora nel 1584.

Attorno a questo importante ritrovamento, si genera la mostra: Alessandro Farnese: un grande Condottiero in miniatura. Il Duca di Parma e Piacenza ritratto da Jean de Saive,  a cui la Galleria Biffi Arte è fiera e onorata di dare sostegno e ospitalità, nel rispetto della sua consolidata mission di promozione culturale. L’esposizione della miniatura sarà infatti corredata da un ampio apparato critico relativo alle più recenti acquisizioni sull’immagine di Alessandro Farnese, alle rare opere d’arte legate alla sua figura e alla sua attività di committente.

Accompagna la mostra un catalogo critico in doppio testo, inglese e italiano, curato dal Prof. Lattuada, con un importante saggio monografico su Jean de Saive – un contributo che fino ad oggi mancava – insieme a uno studio iconografico dei rari ritratti esistenti di Alessandro Farnese eseguiti durante la vita del condottiero.

La mostra sarà inaugurata nella Sala delle Colonne della Galleria Biffi Arte venerdì 20 maggio con una conferenza del Professor Riccardo Lattuada su Jean de Saive e sulla straordinaria vicenda storica di Alessandro Farnese.

London Signs

A cura di Luke Elwes e Lino Mannocci

Dal 16.04.2016 al 18.05.2016

 

La mostra London Signs, in corso nell’Antico Nevaio della Galleria Biffi Arte dal 16 aprile al 15 Maggio, accoglie i lavori su carta di dodici artisti internazionali, accumunati non da uno stile o tecnica particolari, ma da affinità elettive condivise. Dialogando fra loro da tempo, questi artisti riconoscono le reciproche affinità e rispettano le differenze, e da questo assiduo processo di scambio hanno costituito una sorta di gruppo ufficioso la cui intesa è basata sull’amicizia piuttosto che su uno stile comune.

In mostra la loro ultima produzione su carta, territorio in cui, per eccellenza, l’atto creativo inizia ad assumere una qualche imperfetta forma esterna.

In mostra lavori di: Tony Bevan Christopher Le Brun Luke Elwes Timothy Hyman Andrzej Jackowski Merlin James Glenys Johnson Alex Lowery Lino Mannocci Thomas Newbolt Arturo Di Stefano Charlotte Verity.

I mondi di Andrea Boyer. La Fotografia,

i Disegni.

A cura di Maurizio Rebuzzini

Dal 16.04.2016 al 15.05.2016

Sono molteplici, i mondi di Andrea Boyer, nato scenografo, cresciuto fotografo e, dagli anni Ottanta, anche pittore finissimo e appassionato cultore delle antiche tecniche del disegno e dell’incisione. Un artista che appoggia uno sguardo forte e gentile sulle cose, che sembra sempre preso a spostarle mentalmente, per comporre spazi di risonanza estetica, poi mentale e infine, e sempre, profondamente emotiva. Con, come unica legge, quella indiscutibile della luce.

In mostra, un’importante scelta di fotografie, divise nelle principali famiglie tematiche care all’artista: gli Esterni, gli Interni (i Cantieri, interni di bellezza decaduta, impolverata dall’abbandono) e, accanto, una nuova ricerca sul tema delle Nicchie, in cui agli oggetti del quotidiano Boyer sostituisce un affascinante galleggiare di mani in dialogo con la luce.

Come scrive Maurizio Rebuzzini nella presentazione critica alla mostra, quelle di Andrea Boyer sono “fotografie d’arte, che evocano più di quanto mostrino, che coinvolgono più di quanto raffigurano, che scandiscono la cadenza di una rappresentazione colta e coinvolgente (…). Senza gesti forti, senza scippi o strappi, come sollecita il garbo fotografico dell’autore, ci impossessiamo di queste visioni per farle nostre, per lasciare andare le nostre menti là dove l’efficacia visiva di Andrea Boyer ci ha condotti”.

In mostra, anche una selezionata scelta di disegni su carta, spazio volatile incerto, su cui Boyer traccia segni esattissimi, come frammenti di un “discorso amoroso” con le cose, con le persone.

Mondo Selfie

Istallazioni e disegni di Francesco Binfaré

Dal 16.04.2016 al 15.05.2016

Dal 16 Aprile al 15 Maggio, nel Salone d’Onore e nella Sala delle Colonne, la Galleria Biffi ospita la presenza preziosa e inedita di Francesco Binfaré. Artista-designer profondo e illuminato, Francesco Binfaré è stato, fra le altre attività, Direttore del Centro Cesare Cassina dal 1969 al 1975, Direttore Artistico per Cassina dal 1973 al 1990 e dal 1992 è progettista per Edra. Per la Galleria Biffi e in occasione del Salone del Mobile 2016 costruisce, con due istallazioni e una serie di disegni, un percorso che circumnaviga i grandi temi del nostro essere nel mondo: il naufragio, l’approdo, il ritorno. “Schizzi di pugno” e fonte analogica della sua ricerca, i disegni hanno accompagnato, chiosato e composto il fare progettuale di Binfaré dagli anni Sessanta a oggi. Segni veloci, aggrappati al pensiero, gli schizzi esprimono una immediatezza che si apparenta a quella dello  smartphone “piccolo contenitore miracoloso” di mondi, nel cuore del racconto di Binfaré ed elemento centrale di una nuova ritualità che consente a milioni di persone la medesima magia.

La mostra Mondo Selfie è realizzata in collaborazione con Edra.

Interni piacentini dall’Archivio Croce

Dal 16.04.2016 al 15.05.2016

Nessun posto è bello come casa mia

(Noel Langley, “Il Mago di Oz”)

Dallo storico Archivio Croce di Piacenza, una selezione di interni di case piacentine degli anni Quaranta e Cinquanta: modi remoti di abitare eppure vivissimi nella memoria di molti di noi. Sono piccoli mondi di grande decoro, spazi in cui i minimi gesti (la bambola al centro del letto, la madonnina, per una devozione tutta privata) si fanno, fatalmente, gesti d’amore.

Non è solo colpa di Nerone se Roma brucia

Opere di Adriano Pompa

Dal 12.03.2016 al 10.04.2016
Dal 12 marzo al 10 aprile la Galleria Biffi Arte ospita Non è solo colpa di Nerone se Roma brucia, antologica dell’artista Adriano Pompa, curata dal critico Andrea Tinterri. Un percorso che raccoglie gli ultimi trent’anni di lavoro assiduo: scultura, pittura, disegno, incisione compongono un racconto che, nella sua eterogeneità, restituisce l’interesse dell’artista per il mondo antico, il mito, l’archeologia. Adriano Pompa raccoglie reperti come fosse un attento ricercatore, per poi trasformarli in elementi significanti di un romanzo fantastico. Resuscita antichi cavalieri dal volto censurato, in sella a improbabili cavalli; santi guerrieri in cerca di gloria a impugnare armi bianche; serpenti archetipici a segnalare la loro presenza al mondo. Un bestiario di figure che animano e trasfigurano il nostro ricordo della storia e del mito.

Non è solo colpa di Nerone se Roma brucia

Opere di Adriano Pompa

Dal 12.03.2016 al 10.04.2016
Dal 12 marzo al 10 aprile la Galleria Biffi Arte ospita Non è solo colpa di Nerone se Roma brucia, antologica dell’artista Adriano Pompa, curata dal critico Andrea Tinterri. Un percorso che raccoglie gli ultimi trent’anni di lavoro assiduo: scultura, pittura, disegno, incisione compongono un racconto che, nella sua eterogeneità, restituisce l’interesse dell’artista per il mondo antico, il mito, l’archeologia. Adriano Pompa raccoglie reperti come fosse un attento ricercatore, per poi trasformarli in elementi significanti di un romanzo fantastico. Resuscita antichi cavalieri dal volto censurato, in sella a improbabili cavalli; santi guerrieri in cerca di gloria a impugnare armi bianche; serpenti archetipici a segnalare la loro presenza al mondo. Un bestiario di figure che animano e trasfigurano il nostro ricordo della storia e del mito.

Le atmosfere del colore

Fotografie di Stefano Regazzoni

Dal 12.03.2016 al 10.04.2016
Dal 12 Marzo al 10 Aprile, gli spazi dell’Antico Nevaio accolgono 18 suggestivi scatti fotografici di Stefano Regazzoni. Regazzoni ha iniziato a interessarsi di fotografia nel 1987 approfondendone diversi aspetti: dal ritratto alla fotografia naturalistica, dalla macrofotografia alla fotografia sportiva e di architettura. Quest’ultimo ambito ha portato il fotografo alla progettazione di una soluzione molto sofisticata per il medio formato, realizzata e brevettata nel 2001 e oggetto di pubblicazioni sulla stampa specializzata. Lo sguardo fotografico di Stefano Regazzoni è dunque una felice combinazione di tecnica e poesia, di affetto verso il dato naturale e uso di strumenti tecnici sofisticati che Regazzoni maneggia con duttilità e sapienza. Da questa combinazione nascono immagini forti, magnetiche, che restituiscono tutta la densità di paesaggi naturali complessi ricercati nelle zone più remote e affascinanti del nostro pianeta: Europa, Africa, Asia, Oceania, Nord e Sudamerica, Artico. Importante, nell’attività di Regazzoni, anche la pubblicazione di libri fotografici: Deserti, del 2002, Egitto e Nuova Zelanda, entrambi pubblicati da Edicart nel 2004 e nel 2009 Artico Gelido Incanto, un libro fotografico di grande formato e altissima qualità, in cui fonde la sua esperienza di fotografo con approfondite ricerche sulle tecniche di stampa. Artico Gelido Incanto ha suscitato grande ammirazione nel settore e ha stimolato articoli di approfondimento sulla stampa specializzata.

L’opera grafica di Elena Mezzadra

a cura di Elena Pontiggia

Dal 12.03.2016 al 10.04.2016
E’ una musica di suoni esatti, quella che porta Elena Mezzadra a definire sulla carta un sostrato geometrico di scorrimenti emotivi: un fascio di traiettorie di pura poesia, con stratificazione di “cartilagini luminose” come le definisce Elena Pontiggia, che da sempre connotano il linguaggio di questa artista forte e solitaria. E a Elena Mezzadra, una fra le voci migliori di quella “generazione di mezzo” di artisti nati negli anni Trenta, la Galleria Biffi dedica a partire dal 12 marzo, lo spazio della Sala Biffi. In mostra, un percorso monografico che accoglie un piccolo ma smagliante corpus di 16 acqueforti e acquetinte, realizzate fra l’inizio degli anni Novanta e il 2010. Un lavoro sulla lastra lento e paziente che dice tutta la sensibilità di un’artista che riesce a tenere stretti saldamente insieme cuore e testa, perché, come lei stessa ama dire “Nulla è nell’intelletto che non sia stato prima nei sensi”.

L’INCANTO

fotografie

di Manuela Figlia & Fabio Giovanetti

Dal 13.02.2016 al 06.03.2016

Mostra fotografica di Manuela Figlia & Fabio Giovanetti, dedicata alla passione per la danza classica.

Manuela e Fabio vivono a Milano, sono sposati e hanno due figli.

Si occupano principalmente di fotografia di Moda Bimbo, ma amano dedicarsi a progetti diversi in cui i protagonisti siano sempre direttamente o indirettamente i bambini.

I loro progetti fotografici offrono una duplice visione – femminile e maschile – con uno sguardo particolarmente attento agli aspetti emotivi e interiori dei loro soggetti.

Le loro storie personali influenzano il loro stile e la loro crescita professionale. La loro visione è il risultato dell’unione tra l’amore per i bambini, l’eleganza e l’analisi introspettiva.

Durante l’inaugurazione della mostra ci saranno due interventi coreografici a cura di Choros, diretto da Marcella Azzali e Balletto Ducale diretto da Nadia Passerini alle ore 18.30 e alle ore 19.00

GIOVANNI CECCHINATO. Evolutio Visio

Sulle orme di Gabriele Basilico.

A cura di Riccardo Caldura

Dal 06.02.2016 al 06.03.2016

D’una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda.

Italo Calvino

Il lavoro di Giovanni Cecchinato ha un autorevole punto di partenza: sono i luoghi già percorsi da Gabriele Basilico nella campagna fotografica del 2001, tutta dedicata a Mestre, e rifotografati, in una sorta di reenactment, per osservare e registrare quali trasformazioni siano intervenute in uno stesso tessuto urbano, considerando i quindici anni trascorsi fra una campagna fotografica e l’altra.

Mestre, infatti, ha rappresentato un caso a suo modo esemplare, per indagare il carattere della città anonima, della città ovunque, di quella che Basilico definiva la città media. E non è affatto semplice cogliere questo aspetto così sfuggente, quella caratteristica in cui possa ancora essere riconosciuta, nella città media, questa città.

Il lavoro di Cecchinato comincia da qui, cioè dal ripercorrere lo sguardo e le particolari angolazioni urbane di un altro grande fotografo per cogliere la città nella sua medietà: una medietà intesa non come condizione statica, ma quale condizione urbana soggetta a mutamenti e trasformazioni, dunque più organismo che cristallo.

PRESENZE. LA PITTURA ANIMALIER

DI MARCO RAMASSO

PRESENTAZIONE DI SUSANNA GUALAZZINI

Dal 06.02.2016 al 06.03.2016

 

In mostra nell’Antico Nevaio della Galleria Biffi i più recenti lavori, olii e acrilici, di Marco Ramasso, pittore anche ma non solo animalier.

Ramasso, infatti, rovescia il tradizionale legame uomo-animale, tanto ancestrale quanto controverso e dà vita a un pantheon di animali che vivono nella profonda affermazione della propria identità: sono esseri dalla potenza straordinaria, non carne da caccia, ma esistenze intrise di intelligenza, di luce, di pensiero.

Sono i pacifici abitanti di uno spazio di paradiso ritrovato forse proprio grazie alla latenza dell’uomo, al quale chiedono, come racconta l’artista solo “di essere ascoltati”, nel rispetto della propria presenza. Da questo peculiare approccio alla natura, nasce la pittura di Marco Ramasso la cui ricerca può essere ricondotta a una sorta di realismo emozionale proprio perché tesa a restituire un’emozione, sfuggendo volontariamente all’effetto fotografico.

All’artista non interessa solo il contesto reale, ma anche e soprattutto la potenza, la presenza di quell’animale in quel determinato momento, la sua matericità, il suo essere nel mondo con forza e consapevolezza. Non cerca l’idillio, Marco Ramasso: sarebbe troppo facile. Persegue quel raro, irripetibile momento di incanto fatto di verità e di poesia, quell’attimo intriso di vita che la natura offre solo a chi sa veramente vedere e condividere con affetto e rispetto.

Riflessioni Zen. I gioielli Haiku di Franca Franchi

Dal 15.12.2015 al 01.02.2016

 

I gioielli Haiku di Franca Franchi, in mostra la più recente collezione dei gioielli di Franca Franchi: collier, spille e anelli ispirati al pensiero Zen, in un gioco forte e luminoso di riflessi specchiati.

FRANCA FRANCHI è  un’artista piacentina, fondatrice del movimento Zen in Art – per un’estetica zen e crea “sculture da indossare” (gioielli) e “sculture da vivere” (opere con illuminazione/lampade e opere in cristallo orizzontale/tavoli) con una tecnica che prevede l’uso di materiali quali lo specchio, vetro, cristallo, acciaio e ferro, rigorosamente di recupero, e la loro ricomposizione in opere scultoree.

“Questi gioielli hanno una caratteristica in comune che si potrebbe accostare all’atmosfera che si sprigiona nell’ascoltare un Haiku. Si tratta dell’incontro tra la precisione esecutiva e l’ambiguità degli elementi che la compongono.

Gillo Dorfles

GIANFRANCO ASVERI, LO SGUARDO NASCOSTO

a cura di LUCIANO CAPRILE

Dal 12.12.2015 al 01.02.2016

 

Talora quando ci si pone davanti allo specchio si ha la sensazione di vedere una persona diversa; d’altra parte incontrando uno sconosciuto per strada si può percepire in lui qualcosa che ci appartiene. Insomma, noi non siamo mai un’identità immutabile e gli altri possono variabilmente entrare in questa identità.

Sono le sorprese dell’immagine custodita nel nostro intimo e che lo sguardo filtra ogni volta senza bloccarla definitivamente. La nostra immagine si comporta come il tempo, come la mutevole emozione suscitata al suo cospetto.

Gli artisti che si siedono dinanzi al cavalletto per trasferire sulla tela una figura che hanno di fronte o che viene consegnata a loro da uno specchio o da un’idea, si trovano in ogni caso nella stessa situazione. Ciò avviene soprattutto quando il pennello non insegue una fisionomia per così dire oggettiva ma cerca di interpretare ciò che sta appena dietro quella maschera impressa dai lineamenti. Sotto tale profilo (profilo in tutti i sensi) si possono citare almeno due casi eclatanti che riguardano Alberto Giacometti e Francis Bacon.

Il primo scavava all’infinito i volti a colpi di pennello alla conquista di quella verità interiore che non gli veniva mai restituita in maniera adeguata dall’interpretazione puramente fisionomica; il secondo trasferiva nell’alterazione dell’effigie, se non addirittura nel suo stravolgimento, l’inquietudine esistenziale che lo tormentava e nello stesso tempo decretava i risultati del suo straordinario impegno creativo.

Gianfranco Asveri ha attraversato gli anni Ottanta affrontando da par suo il tema del ritratto ovvero lasciando che il gesto espressivo indagasse il viso del personaggio chiamato in causa di volta in volta alla ricerca costante di quel “quid” che nessuna fotografia o nessuna indagine iperrealista avrebbe potuto documentare con pari efficacia.

Ha intitolato questo suo lungo ciclo di opere “Lo sguardo nascosto” perché l’ovale è sistematicamente cancellato come se ci si trovasse al cospetto di una vecchia lavagna di scuola su cui rimangono impressi i passaggi dello straccio che ha portato via ogni residuo leggibile della storia scritta dai numeri o dalle lettere dell’alfabeto lasciandone solo una labile traccia o un’illusione di transito o il fantasma del gesto.

Raramente si salva un occhio, un accenno di naso o un ghigno che comunque non raccontano adeguatamente l’aspetto esteriore di tali “figure”. Un compito che non si è dato Asveri e che opportunamente non viene rispettato. A lui come ai due grandi autori citati premeva ben altro: lo sguardo, che talora compare, non è quello ricercato e pertanto non va tenuto nel conto: lo sguardo vero è quello trattenuto dall’anima, riservato all’inconscio e portato alla superficie in particolari occasioni.

La “lavagna cancellata” di Asveri serve da guida per ritrovare le cifre e le frasi necessarie a ricomporre la verità, a rileggere il compito per cui si è stati interrogati. Si tratta di un passaggio importante per un artista come Gianfranco che da queste prove di escavazione interiore troverà motivazione e alimento per esplorare quello straordinario mondo della prima infanzia da tutti noi vissuto e sovente riposto nell’angolo più remoto e nostalgico dell’inconscio.

Da questi “ritratti” partirà un percorso a ritroso che lo condurrà a sondare il mistero dei nostri primi gesti, dei nostri primi pensieri che contenevano l’innata conoscenza smarrita dagli adulti e magicamente riconquistata dagli artisti toccati dalla grazia. Ne “Lo sguardo nascosto” si insinua questa premonizione; nel gesto scarno ed efficace ( che rifugge da ogni compiacimento rappresentativo ) risiede già l’anticipazione di un capitolo di sorprese da conquistare attraverso la paziente, continua ricerca del sé nascosto.

Le “figure”, deliberatamente non identificabili, annunciano in varia misura le macchie, i moduli formali, le intenzioni e le provocazioni strutturali che in seguito si scioglieranno e si trasformeranno in stupefacenti esplosioni timbriche e narrative. A costruire un divenire a ritroso che ci riconduce agli incanti della prima età dove la scoperta dell’immagine elargita dal cammino della matita su un foglio di carta equivale alla scoperta del mondo.

In questi “ritratti” Asveri sembra voler celare ancora una simile magia che sta per esplodere e si manifesterà come la liberazione incontenibile di creatività, di ritrovata innocenza, di condivisibile stupore. Possiamo già indovinare questo mondo nella “natura morta” che accompagna e chiude idealmente l’attuale sequenza per annunciare forse già il nuovo mondo: una labile fetta d’anguria si fa volto e luna per un paesaggio che invade il corpo nel disegno accennato di un sogno. Anche questo è un “ritratto”: è il ritratto di un Asveri in agguato, pronto a far esplodere un mondo interiore di gesti, di rimandi e di racconti da collegarsi a quella cultura contadina che gli appartiene e appartiene a tutti noi quando siamo capaci ancora di stupirci e di innamorarci di certe sorprese della natura e di quei comportamenti che ne sottolineano l’atemporalità o per lo meno la lontananza da certe reiterate manifestazioni dell’oggi scandite dalla esasperazione tecnologica. Non a caso Gianfranco Asveri conclude questa rassegna di opere degli anni Ottanta con una sorta di “post scriptum” che lega quella sua lontana stagione all’attuale popolata di figure e di storie che entrano ed escono dalle sue mani come abitanti di una casa che li contiene da sempre e li centellina con la preziosità del dono ricercato e assaporato da tutti coloro che entrano in felice sintonia con lui.

Dunque Asveri ha richiamato per l’occasione sulla scena quel Cicòn che sintetizza ogni personaggio dell’immaginario che ci interroga quando dobbiamo fare i conti con quella storia nutrita di leggenda in cui si riversava l’immaginario dei nostri padri e che ancora oggi riesce ad accendere la magia di certe notti immerse nel silenzio ormai dimenticato dei campi, dei boschi o riesce a scandire la lieve trafittura della pioggia sulle foglie o annuncia l’impalpabile velo della nebbia.

Il Cicòn di Gianfranco conserva simili atmosfere e le distribuisce a ventaglio come un prezioso seme nel terreno della nostra sensibilità per arricchirla di nuovi e antichi germogli, di nuovi e rinnovabili frutti. La storia di Cicòn si rivolge a un fantoccio che deve bruciare e consumarsi in un rito collettivo per poter quindi rinascere dalle proprie ceneri e donare nuova linfa vitale alla gente; questi “ritratti” di Asveri costituiscono dunque il prologo di un racconto da tramandare all’infinito per non perdere il senso delle proprie origini e di riflesso per non perdersi.

Tali caustiche od oniriche rappresentazioni conservano ed esibiscono, volenti o nolenti, l’essenza e l’impronta genetica di ciascuno di noi.

Luciano Caprile

MAPPAMONDI – TOPOGRAFIE DI UN PAESAGGIO INTERIORE

Marco Rigamonti e Annamaria Belloni – a cura di Susanna Gualazzini

Dal 12.12.2015 al 01.02.2016

 

A cosa serve una grande profondità di campo se non c’è un’adeguata profondità di sentimento?

Eugene Smith

Gli spazi profondi e silenziosi dell’Antico Nevaio della Galleria Biffi accolgono dal 12 Dicembre al 1 febbraio 2016, una selezione di lavori, recenti e più remoti, di Annamaria Belloni e Marco Rigamonti, artisti molto apprezzati nell’orizzonte della ricerca fotografica italiana.

Due percorsi autonomi ma, nel caso di questa mostra, apparentati dalla volontà di muovere dallo spazio fenomenico inteso come luogo che ci contiene, come “scena del nostro agire” e, fatalmente, del nostro sentire.

Sono lavori in cui, attraverso tragitti comunque individuali, sia Belloni che Rigamonti esplorano il proprio archetipo paesaggistico inteso come strumento che dà voce a una propria mappa interiore. Ed è, questa, una mappa che prende forma da una serie di incontri con istanti del reale, ognuno con la propria legge, ognuno con la propria voce. In Belloni, i luoghi di questo incontro possono anche essere i luoghi comuni che, fotografati, acquistano spessore, senso, capacità di rivelare.

Con essi, l’artista intreccia un dialogo affettuoso e intimo che li fa rinascere dalle loro origini umili trasformandoli in luoghi di rivelazione poetica. Ma se Belloni intrattiene con i suoi paesaggi una relazione di vicinanza, nel lavoro di Marco Rigamonti lo sguardo inverte la rotta e si fa lontano, aggrappandosi alla luce: Rigamonti agisce sulla luce e la manipola in rifrazioni che letteralmente trasformano la realtà attribuendole, a tratti, un “di più”, una qualità di extra-realtà.

Di qui l’affezione per la luminosità calcinata del paesaggio marino, in cui la tonalità dell’aria viene da un’esperienza tutta mentale. Verrebbe da dire metafisica, non fosse che il termine – abusato – potrebbe dare una connotazione troppo rigida a una poetica in realtà fluida, cangiante, mobile.

Dunque due diverse modalità di sguardo ma la medesima e comune conclusione: solo dalla continua oscillazione fra spazio interno e spazio esterno, e dal loro sottile trasmigrare l’uno nell’altro, può fiorire una autentica esperienza del mondo.

A cura di Susanna Gualazzini

UNA STRAORDINARIA “VICENDA” PIETRO REINA 1905-1954 pittura, disegno, scenografia

A cura di Gianni Reina e Arialdo Ceribelli

Dal 14.11.2015 al 06.12.2015

La mostra allestita alla Galleria Biffi Arte dal 14 Novembre al 6 Dicembre, rende conto, attraverso più di sessanta opere, fra bozzetti per scenografie teatrali, studi di interni, oli e disegni, del complesso universo poetico di Pietro Reina (Saronno 1905 – Milano 1954), artista che svolse un ruolo di grande rilievo all’interno della più raffinata cultura milanese e lombarda di primo Novecento.

Attivo dalla metà degli anni Trenta fino alla morte prematura, a quarantanove anni, Pietro Reina insegnò scenografia a Brera, Arte e Mestieri presso l’Umanitaria, fu apprezzatissimo scenografo della Scala e di altri teatri, collaborò con La Triennale di Milano e con il Ministero della Pubblica Istruzione per la redazione dei programmi dei corsi di Scenografia nelle Accademie di Belle Arti italiane.

La mostra valorizza soprattutto l’attività di scenografo o meglio di ”costruttore” di spazi poetici. Un corpus di opere in cui lo studio della geometria, la costruzione delle forme e dei volumi, l’illusione prospettica, la composizione scenografica diventano uno linguaggio espressivo e poetico a cui l’artista consegna il compito di trasmettere il contenuto del proprio mondo interiore. Si compone la figura di un artista intriso di profonda sapienza teorica, un pittore e uno scenografo mai sedotto da sperimentazioni gratuite ma, soprattutto nelle scenografie, in cristallino equilibrio fra gli spazi sospesi della coeva pittura metafisica e le nuove tendenze dell’architettura razionalista.

E straordinaria è la capacità di sintesi e di trasformazione che l’artista esprime: un universo di pareti, piani e sottili parallelepipedi si compongono in interni in cui le più geniali idee di Gropius, van der Rohe, Le Corbousier si fondono a ombre liriche e metafisiche, in un contesto di intuizioni fondamentali che, non a caso, confluiranno nell’importante attività teorica dell’artista (per Garzanti pubblicherà Leggi di Prospettiva Normale e con Ulrico Hoepli Disegno geometrico per le arti e mestieri. Stereometria fondamentale).

E, accanto, l’inesausta attività pittorica e grafica, affrontata con le tecniche più diverse, dalla tempera alla grafite, con un immaginario non privo di ironia che a tratti guarda al secondo Futurismo, a tratti al lirismo volumetrico degli anni Trenta.

A cura di Gianni Reina e Arialdo Ceribelli 

L’INSOLITO DEI GESTI QUOTIDIANI : L’OPERA DI SIMONE PRUDENTE

A cura di Sandro Gazzola

Dal 14.11.2015 al 06.12.2015

Vincitore del Premio Biffi, nell’ambito del Premio Cairo 2014, Simone Prudente costeggia con ironia e giocosità gli aspetti misterici della realtà, sviluppando una ricerca che va oltre il reale e che volutamente ne mette in discussione le leggi. Undici opere che spiazzano lo spettatore, e lo fanno in modo ragionato, condotte, come sono, con una scrittura colta, rigorosa, studiatissima.

L’intento è quello di intercettare e “far saltare” la superficialità culturale degli anni della globalizzazione, sempre meno idonei al tempo della riflessione.

Una collezione di riflessioni intime che riesce a raccontare valori elevati pur usando un linguaggio semplice, con immagini e parole primarie ed archetipe: un messaggio di criticità rivolto a una realtà un po’ troppo assuefatta al sacrificio del Bello.

A cura di Sandro Gazzola

LETTERE DA UN AMICO ANTICHISSIMO.

L’OPERA DI MAURIZIO BOTTI A cura di Carlo Francou

Dal 14.11.2015 al 06.12.2015

La conoscenza di cui parlo non è quella intellettuale o scientifica cui siamo abituati nella nostra cultura basata sulla logica e sulla razionalità.

E’ piuttosto una conoscenza legata alle emozioni, al sentire e all’intuizione. Potrei definirla, con un linguaggio mutuato dalle tradizioni mistiche, una “conoscenza del cuore”.

Rappresentare quella scrittura su una tela o una carta, inserirla in un insieme formato da colori, materia, segni e tecniche varie, cercare un equilibrio formale, una compiutezza, è il modo che ho trovato per tentare di esprimere, con un discorso pittorico, i “messaggi” che mi giungevano da questa presenza interiore o, ciò che è lo stesso, i contenuti psichici che di volta in volta mi affioravano alla coscienza chiedendo di essere accolti e compresi.

E’ tutto racchiuso in queste riflessioni il senso del cimento di Maurizio Botti, il cui percorso artistico ha conosciuto momenti di pausa e di silenzio ma che con questo solo show nell’Antico Nevaio della Galleria Biffi, torna a esprimersi, e lo fa a gran voce.

Carte, tavole, tecniche miste su tela e su ferro, a definire una sorta di scrittura archeologica, sintassi di “alfabeti dimenticati” immaginati per dare forma a messaggi che una presenza antica gli invia. Messaggi da decodificare per annodare dei fili, per trasmettere una saggezza antica. Perché quello di Maurizio Botti non è un lavoro di rottura ma, al contrario, di ricucitura, un riannodare fili remoti per assicurare la continuità della conoscenza. Noi siamo quello che siamo grazie a un processo di trasformazione continuo che, per essere armonico, deve tenere conto del passato e questa scrittura è esattamente questo: metafora per camminare verso il futuro conservando un’anima antica.

A cura di Carlo Francou

“Ecce Fabula” THIRTEEN FRAMES

Dal 14.11.2015 al 13.12.2015

Il nuovo lavoro di Gionata Xerra è composto da tredici immagini tratte dalla proiezione del video mapping “Ecce Fabula” realizzato sul Palazzo del Governatore in Ottobre 2015 Piacenza.

Queste foto non sono, in realtà, frutto della trasposizione in supporto fotografico di alcuni frames del video, ma foto specificatamente scattate in Piazza Cavalli durante la proiezione.

Esiste però una corrispondenza, invisibile e per alcuni aspetti volutamente incompleta, tra gli scatti fotografici ei frames del video.

Gli scatti, come i frames nella loro casualità, registrano istantispesso incompiuti, uscendo da una modalità documentale per divenire interpretazione. In ogni foto agisce così la volontà di fermare un preciso momento. Uscire dal racconto animatoper entrare nella sintesi dello scatto fotografico diventa la linea portante di questo progetto

José Molina: del amor y otros demonios

Dal 17.10.2015 al 08.11.2015

Eclettico, capace di una finitezza di segno dalla precisione chirurgica e di una fantasia onnivora e visionaria, l’artista spagnolo José Molina presenta da Biffi Arte una selezione di lavori appartenenti a collezioni passate e più recenti.Ci sono i Predatores (predatori), mostri dalle fauci animalesche, ibridi spaventosi, colpevoli, sì, ma anche vittime, incisi dal segno inesorabile di Molina che tuttavia non è mai totalmente privo di uno sguardo di pietà. Ci sono gli Olvidados (I Dimenticati), con la loro sconfitta scritta sui volti orribilmente deformati. E poi ci sono le serigrafie della serie Sentimentos, dove l’amore assume le forme più varie e dove l’abbraccio è passione ma qualche volta anche prigione.

AnimaDonna, infine, è il monumentale progetto che l’artista dedica al mondo femminile: un lavoro in bilico tra pittura, disegno, scultura e installazione che vede al centro di tutto la donna, non come oggetto da contemplare, ma piuttosto come forza primitiva ferocemente legata alla terra, all’istinto, al lato più autentico e animale dell’umanità. Il progetto intero – dal quale per la mostra sono state selezionate alcune opere – si compone di 150 pezzi in totale suddivisi in 18 capitoli che trattano temi che vanno dalla maternità al sesso, alla psiche, alla spiritualità. Disegnatore superlativo quando si tratta di lavorare a matita, se affronta l’olio Molina è capace di regalargli una luminosità e una nitidezza uniche. Ma fondamentali nella fruizione del suo lavoro sono anche le cornici, che fa realizzare appositamente da artigiani o costruisce da sé.

Tra visioni di suggestione neosurrealista e immagini oniriche, figlie di una conoscenza profonda dell’uomo e dei suoi demoni, la mostra ci accompagna – opera dopo opera – alla scoperta dei recessi più profondi dell’uomo. Dei nostri desideri più segreti e delle nostre paure più inconfessabili.

Sabato 7 novembre, alle ore 18.30, è previsto il recital “Esser natura: luci ed ombre” di Pamela Antonacci, liberamente ispirato alle opere di José Molina.

Poesie, racconti e parole fluttuanti per raccontare l’anima della mostra. Protagonisti dello spettacolo saranno gli stessi visitatori, invitati, nei giorni di visita alla mostra, a scrivere su dei post it le proprie suggestioni ed emozioni. Saranno proprio queste ultime ad essere elaborate per essere messe in scena.

ARTE AFRICANA

MASCHERE E FETICCI

Dal 10.10.2015 al 08.11.2015
Da tempi antichi, in Africa la realizzazione di oggetti di culto, maschere, feticci, statue, statuette, amuleti in legno, terracotta o leghe di vari metalli, ha costituito una componente essenziale delle culture locali, dato il ruolo fondamentale della religione e della magia presso le popolazioni del vasto continente. Alcune etnie (Senufo, Fang, Baulè, Degon, Bambara) hanno raggiunto nei secoli un tale livello di raffinatezza nella creazione di questi “manufatti” che essi da alcuni decenni sono giustamente annoverati a pieno titolo come originalissime opere d’arte. Le maschere sono tra gli oggetti di culto più diffusi e meglio noti dell’arte africana: usate nelle danze propiziatorie per un abbondante raccolto o per favorire la caccia, spesso ricorrono anche nei culti funerari e nei riti di iniziazione. Le statue antropomorfe possono essere invece rappresentazione degli antenati, o possono essere oggetti di culto associati, per esempio, ai riti di fecondità: è il caso delle statue con la rappresentazione della donna con in braccio un bambino o nell’atto di sorreggere il seno. Presso alcune etnie, come gli Ashanti del Ghana, le donne portano addosso delle piccole statuette (“bambole della fertilità”) per scongiurare la sterilità, causa di disonore e emarginazione all’interno della comunità. Tutte queste affascinanti implicazioni si intrecciano nella mostra Arte africana: maschere e feticci, allestita alla Galleria Biffi Arte dal 10 ottobre all’8 novembre, a cura di Leda Calza e Luigi Sansone: maschere rituali, pezzi di statuaria, ma anche vere e proprie rarità, come per esempio i venti “pesi” Ashanti, piccole sculture zoomorfe in bronzo a fusione unica, utilizzate fino alla fine dell’Ottocento come moneta corrente, dunque di numero limitato e ricercatissimi. In mostra più di sessanta pezzi tutti provenienti da un’unica collezione privata, a documentare una immensa passione per il continente africano e per le sue complessità. Il catalogo della mostra si avvale di un saggio introduttivo di Luigi Sansone.

EVITA I SOUVENIR ROTTI

Dal 10.10.2015 al 08.11.2015
Di origine savonese e figlio d’arte, Vincenzo Cabiati è artista eclettico che ama misurarsi con i materiali più diversi: ceramica, vetro, bronzo, cera, combinando immagini serigrafate, still frame di video e dettagli di fotografie. Attivissimo in solo e group show dalla metà degli anni Ottanta, ha sviluppato un linguaggio multiforme e suggestivo con il quale esplora, di preferenza, i territori più profondi della coscienza. E’ il caso di Evita i souvenir rotti, in mostra alla Galleria Biffi Arte dal 10 ottobre all’8 novembre: una installazione complessa ed enigmatica, gravitante attorno al bianco snowman. Muto, attonito, candido, calato in un paesaggio-sinopia egualmente raggelato, snowman costruisce un’atmosfera algida da cui emergono souvenir dello sguardo senza (o al di là della) coscienza.

LA FLORA MECCANICA DI OSWALDO BOT

Dal 17.09.2015 al 04.10.2015

Sappiate che a Piacenza non c’è che un artista: Bot. Il Futurismo, guidato da me e dal mio caro amico Bot, sempre ha trionfato e sempre trionferà.

Piacenza, 14 dicembre 1931 Filippo Tommaso Marinetti

La Galleria Biffi Arte di Piacenza si unisce a tutta la città per celebrare Oswaldo Bot, uno dei suoi figli più geniali, struggente e appassionato protagonista del Futurismo. E lo fa scegliendo, nell’ambito della multiforme produzione di questo artista, una delle espressioni più anarchiche e poetiche: dal 17 settembre al 5 ottobre, l’area Bookshop della galleria ospiterà infatti alcuni esemplari della Flora Meccanica Futurista, i fiori visionari progettati da Bot nel 1930, pubblicati nello stesso anno ma mai realizzati. Fino a quando, nel 1986, in occasione della storica mostra veneziana Futurismo e Futurismi, curata da Pontus Hulten, Gherado Frassa, artigiano, artista, collezionista, creatore di mode, “poeta” anarchico e geniale quanto Bot, ispirandosi direttamente ai bozzetti, li ha portati alla vita. E sono nati così i Fiori di Latta, vere e proprie sculture da sessanta centimetri a due metri di altezza, realizzate interamente in ferro laccato e dipinto a mano, fedeli riproduzioni dei disegni originali di Bot. Gherardo Frassa li ha realizzati con la collaborazione dei mastri ferrai della Valcamonica creando pezzi unici e pezzi numerati: fiori meccanici, fiori veloci, forti e gentili, che ripropongono tutta la forza visionaria di Bot e la sua modernità di linguaggio sempre e profondamente congiunta all’ironia.

Tutto dal vero

Dal 05.09.2015 al 04.10.2015

Barilli aveva sospeso una sua attività di pittore nel 1962, dandosi esclusivamente da quel momento a una carriera di docente universitario al DAMS di Bologna, con relativa pubblicazione di saggi di storia e critica d’arte, di letteratura e di estetica, ma poi, andato in pensione nel 2010, ha sentito il richiamo della vecchia passione e vi si è rituffato, ricominciando quasi da zero, dai tempi della sua adolescenza quando faceva un’arte in apparenza molto tradizionale dedicata alla figura umana, agli interni e ai paesaggi. L’unica differenza è che ora si avvale dell’approccio fotografico consentito dai cellulari, salvando così la coscienza di sostenitore, a suo tempo, della svolta del ’68, quando appunto si negava la possibilità di mantenere un avvicinamento pittorico alla realtà sostituendolo per intero con l’immagine fredda della pellicola fotochimica, allora usata quasi in esclusiva. Ora, il suo intento è di rispettare quel responso oggettivo, rivolto a fare presa su occasioni marginali, squarci di tessuto urbano, piccole nature morte, volti di amici, o di folla anonima sorpresa sui mezzi di trasporto. E’ quasi la pratica delle “epifanie”, cioè di brani in apparenza marginali ma carichi di un sapore esistenziale, di cui ci ha parlato il grande Joyce. Ovvero si tratta di ridare consistenza, anche materica, cromatica, perfino tattile, alle immagini altrimenti troppo stereotipate consentite dal mezzo tecnologico. Barilli si avvale di una pittura a tempera su fogli di carta Fabriano, tutti suppergiù con le stesse misure. Nato nel 1935, dal 1964.

Renato Barilli ha insegnato presso l’Università di Bologna di cui ora è professore emerito. Ha al suo attivo un gran numero di saggi pubblicati nei tre ambiti del suo interesse, critica d’arte, di letteratura e di estetica. Ha collaborato a quotidiani e riviste nazionali di prestigio, ma ora per esprimersi ha solo un suo blog cui invita chi eventualmente interessato: www.renatobarilli.it.

Viaggio nel colore

Dal 05.09.2015 al 04.10.2015

Con molto piacere la Galleria Biffi Arte ospita Viaggio nel colore. La ‘nuova’ pittura di Paolo Capitelli, personale di Paolo Capitelli, valente pittore piacentino, originario di Farini d’Olmo. In esposizione, le ultime sue opere, acrilici di vario formato dai colori intensi e vivaci. Nelle sue tele Capitelli parte dalla realtà ma la trasfigura, la rilegge in senso magico e spesso fortemente interiorizzato giungendo all’Informale e, talora, all’Astrazione. Ma di questi due gloriosi movimenti è rimasta solo l’apparenza perché, a ben vedere, alla fine emerge solo la personalità del pittore. Capitelli infatti sente e vive la realtà esterna con slancio, trasporto ed emozione, quasi nascesse un sentimento “panico” cioè relativo al tutto circostante. Il pittore, sia che si ispiri alle sue amate colline sia che si idealizzi un notturno o una marina, mantiene identica tensione espressiva. Insuperabili i paesaggi e gli scorci di campagna dai colori tenui e pastellati, romantici oltre modo certi notturni al chiaro di luna e gli azzurri, espressivi del mare, del cielo e per estensione di tutto quanto ci circonda.

Nelle composizioni di Capitelli non c’è lo spazio ma il sentimento dello spazio, non c’è il tempo ma il senso del fluire del tempo, non c’è la natura ma la quintessenza della natura. Nelle ultimissime tele poi il tocco diventa più nervoso, la materia più intricata e contorta, l’idea e il concetto si nascondono quasi nell’inviluppo cromatico. Forse aumentano ansie e preoccupazioni, forse il pittore fatica a seguire una realtà sempre più complessa e contraddittoria, forse Capitelli riflette il ribollire della tecnica e il maggior sommovimento sociale, forse ….

Andrea Salvetti Stanze di metalli organici

Dal 05.09.2015 al 04.10.2015

Metto radici nella terra come un albero, con i piedi piantati sottosuolo, fermo, guardo l’orizzonte e respiro piano. Come un castagno di qualunque selva che dei frutti si scuote al vento, perde le foglie al primo freddo e ne fa di nuove al primo sole, che sta lì semplicemente quasi immobile, sto fermo anch’io e ne invidio la fotosintesi (Andrea Salvetti).

In mostra alla Galleria Biffi Arte, alcuni pezzi storici della più che ventennale ricerca di Andrea Salvetti: un repertorio di oggetti-opera che documentano il complesso intreccio di lavoro di testa e di mani (mani pensanti, come le ha definite Giampiero Mughini) che connota il suo fare.

Pioniere dell’autoproduzione, scultore-designer dalle sorprendenti invenzioni stilistiche, Andrea Salvetti si muove in uno spazio interdisciplinare fra scultura, design, architettura, performance, con uno sguardo plurale che lo porta a comprendere la complessità della materia cogliendone nel contempo il respiro poetico. Moderno Efesto, Salvetti doma i materiali più riottosi (il ferro, l’alluminio, l’acciaio, il bronzo) addomesticandoli e sposandoli a forme prese a prestito dalla natura, formidabile contenitore da cui sempre e comunque partire. Perché ciò che la natura ha fatto, lo ha fatto per bene e per sempre. Ma è gentile, questo corpo a corpo, agito per estrarre forme e significati che, alla fine del cammino di ricerca, sono di bellezza, nella struggente consapevolezza che nella semplicità delle forme della natura a volte c’è una perfezione che l’artificio dell’uomo non sa ripetere.

Un percorso complesso e coraggioso, quello di Salvetti, che lo ha portato in questi anni a realizzare numerosi progetti autoprodotti in collaborazione con gallerie di arte e design in Italia e all’estero (Dilmos, Nilufar, Moss, solo per citarne alcune). Ha partecipato alla 48ma Biennale d’Arte di Venezia, esposto al Focke Museum Bremen, alla Triennale di Milano e ha allestito mostre personali e istallazioni in eventi collettivi in molte sedi internazionali (Design Miami Basel, PAD Paris , Artefiera , ArtCurial e Sotheby’s). E’ del 2007 la monografia Terra Terra, pubblicata per Electa.

Il lato bello del rifiuto

Dal 03.07.2015 al 02.08.2015
Sono frammenti della domesticità più quotidiana, quelli che Marilena Panelli raccoglie, moderna Estia, e ricompone in carte artistiche di delicata grazia: tè, polveri di cioccolato, cipolle di Tropea, cuori di carciofi, semi, noccioli, granaglie, legumi, gusci, tutto è trasformato in pigmento, impastato in carte di recupero e legato con antica cera d’api per rinascere decoro, farsi fregio. In mostra, una sorprendente selezione di queste carte, frutto dell’inesauribile (e tutta femminile) forza trasformante di Marilena Panelli.

Artesfera

Dal 19.06.2015 al 02.08.2015

L’associazione culturale ArteSfera presenta alla Galleria Biffi Arte una serie di opere a tema enogastronomico realizzate da artisti piacentini. Le opere, sia plastiche che pittoriche e fotografiche, offrono un percorso nella tradizione locale attraverso la rappresentazione di alcune ricette più caratteristiche.

L’esposizione vuole valorizzare il forte rapporto fra cultura ed enogastronomia, tipico del territorio piacentino, ed è accompagnata dal catalogo-ricetta, vero e proprio strumento di promozione della città e della provincia di Piacenza prima, durante e dopo Expo 2015.

Artesfera è un’associazione culturale senza fini di lucro che vuole promuovere l’interesse per l’arte, favorendo iniziative di aiuto e di sostegno alle donne, ai giovani e a tutti coloro che operano in ambito artistico e che condividono le finalità dell’associazione stessa. Dal 2004 le socie di ArteSfera hanno promosso e organizzato numerose mostre ed eventi d’arte in importanti sedi cittadine, fra le quali Palazzo Gotico, Palazzo Farnese, a Piacenza ma anche all’estero, in particolare all’Ambasciata Italiana a Strasburgo.

Artesfera

Dal 11.06.2015 al 02.08.2015

In collaborazione con MUST, Museo del territorio di Vimercate e heart – PULSAZIONI CULTURALI, Vimercate, la Galleria Biffi Arte espone CiBoh!?, vera e propria ricognizione delle possibili risposte dell’arte al tema dell’alimentazione.

Il rapporto tra cibo e arti visive ha lunghe radici, che giungono fino all’antichità delle pitture parietali egizie. Elemento rituale, simbolo religioso, monito sulla caducità della vita terrena, racconto quotidiano, veicolo di denuncia sociale, ironica riflessione sull’identità contemporanea… l’iconografia del cibo ha cambiato più volte volto, mutando intenzioni e significato ma continuando ad abitare la storia dell’arte con un ruolo da protagonista.

In aria di EXPO parlare di cibo può essere scontato, a tratti persino pericoloso. Il tema è certamente sulla bocca di tutti, direi quasi inflazionato, e rischia, senza dubbio, di perdere il suo reale significato, privilegiando il culto della buona cucina e il suo immaginario da super chef televisivi o da ristoranti stellati a discapito dei molti altri importanti motivi di riflessione che esso sa suggerire.

Questa mostra è una piccola goccia in un argomento sterminato: una visione personale, e quindi parziale e soggettiva, su un soggetto iconografico straordinario, dalle infinite possibilità espressive. Gli artisti che ne sono interpreti – tra loro molto diversi per storia, personalità e linguaggio – hanno un ruolo preciso: raccontare l’identità del cibo da diverse prospettive, aprendo ciascuno una piccola-grande riflessione su cosa significa per l’umanità l’alimentazione e la sua ritualità. Ora con ironia, ora con linguaggio evocativo, ora con ascendenze spirituali, ora con una grammatica terrena, perfino dissacrante, i lavori esposti hanno il compito (arduo) di tracciare un percorso nei mondi del cibo: da quello quotidiano, concreto e tangibile a quello simbolico, trascendente e mistico; e, sebbene protagonista indiscusso sia l’alimento per eccellenza, il pane, non sono affatto esclusi dall’indagine i cibi del contemporaneo, anche quelli della produzione industriale. Un gioco in fondo molto serio, che ci ricorda il ruolo fondamentale del cibo nella nostra società, nella nostra identità, nella nostra vita.

Vik Muniz,  Martin Parr, Ugo Nespolo,  Lorenzo Pacini,  Andrea Cereda,  Armando Fettolini, Simone Casetta,  Silvia Levenson,  Fabio Eracle Dartizio,  Giorgio Donders, Michele Munno,  Silvia Cibaldi, Armanda Verdirame, Pierantonio Verga,  Andrea Ferrari Bordogna,  Roberto Fumagalli, Laura Santini

Kitchen Art.

Dal 11.06.2015 al 02.08.2015

Emiliano Arcelloni, Emilio Barbieri, Alfredo Barone,  Graziano Besenzi, Antonio Borruso, Alberto Buratti, Roy Caceres, Mauro Cavalet, Enrico e Roberto Cerea, Claudio Ceriotti, Stefano Cerveni, Stefano Cilia, Luca Collami, Giovanni Luca Di Pirro, Donat oEpiscopo, Pierfranco Ferrara, Andrea Fusco, Giovanni Gandino, Enrico Gerli, Fabrizio Girasoli,  Valentina Goltara, Paolo Gramaglia, Giuseppe Iannotti, Luca Landi, Pietro Leemann, Igor Macchia, Franco Madama, Cinzia Mancini; Maria Teresa Marcotti; Antonio Montalto, Davide Oldani; Paolo Pettenuzzo; Roberto Petza; Manuela Porta; Nicola Portinari; Michele Potenza; Daniele Repetti; Chiara Rizzi; Matteo Rizzo; Claudio Sadler; Mariangela Susigan; Gianni Tarabini; Fabrizio Tesse; Marcello Trentini, Daniele Usai; Valentina Varini; Samuele Zani; Patrizia Zurra;

Nata a gennaio del 2014 come pagina Facebook di RG, storica azienda specializzata nella commercializzazione di attrezzature per chef e barman, Kitchen Art si trasforma nella mostra che aprirà alla Galleria Biffi Arte giovedì 11 giugno: lanciando un vero e proprio call for entry, la pagina ha raccolto le fotografie delle migliori creazioni culinarie di chef famosi ed emergenti, provenienti da tutt’Italia. Pietro Leemann, Davide Oldani, Claudio Sadler, solo per citarne alcuni, hanno inviato le loro mise en place più creative che, selezionate, stampate e trattate come vere e proprie opere d’arte, offrono un percorso completo nella rappresentazione delle tradizioni alimentari regionali.

Ma la mostra, che naturalmente intercetta le tematiche di Expo 2015, si propone anche come ricerca indiziaria, dal momento che presenta non solo fotografie, piatti, ingredienti e tecniche di cucina, ma offre anche una serie di simboli e presenze antropologiche indicative di alcune nuove tendenze nel linguaggio del cibo e della preparazione dei piatti. Il tempo e lo spazio del cibo sono cambiati e la messa in scena del piatto è diventata luogo sinestetico per eccellenza in cui tutti i nostri sensi sono implicati, non solo quelli legati più tradizionalmente al cibo.

Ma il preparare e mettere in scena un piatto deve anche essere espressione di un sapere replicabile, senza segreti: la cucina è un sistema democratico, al quale tutti, conoscendo le regole, dovrebbero essere in grado di accedere. Il catalogo presenta il repertorio completo dei piatti fotografati ed esposti in mostra, e il riferimento allo chef autore. Il testo offre un contributo di Aldo Colonetti, curatore del progetto, e di Alberto Capatti storico della cultura alimentare ed emerito Rettore dell’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo.

DESIGNED TO BE USED (AND RE-USED)

Dal 11.06.2015 al 01.07.2015

Due aziende italiane per eccellenza che danno qualità al quotidiano:

Fratelli Guzzini

Fratelli Guzzini, azienda storica nata nel 1912, ha collaborato con i più importanti designer internazionali, facendo interpretare tutte le fasi e tutti gli strumenti legati al rito alimentare, privilegiando il proprio materiale tradizionale: le materie plastiche. Presente nei maggiori mercati internazionali, è stata protagonista del progetto Food Design Guzzini, al quale hanno partecipato più di 300 architetti e designer provenienti da tutto il mondo. Qui abbiamo alcuni esempi di prodotti, riconoscibili rispetto alle specifiche funzioni ma anche ambasciatori del Made in Italy.

Aldo Colonetti

TVS

Dal “crudo al cotto”, ovvero il passaggio fondamentale dalla “natura alla cultura”, come scrive il grande antropologo francese Claude Lèvis-Strauss. TVS, azienda leader nella produzione di pentole, da sempre dialoga con i designer. Qui abbiamo due esempi: Terra di Matteo Thun, e Maestrale di Alberto Meda, a dimostrazione che anche un oggetto, sempre rimasto uguale dalla notte dei tempi, può essere interpretato da grandi progettisti, a condizione che ne sia rispettata la funzione fondamentale: cuocere nel segno della cultura alimentare.

Aldo Colonetti

Camere con cibo

Dal 07.05.2015 al 07.06.2015

Mostra fotografica del Gruppo Fotografico Ideaimmagine:

Adriano Perotti, Camilla Biella, Francesco Covati, Franco Merli, Gaetano Damasi, Giovanni Calori, Marco Rigamonti, Marisa Via, Patrizio Maiavacca, Samantha Veneziani

Puntualmente, come ci hanno piacevolmente abituato in occasione di Omeofest, il festival internazionale dell’omeopatia, gli autori del Gruppo Fotografico Ideaimmagine tornano a offrirci la loro personalissima interpretazione fotografica a tema. E se questa edizione non poteva che essere sul cibo, mai come quest’anno i fotografi di Ideaimmagine hanno esplorato una grande varietà di situazioni e tecniche, con la consueta bravura e inventiva, lasciando al pubblico tanti interessanti motivi per ritornare e soffermarsi, con tempo meditato, sulle loro invitanti immagini.

In bilico tra passato e presente è la ricerca intrapresa da Adriano Perotti, che ci regala un portfolio dal titolo 1965-2015, variazioni sul cibo, un excursus fotografico sul mutare delle abitudini alimentari degli ultimi cinquant’anni. Suggestive immagini sinestetiche racchiudono, in cinque intensi scatti, i momenti della giornata dedicati al cibo, confrontando i gesti del quotidiano disatteso dalla frenesia odierna del consumo.

Per Camilla Biella, che ha documentato il processo di trasformazione del pomodoro in salsa, tutto appare come una sequenza celebrativa carica di crescente pathos, dove un rosso ematico impregna un candido telo. Il titolo è chiaramente evocativo: Deposizione, riferito a quel telo-sudario che si plasma sugli oggetti, caricandosi di densi significati sacrali sui frutti della terra nati per nutrirci.

Con Francesco Covati si apre uno sguardo ai risvolti alchemici del rapporto cibo e corpo: la sua interessantissima raccolta intitolata Signatura Rerorum, coniuga immagini tanto essenziali quanto recondite. Tutto è legato alla simbologia della segnatura studiata da Paracelso, secondo la quale esisterebbe un legame benefico tra i cibi naturali e le parti del nostro corpo a essi somiglianti. Il fotografo affida alla luce la forza trasmutatrice di questa filosofia, interpretandone magistralmente i significati.

Sono invece le geometriche composizioni di potagerie che hanno attirato lo sguardo del bravo Franco Merli, che nel suo lavoro ci propone autentiche astrazioni caleidoscopiche, deliziosamente giocate su forme e colori che non ci aspetteremmo da semplici verdure, troppo spesso viste prettamente nelle loro utilitaristiche funzioni alimentari.

Con Cucina di casa, Gaetano Damasi è volutamente rimasto chiuso (al sicuro?) tra le pareti domestiche delle nostre cucine, con immagini in bianco e nero che raccontano di visioni intimiste, fatte di piccoli attimi e gesti abituali della quotidianità domestica, intenti a preparare alimenti rigorosamente fatti in casa, come la pizza nella teglia o il caffè con la moka.

Nelle fotografie di Giovanni Calori la lotta è impari. E non potrebbe essere altrimenti, visto che i soldatini protagonisti di 1:72 sono effettivamente settantadue volte più piccoli delle situazioni che si trovano ad affrontare. Poco importano le sorti delle incruente battaglie: le scene incombono sospese nel tempo e, con disarmante ironia, strappano a chi le osserva un sorriso (e forse più di una riflessione) sul conflittuale rapporto tra noi e il cibo.

Dacci oggi.. di Marco Rigamonti racconta attraverso i visi, gli sguardi e i gesti dei protagonisti, le storie di chi è costretto a ricorrere alla Mensa della Fraternità di via San Vincenzo, mostrando come dietro a queste tristi esperienze di vita si possa comunque trovare dignità e personalità nonostante la necessità di fare affidamento sull’amore del prossimo per ricevere il pane quotidiano.

Marisa Via si è confrontata con la compulsività di chi fotografa ciò che sta per mangiare, postandone in tempo reale le foto sui social network. Questa moda, dal nome evocativo di Food Porn (come il titolo di questa serie fotografica), altro non è che l’ultima desacralizzazione del rapporto tra corpo e cibo, entrambi divenuti spettacolo da esibire prima che nutrimento conviviale e spirituale alimento dell‘anima.

Come in una proustiana ricerche, Patrizio Maiavacca fotografa scene di vita domestica, dove gli anziani genitori del fotografo vivono circondati dai propri oggetti, tra cui Il Libretto Rosso delle Ricette, che dà il titolo alle immagini. Il risultato è un reportage sentimentale velato di melancolia, a tratti stemperato da amara dolcezza, ossimoro sul tempo lento della memoria, che oggi ha lasciato il posto a piatti pronti e cibi già preparati.

Nei dittici di Samantha Veneziani, che hanno come intrigante titolo Mangio dunque sono, bisogna leggere di là dei dichiarati stereotipi e l’ironia garbata delle sue curate fotografie per cogliere la vera riflessione profonda cui la fotografa ci guida: autenticità e identità sono somiglianze casuali? Parlano soltanto di una scelta alimentare o anche di un vero e proprio stile di vita? La questione è aperta.

www.omeofest.eu

www.ideaimmagine.tk

facebook.com/gruppoideaimmagine

Stella Rossa. Rosalia Rabinovich e l’arte della propaganda

Dal 29.04.2015 al 07.06.2015
La Galleria Biffi presenta, per la prima volta in Italia, l’opera di Rosalia Rabinovich (Kiev, 1895 – Mosca, 1988), una delle più originali e meno conosciute interpreti della propaganda sovietica. In una raccolta inedita di 90 disegni, realizzati dal 1930 al 1938, la Rabinovich racconta i miti, i simboli e i protagonisti dell’era staliniana. Rosalia Rabinovich, nata in una famiglia di artisti, lavora negli anni tra la fine dell’epoca più rivoluzionaria delle avanguardie, e l’annuncio e il pieno sviluppo del Realismo sovietico. La pittrice testimonia il passaggio tra le due epoche e fonde con originalità entrambi i linguaggi, riunendo nei colori primari della sua opera, il rosso, il nero e l’oro, il dinamismo costruttivista e la propaganda di Stalin. E’ un’epoca in costruzione, e Stroim! (costruiamo) è la parola d’ordine che riecheggia tra ciminiere, treni in corsa, ingranaggi, torri del Cremlino, gru, scavatrici, bandiere e naturalmente stelle rosse. Nel progetto di creazione di questo mondo dal “radioso avvenire” tutti sono coinvolti: i padri della patria, da Lenin a Stalin, le giovani leve, dai pionieri ai ragazzi del Komsomol, e gli eroi, dagli operai alle kolchoziane, dagli aviatori alle nuove donne sovietiche. In una scenografia grandiosa, in un’esaltazione eroica della geometria, le ciminiere salgono al cielo, Lenin indica la via, gli aerei e i dirigibili volano da un capo all’altro dell’Unione Sovietica, Stalin annuncia i piani quinquennali, i pionieri suonano i tamburi, i paracadutisti si lanciano coraggiosi, i trattori e le scavatrici conquistano nuove terre, e le locomotive, simbolo della civiltà delle macchine, uniscono in poche ore Mosca e Leningrado. A cantare quest’epopea di muscoli e ingranaggi è una donna minuta, timida, sorella di Isaac Rabinovich, uno dei più importanti scenografi del Bolshoi. Insieme studiano a Kiev negli atelier di Alexander Murashko e di Alexandra Exter. Insieme arrivano a Mosca sull’onda della Rivoluzione. E a Mosca Rosalia si iscrive alla classe di pittura di Robert Falk nella prestigiosa scuola del Vhutemas. Sotto l’ala del fratello, che la protegge ma le fa ombra, la Rabinovich realizza una serie di disegni per tessuti, manifesti di propaganda, pubblicità per i magazzini GUM, e ancora bozzetti per diplomi ed onorificenze di partito. Nel 1933 entra come insegnante nella “Casa centrale dell’educazione artistica per i bambini”. Nel 1937 le opere dei suoi allievi sono esposte all’Expo di Parigi e poi nel 1939 alla World’s Fair di New York. Dopo la guerra, nel 1948, partecipa alla costruzione del Palazzo dei Soviet. Dagli anni ’50 insegna nell’atelier di pittura per bambini presso la “Casa dell’Architettura di Mosca”. Dopo la morte di Stalin, si dedica a temi più sentimentali e intimisti. Scompare il rosso ed emerge una tavolozza di colori tenui e delicati. Nei suoi novantatré anni di vita, Rosuchka, come veniva chiamata in famiglia, ha visto la fine della dinastia degli zar, la rivoluzione bolscevica, la nascita dell’Unione Sovietica, la morte di Lenin, l’ascesa di Stalin, gli anni del Terrore, le purghe, le deportazioni – uno dei suoi fratelli, Naum, ingegnere, verrà deportato a Norilsk – quindi la guerra, l’evacuazione in Turkmenistan, il ritorno a Mosca, la morte di Stalin, il primo disgelo, la stagnazione brezneviana e l’arrivo di Gorbaciov. Alla fine dello Stalinismo, il materiale di propaganda viene nascosto da Rosalia Rabinovich nella sua abitazione, presso la komunalka al n.17 di Ulitsa Staraya, a Mosca, dove l’artista ha vissuto dal 1929 al giorno della sua scomparsa, il 4 febbraio 1988. Soltanto dopo la sua morte, i disegni degli anni ’30, affidati a un nipote, sono tornati fortunosamente alla luce.

I grandi registi del ‘900

Dal 29.04.2015 al 07.06.2015

Francesco Ferrari possiede un immaginario fortemente influenzato dal cinema e dal fumetto e la sua produzione artistica presenta un’immediatezza di tratto che molto lo avvicina alla cartellonistica. La mostra propone una serie di ritratti dei grandi maestri del cinema mondiale, riconoscibili anche attraverso gli attori e le scenografie che ne hanno caratterizzato i film più famosi Un modo per far conoscere al pubblico i volti, le espressioni, l’abbigliamento, gli atteggiamenti tipici di registi dei quali spesso si conosce solo il nome, offrendo a chi guarda, come in un gioco, piccoli indizi legati ai loro film. Francesco Ferrari non è nuovo a esperimenti di questo genere: oltre ai grandi registi del Novecento, negli ultimi anni ha realizzato una serie dedicata ai grandi pittori e scultori del ventesimo secolo e, in occasione delle celebrazioni per il Ventennale dell’Ordine degli Architetti di Piacenza, una serie sui grandi architetti del passato.

Francesco Ferrari pittore e scultore, vive e lavora a Piacenza. Dopo aver frequentato l’Istituto d’Arte “F. Gazzola” a Piacenza, si diploma all’Istituto d’Arte “P. Toschi” a Parma, e frequenta il corso di scultura del Prof. Marino Marini all’Accademia di Belle Arti di Brera, a Milano. Oltre alle mostre personali, ha partecipato a numerose collettive e molte sue opere sono esposte presso le sedi di diverse società, fra le quali la Paver (Piacenza), la Cargill Italia (Milano). Altre opere sono presenti a Casa Illica a Castell’Arquato (PC) e negli uffici della Galleria d’Arte Moderna “Ricci Oddi” a Piacenza.

Lo splendore del frammento

Dal 29.04.2015 al 07.06.2015

Lo splendore del frammento. L’arte orafa di Mirta Carroli

Dal 29 aprile al 7 giugno l’Area Bookshop della nostra Galleria accoglierà una bella collezione di gioielli realizzati da Mirta Carroli. Scultrice di origine ferrarese, dal 1990 coltiva l’arte dell’oreficeria, creando gioielli dalle forme pure, con metalli preziosi sposati a frammenti di maioliche faentine di casa, risalenti al sedicesimo secolo. Ridisegnata in geometrie nuove, la maiolica antica smarrisce il suo essere stata strumento del quotidiano ma di quella remota identità conserva il fascino, e diventa frammento splendente, impreziosito da pietre dure, coralli, perle, cristalli. In tempi di grande smemoratezza, i gioielli di Mirta Carroli sono un vero e proprio “antidoto contro la dimenticanza”.

CAMERA PICTA

Dal 28.03.2015 al 26.04.2015

Apre sabato 28 marzo a Piacenza, da Biffi Arte Camera Picta, un’originale riflessione sulla fotografia pittorica contemporanea, attraverso il lavoro di cinque artisti, che per la prima volta sono posti a confronto: Andrea Boyer, Gianluca Chiodi, Christian Cremona, Giulia Roncucci, Fiorenzo Rosso.

Cinque ricerche profondamente diverse tra loro, che trovano un punto di riferimento nel rapporto con la pittura. Sono cinque artisti appartenenti a diverse generazioni che hanno con il linguaggio fotografico un rapporto personale ed autonomo, ma che sono qui riuniti in virtù di un interesse e di una scelta comune. Viene spontaneo fare un riferimento al Pittorialismo fotografico, un movimento che si colloca alla fine del XIX secolo, i cui massimi protagonisti sono Alfred Stieglitz ed Edward Steichen. I Pittorialisti hanno tentato di elevare, attraverso un sapiente utilizzo della tecnica, la fotografia al livello della pittura. Qui, ovviamente, la finalità è diversa. Sono passati più di cento anni e la fotografia viene riconosciuta come un’arte a tutti gli effetti.

Di Gianluca Chiodi (1966) sono in mostra lavori dalla serie Opere al nero (2003-2010) realizzata con encausto e fotografia su tela, in cui il riferimento è a certa drammatica pittura barocca, in particolare al Caravaggio. Un chiaro rimando alla pittura del grande maestro lombardo, in particolare alla sua Medusa, è anche nel lavoro del giovane Christian Cremona (1985).

Di sapore metafisico sono le nature morte di Andrea Boyer (1956), in cui gli oggetti sono ripresi analiticamente. Protagonisti della sua ricerca sono il tempo e la luce, naturale, che definisce i soggetti ritratti in modo analitico e penetrante. Nei lavori di Giulia Roncucci (1982) è evidente una radice pittorica, in particolare un riferimento a de Chirico, che non è mai citazione, ma è l’esito di uno studio approfondito che non si limita a un riferimento di natura estetica.

Il rapporto con la pittura sia da un punto di vista tecnico che speculativo è importante per Fiorenzo Rosso (1955), che da oltre trent’anni sperimenta in tal senso. Nel suo lavoro la pittura è riferimento iconografico, poetico, ma anche linguistico. La sua è una profonda riflessione sul senso dell’espressione artistica, che si pone come una sorta di collegamento, tra passato e presente senza soluzione di continuità.

La mostra è accompagnata da un quaderno con un testo della curatrice della mostra, la storica dell’arte Angela Madesani.

Jean Dubuffet. Litografie, libri d’artista, dischi e manifesti 1944-1966

Dal 21.03.2015 al 26.04.2015

La Galleria “Biffi Arte” di Piacenza ha il piacere di presentare un evento straordinario, inedito per l’Italia. Per la prima volta nel nostro paese una mostra interamente dedicata alla ricca produzione grafica e ai libri d’artista di Jean Dubuffet (Le Havre 1901 – Parigi 1985), l’inventore del concetto di art brut, uno dei principali esponenti della pittura informale e profondo indagatore della materia. Il percorso espositivo, curato da Michele Tavola, passa in rassegna in modo esauriente e, per alcuni aspetti, assolutamente completo, la produzione litografica del periodo “materiologico”, dal 1944, ovvero quando Dubuffet viene ufficialmente salutato come pittore, al 1963, quando si chiude un ciclo. Tutte le opere esposte provengono da una collezione privata lombarda che, per quanto concerne la grafica di Dubuffet, in Italia non trova eguali nemmeno nelle più importanti raccolte museali.  Dubuffet è stato l’artista che, nel XX secolo, ha affrontato la tecnica litografica in maniera più innovativa e sperimentale, raggiungendo esiti imprevedibili. Il suo interesse per l’illustrazione libraria è paragonabile solo a quello di Picasso, Chagall, Miró e Rouault.

L’esposizione si apre con due fondamentali capolavori, due libri realizzati tra il 1944 e il 1945: Matière et Mémoire, composto da trentaquattro litografie, e Les Murs, che comprende quindici fogli. Seguono altri importanti libri d’artista quali Elégies, Ler dla campane e La Métromanie. Dal 1953 al 1958 si sviluppa il periodo degli Assemblages d’empreintes, tra cui spiccano nel percorso espositivo splendidi e rari fogli quali Le chat furieux, Le braconnier, Les défricheurs, Feuillages à l’oiseau e Jeux et travaux. Tra il 1958 e il 1962 eseguì la fondamentale serie dei Phénomènes, che rappresenta la più approfondita e impressionante ricerca di Dubuffet nell’ambito dell’informale. A partire dal 1962, rielaborò e riutilizzò le trame astratte e le textures dei Phénomènes per comporre gli straordinari Reports d’assemblages, tra i quali si possono ammirare capolavori come Le guerrier, Personnage au costume rouge, Le noctambule e L’homme au chapeau. Agli stessi anni risalgono imprescindibili libri d’artista, tra cui ricordiamo almeno Le Mirivis des Naturgies e La lunette farcie.

La retrospettiva promossa dalla Galleria “Biffi Arte” di Piacenza raccoglie buona parte dei libri da lui illustrati, importanti litografie tirate in un numero limitato di esemplari, rarissime prove di colore e prove di stampa che svelano il complesso processo creativo elaborato dall’artista. Inoltre, si potrà ammirare una sezione documentaria con manifesti originali e con i sorprendenti dischi da lui incisi.

Il grande gioco

Dal 21.03.2015 al 26.04.2015

Silvana Leonardi ha creato un contesto complesso, una densa costruzione di insiemi di immagini, che tutte insieme costituiscono un vero e proprio evento nella forma della installazione, cui l’artista crede profondamente dandone però una versione molto personale.(…) La Leonardi ha messo a punto, in anni di lavoro capillare e molto appassionato, una tecnica che le consente di disgregare l’immagine, sia pur entro i limiti della riconoscibilità, mantenendone, però, tutta la forza e l’evidenza della verità o del ricordo. Ma i due termini, verità e ricordo, non sono qui contrapposti come capita sovente in altre esperienze creative; sono, al contrario, reciprocamente integrate così che quando l’artista lavora sul piano dell’evocazione niente si perde della sua presenza nel concreto del reale. Un reale, verrebbe da dire, tenuto a bada. Così scrive Claudio Strinati a proposito dell’installazione Il Grande Gioco, già presentata a Monaco di Baviera presso la Drissien Galerie.

Il Grande Gioco chiede di potere essere guardato e interpretato non in un unico, ma in più modi. E’ stato disposto così, ma come nel gioco cui si ispira avrebbe potuto avvenire anche in tanti altri modi, variando all’infinito la disposizione degli elementi che lo costituiscono.

Le figure dipinte sulle sei facce di ognuno dei 20 cubi in legno, come una sola moltitudine di soggetti individualmente multipli, creano una scultura modificabile ispirata sia alla dottrina induista della puodarsità, sia alla teoria del caso e del gioco nella cultura occidentale – da Eraclito a Schopenhauer, da de Saussure alla Kristeva, sia all’opera di quegli autori che da Mozart fino a Cortàzar, attraversando Mallarmé e le avanguardie, hanno a vario titolo e con diversi esiti “giocato” con l’hasard.

Che siano figure marginali o bambini vittime di ingiustizie, come Iqbal Masih, o icone della pubblicità o premi Nobel o scrittori (Joseph Rotblat, Muhammad Yunus, Mohamed ElBaradei, Nadine Gordimer, Julio Cortàzar, Arundhati Roy, Murakami Haruki, Suketu Mehta) , o donne impegnate a restituire dignità, diritti e speranza alle donne (Malalay Joya, Aung San Suu Kyi, Shirin Ebadi, Rigoberta Menchù, Shinto Hellar, Wangari Maathai, Niki Karimi), ogni segno, ogni colore, ogni trama dei volti dei protagonisti di queste favole metropolitane diventa racconto essendo pittura. Si tratta quindi di un’opera pittorica articolata e costruita nello spazio che, oltre a distinguersi per la coerenza e la purezza del codice linguistico ed espressivo, per l’originalità dell’impianto, per la flagranza delle immagini e dei loro movimenti nello spazio, infonde significato, unità e coesione interna alle molteplici sequenze e relazioni con cui, continuamente, si costruisce e decostruisce. Ogni faccia di ognuno dei cubi può leggersi sia come immagine in sé conclusa e risolta, come una piccola opera, di per sé godibile nella sua complessità e nel suo essere opera picta, sia come elemento di un insieme che nell’intersecarsi e diversificarsi di segni, e quindi di significati e di molteplici piani di lettura, trova la sua più profonda ragion d’essere e la sua finalità.

Adele-C da Biffi Arte

Dal 21.03.2015 al 26.04.2015
Dal 21 marzo Adele-C arricchisce la Galleria Biffi Arte con pezzi della Sign Collection, la rassegna/serie che raccoglie il lavoro di autori contemporanei chiamati da Adele Cassina a sviluppare il potenziale espressivo dei materiali e degli oggetti per proporre esemplari in limited edition. Un ritorno alle origini quindi: Adele-C nasceva nel 2006 proprio per stringere collaborazioni con artisti per creare pezzi unici contaminati dalla passione visionaria e dal savoir faire tipico del design italiano, ambiente in cui Adele Cassina era cresciuta. Da lì, un lungo percorso che ha portato ad affiancare al lavoro degli artisti, la progettualità di eccellenti designer che hanno dato vita alla Design collection (per una produzione seriale). Un appuntamento importante (fino al 26 aprile), primo di una serie che seguirà nel corso dell’anno (il prossimo a Milano durante la Design Week) per portare piccoli capolavori – siano essi della collezione Sign o Design – rifiniti da abili artigiani nelle gallerie più prestigiose in tutta Italia. Un omaggio dovuto, atto di riconoscenza agli artisti che per Adele-C hanno dato forma ad oggetti di raro equilibrio e bellezza. Per questo primo rendez-vous, un ospite d’eccezione: la Galleria Biffi Arte di Piacenza. Una scelta non casuale, un connubio inevitabile: Biffi Arte è stata creata nel 2009 dal Presidente di Formec Biffi, azienda del settore agroalimentare che da sempre rivolge particolare attenzione al mondo dell’arte, e che considera l’arte un valore da difendere. Proprio come fa Adele-C con la sua produzione. I pezzi che troveranno ambientazione presso la Galleria Biffi sono lo scrittoio Victor che scaturisce dalla ricerca dell’artista Mario Airò, orientata ad aprire gli spazi mentali che oggetti e luoghi generano quotidianamente e i vasi ‘Janet e Jackson’ di Miltos Manetas che raccontano una storia degli anni ’40, di pittori e della New York di Peggy Guggenheim. VICTOR Victor nasce dalla ricerca dell’artista Mario Airò, orientata ad aprire gli spazi mentali che oggetti e luoghi generano quotidianamente. Dopo diverse opere create intorno allo “studiolo” dell’umanista come scrigno di cultura e sogni, Airò realizza questa scrivania. Victor racchiude in sé la memoria dell’infanzia e del banco di scuola, il richiamo alla concentrazione, e la capacità di astrazione e dialogo con le proprie passioni. Al centro del tavolo si materializza una piccola magia: una sorta di ologramma che vuol dare fiducia a intuizione e incanto. JANET e JACKSON I vasi Janet e Jackson sono l’occasione per raccontare una storia degli anni ’40, di pittori e della New York di Peggy Guggenheim. Punto di partenza è il dripping, tecnica pittorica storicamente collegata a Jackson Pollock, che in realtà ha origini più ampie, riconducibili al circuito di artisti europei appartenenti alle avanguardie storiche. Tra di loro, Janet Sobel ha la biografia meno nota e l’opera stilisticamente più vicina al maestro americano. Iniziò la sua carriera artistica nel 1937, e già nei primissimi anni ’40 componeva i suoi quadri astratti ricoprendo la tela con il colore sgocciolato dall’alto. Per lei gli anni ’40 furono anni di maggiore visibilità, grazie ad alcune mostre in cui espose le sue tele più note – Music e Milk Way – riconducibili al più tardi al 1944 e al 1945 e già piena espressione del suo stile. Di lei si accorse la Guggenheim, che nel suo gran giro di artisti, collezioni, gallerie e mostre, ne espose l’opera nel 1944 presso la sua galleria Art of This Century. Il critico Clement Greenberg scrisse del suo lavoro nel 1946 come primo caso di all-over painting, che influenzò in maniera specifica Jackson Pollock, al quale successivamente – 1947 – venne attribuita la paternità del dripping, tecnica che si basa appunto sullo sgocciolamento del colore dall’alto sulla tela. Lo scarto di qualche anno stabilisce oneri e onori, restituisce alla storia la giusta cronologia, e descrive le due estremità di un mondo che incredibilmente sembra collegare le biografie più note con le esperienze apparentemente marginali della storia. L’artista greco Miltos Manetas ha concettualmente allargato i confini di proprietà della tecnica del dripping traducendola in un’applicazione web sul sito www.jacksonpollock.org. Nell’epoca di internet, il lavoro di Manetas fa riflettere sulla cultura come risorsa aperta, che incrocia continuamente ambiti commerciali e nicchie di ricerca e che identifica l’arte come espressione della potenziale connettività tra persone, idee, stili e intuizioni. Benedetta di Loreto

Altri Paesaggi

Dal 21.02.2015 al 15.03.2015

Apre sabato 21 febbraio a Piacenza, da Biffi Arte il nuovo capitolo della ricerca artistica di Roberto Fanari.

Reduce da un importante ciclo di mostre che lo hanno visto partecipe, a partire dalla prestigiosa Basilea per culminare con l’elegante e cosmopolita arte fiera Realism di Amsterdam, Fanari ha anche recentemente avuto il riconoscimento di una personale alla Deleen Art di Rotterdam.

Il titolo Altri Paesaggi, indica l’ampliamento dell’inesausto percorso di sperimentazione linguistica e tecnica intrapreso da Roberto Fanari, percorso che lo ha portato a esplorare le tecniche artistiche le più diverse, dalla scultura alla pittura, dalla fotografia alla tridimensionalità  visiva.

Dalla ceramica al marmo, passando per il bronzo e l’alluminio, la finalità dell’artista è sempre quella di esperire nuovi percorsi percettivi, che coinvolgano lo spettatore in un’esperienza partecipativa.

Le dinamiche di percezione, di partecipazione sensoriale che scuotono lo spettatore dalla passività visiva, sono veicolate in questo caso da un’intensa ricerca estetica incentrata su un genere pittorico secolare.

Il paesaggio, un genere che ha sedimentato nel corso dei secoli le evoluzioni del gusto, della percezione e delle modalità di rappresentazione, ma anche di memoria e identità, diviene il laboratorio di sperimentazione per Fanari.

Il percorso di sperimentazione è anche sostenuto da una vis etica che rappresenta una lotta contro la pioggia d’immagini con cui la società dei mass media ci sommerge ogni giorno.

Anche in questa mostra, le opere traggono spunto da immagini prelevate dall’immenso repertorio offerto dalla storia dell’arte, fonti iconografiche note che non mirano a stupire ma diventano strumenti perfetti di ricerca percettiva, depurati dalla loro originalità.

Incisioni che attraverso i secoli hanno offerto una visione ideale del paesaggio, un processo artificiale di costruzione della bellezza composto attraverso la selezione e ricombinazione di elementi naturali d’eccezione.

Ed è proprio attraverso questo percorso accurato – spesso maniacale – di selezione, prelievo e ricombinazione che Fanari costruisce la sua calcolata balistica visiva, per produrre immagini cariche di senso, veri e propri dispositivi visuali che costringono lo spettatore a costruirsi il proprio soggettivo percorso di riflessione e percezione.

Un percorso che è anche un processo di depurazione dalla pervasione iconica dei mass media, costituita da immagini destituite di fondamento semantico e percettivo.

Questo progressivo processo di decantazione degli elementi decorativi e spettacolari, raggiunge in questo nuovo “episodio” un traguardo degno di nota, suggellato da una coraggiosa esplorazione delle declinazioni del bianco, simbolo e motore dell’annullamento della visione

Annullamento solo superficiale, perché è solo perdendo contatto con la omni-visione, con il cinemascope e la realtà aumentata per tornare a una visione che è ricerca di senso e di una geografia percettiva originale, che si restituisce allo sguardo la sua vera funzione.

Fanari continua con la sua opera ad alimentare questo sguardo innocente e originale, mai gratuito ma alla fine estremamente gratificante.

di SEGNI di LUCE

Dal 21.02.2015 al 15.03.2015

Immagini fotografiche di Maurizio CavalLa Galleria Biffi Arte di Piacenza ha il piacere di presentare di SEGNI di LUCE, trenta stampe fotografiche che colgono il momento di maggior felicità nella ricerca informale del fotografo Maurizio Cavalloni. Un artista sotto al cui sguardo la materia dell’esistenza si fa altro.

In molti hanno scritto di lui e, fra le tante, due testimonianze d’eccellenza:

Fu con il “segno “del maestro fotografo Gianni Croce che Maurizio Cavalloni allora, suo ragazzo di bottega, assorbì la tecnica e lo spirito. Queste sue immagini scandiscono il “non finito” come fermento transitorio. Forma e colore si rincorrono in una susseguirsi di fuochi di luce. Immagini che inquadrano spunti della natura unita al mondo dei sensi tra visibile e invisibile.

William Xerra

“Si licet parva componere magnis”, potrà rivelarsi di estremo interesse dilatare le vibrazioni cromatiche che la materia nasconde e isolarle in nuclei armonici. L’agglomerato naturale ha il vantaggio delle “cose “messe a insieme dal caso, senza l’arbitrio dell’uomo.

Allievo di Bertucci e di Callegari al Gazzola, educato all’arte fotografica da Gianni Croce, Maurizio Cavalloni con sensibilità di pittore, va oltre l’orizzonte dell’obiettivo, con l’occhio fervido della curiosità e della fantasia.

Queste fotografie, ottenute con la sollecitazione del gioco, con la sottile soddisfazione del piacere, di un piacere che dà piacere, sono degne di competere con i migliori risultati dell’informale.

Ferdinando Arisi

Maurizio Cavalloni è stato negli anni Sessanta, per un quinquennio allievo dell’Istituto Gazzola di Piacenza con maestri come Bertucci e Callegari e durante l’estate frequentava lo studio fotografico che Gianni Croce aveva fondato nel 1921. Ancora oggi, Maurizio Cavalloni riconosce in Gianni Croce il suo maestro, che lo iniziò all’arte della fotografia, assumendolo poi nel 1970 e cedendogli nel 1976 lo studio fotografico con il suo patrimonio di immagini che attraversano metà del XX secolo. Negli anni ottanta aveva associato allo studio il sensibile fotografo Franco Pantaleoni, prematuramente scomparso,  sviluppando non solo la fotografia commerciale e di cronaca, ma anche – sull’insegnamento di Croce – il gusto per l’interpretazione dell’immagine. Negli anni ha aggiunto al corposo fondo storico Croce e a quello personale, numerosi archivi fotografici che nel 2007 gli hanno permesso di creare l’associazione “Museo per la Fotografia e la Comunicazione Visiva di Piacenza’’, allo scopo di raccogliere, catalogare e salvaguardare l’ingente patrimonio di immagini della città di Piacenza e della sua provincia impedendone la dispersione e permettendone l’uso alla collettività. Oggi, conduce ancora lo Studio Croce, e con le sue numerose pubblicazioni è tra i protagonista della vita culturale di Piacenza, riconosciuto custode della sua memoria fotografica.

Minou il filo amico

Dal 14.02.2015 al 15.03.2015

La capacità di Joe Colosimo di dare espressione con pochissimi e misurati tratti al piccolo Minou che, secondo lo stato d’animo dell’artista, diventa improvvisamente allegro, triste, pensieroso è sbalorditivo. Il personaggio di Joe ricorda vagamente “La Linea”, creata dal grande fumettista Osvaldo Cavandoli. Ma se La Linea era molto ironica, dispettosa e talvolta prepotente, Minou inveceè un personaggio che fa della dolcezza la sua arma vincente.

La mostra è arricchita da un laboratorio didattico realizzato in collaborazione con il Teatro Gioco Vita, che sarà aperto alle classi delle scuole dell’infanzia e primarie durante la settimana. Le famiglie, invece, potranno partecipare ogni domenica dalle ore 15.

Crop Art. Riccardo Sverzellati

Dal 14.02.2015 al 15.03.2015

Dal 14 febbraio al 15 marzo la Galleria Biffi Arte arricchisce l’offerta espositiva ospitando nel proprio Bookshop alcune creazioni di Riccardo Sverzellati: architetto di formazione, Sverzellati ha messo la sua sapienza dei materiali al servizio del design del gioiello, e ha creato In-Perfetti, una originale variazione della fede di nozze e di fidanzamento. I due anelli vengono forgiati uniti in modo da formare il simbolo dell’infinito, ma nell’atto del matrimonio vengono “spezzati” per consentire agli sposi di indossarli. Poiché casuale, la rottura rende ogni anello unico e il simbolo dell’infinito (evocazione della scelta coraggiosa di tutta una vita passata insieme) può essere ricomposto esclusivamente riaccostando le due metà gemelle, che saranno le uniche a combaciare perfettamente.

Accanto a In-Perfetti, Boccaccio: l’orologio a parete che si trasforma in un viso, sorriso e smorfia contemporaneamente: felice invenzione che dice l’espressione del tempo.

In-perfetti e Boccaccio saranno disponibili in anteprima presso il bookshop di Biffi Arte a partire dal 14 febbraio.

PRO.FONDAMENTE

Dal 20.12.2014 al 08.02.2015

Disquisire di fotografia, come di ogni forma di espressione artistica, all’ordine del giorno è cosa alquanto complessa e ardua. Lo è in quanto va inevitabilmente, come ogni attuale contenuto scritto o immagine, a confrontarsi con la divinità livellatrice di internet: specchio “integrale” della mondità e della mondanità contemporanea. Anche se la condizione culturale odierna sembra più eterogenea e vasta di quella di un tempo, in realtà non lo è affatto. Internet porta con sé una cieca democraticità, cioè una dittatura in fieri. Una dittatura generantesi dall’essere una sorta di piantina topografica uno a uno, con la quale non possiamo ne raccapezzarci sulle informazioni ne tanto meno compiere una sana quanto liberale controinformazione (perché non si può controinformare ciò di cui non si conosce i confini) dello spirito e dell’azione volta ad affrancare l’idea dal regime (il piccolo sapere che ci è imposto dal potere). L’opera d’arte che ne consegue risulterebbe esserne l’epifenomeno. Gli artisti contemporanei, gettati nel mondo dell’immagine tecnologica tritatutto e azzeratrice di internet, mantengono comunque ancora integra la volontà artistica acquisita dalla storia recente dell’arte. La struttura di tale volontà si biforca in due funzioni artistiche distinte: una funzione interna, cioè tecnicistico-autoreferenziale, che sfrutta i mezzi che gli sono dati dallo sviluppo tecnologico, vincolando l’artista all’interno del gioco empiristico che gli è proprio, e una esterna che lo astrae e gli permette di osservare i fenomeni culturali vigenti e di poterli così narrare. Negli ultimi lavori di Luca Migliorini, le due strutture sopracitate sembrano tenersi equilibratamente assieme. Da un punto di vista della struttura interna, in questo nuovo ciclo di opere dal titolo “PROFONDAMENTE” , si evidenzia la sua volontà di operare una controprassistica congiunzione tra la ripresa fotografica digitale e l’immagine classica in bianco e nero. Il significato che giustifica tale azione è senz’altro quello del recupero, ma scevro di frizioni, come atto dialettico tra il nuovo modo di manipolare fotograficamente il reale e la natura semiosservativa e immaginativa (riflessione post-percettiva) dei primordi dell’immagine fotografica del B/N. La riproposizione iconica della natura lo sottolinea. Da queste immagini non si coglie alcuna mimesi volta a suscitare godimento empatico ma all’opposto, come un antropologo, Migliorini astrae porzioni dal reale per disaminarle e ridestarle all’attenzione altrui. Quella dell’astrazione (staccare da) è fatto umano e archetipico, ed egli lo sa bene. In effetti la sua opera, come asserisce Worringer in astrazione e empatia, traduce quella volontà primordiale dell’uomo (sin dai primi graffiti) di mettere ordine al caos e di acquietarlo dal terrore dello spazio “infinito”. Questa è la funzione esterna (ermeneutica) posta dall’artista. E proprio quest’ultima gli conferisce validità contemporanea: la messa in dialettica della primigenia paura dello spazio naturale con lo spaventoso quanto sublime spazio artificiale di internet. Ora, per meglio chiarire l’essenza dei suoi lavori in mostra, chiedo soccorso alle parole del grande poeta Milanese Franco Loi. Per due motivi: uno, poiché credo non ci sia miglior prefatore di opera d’arte che la sinestesia tra opere, e due, perché le parole dei poeti (quelli veri) credo siano le uniche attualmente udibili (potabili) anche per fini di critica. Cercando di tradurle dal dialetto milanese: Questo mancamento del mondo mi fa paura. Questo vuoto della carne che fa restringere gli uomini. Questo grande silenzio che passa nella sera e se io chiamo è silenzio ancora.

G.F.Giacobino

Luca Migliorini nasce a Piacenza nel 1963 e si appassiona alla fotografia dal 1977.

Libero professionista nel settore dell’edilizia, ha collaborato con diversi studi di progettazione, collaborazioni che hanno sviluppato le capacità espressive.

Ma se la fotografia, prima poteva essere solo uno strumento di documentazione, pian piano è diventata un mezzo espressivo e riflessivo tramite cui raccogliere frammenti di sogni e memorie.

Ungà. Giuseppe Ungaretti e l’arte del XX secolo

Dal 13.12.2014 al 15.02.2015

GRAZIE ALL’INTERESSE DIMOSTRATO DA TUTTI I VISITATORI LA MOSTRA UNGA’. GIUSEPPE UNGARETTI R L’ARTE DEL XX SECOLO E’ PROLUNGATA FINO A DOMENICA 15 FEBBRAIO 2015

Si inaugura sabato 13 dicembre alle ore 18, alla Galleria Biffi Arte di Piacenza, la mostra UNGA’ Giuseppe Ungaretti e l’arte del XX secolo  a cura di Angela Madesani

Sono esposte opere degli artisti dei quali il poeta si è occupato: Giacomo Balla, Mirko Basaldella, Umberto Boccioni, Edita Broglio, Corrado Cagli, Giuseppe Capogrossi, Carlo Carrà, Fabrizio Clerici, Raffaele Castello, Giorgio de Chirico, Bona De Pisis, Piero Dorazio, Jean Fautrier, Roberto Fasola, Pericle Fazzini, Felice Filippini, Franco Gentilini, Guido Gonzato, Carlo Guarenti, Renato Guttuso, Maria Mancuso Grandinetti, Guglielmo Janni, Arturo Martini, Mirea, Beverly Pepper, Enrico Prampolini, Carlo Quaglia, Ottone Rosai, Anna Salvatore, Ruggero Savinio, Maria Signorelli, Ardengo Soffici, Lorenzo Tornabuoni, Wladimiro Tulli, Lorenzo Viani.

Sono inoltre in mostra le fotografie di Ugo Mulas e Paola Mattioli e un omaggio a Ungaretti di Leonardo Genovese

Giuseppe Ungaretti (Alessandria d’Egitto 1888 – Milano 1970) è, come tutti sanno, uno dei maggiori poeti del XX secolo. Sin da giovane età si è interessato alla storia dell’arte e all’arte a lui contemporanea. In tal senso ha dato vita a molti testi dedicati agli artisti, con i quali ha intrattenuto, in parecchi casi, come con Rosai, Soffici, Carrà, veri e propri rapporti di profonda amicizia.

La mostra, che inaugurerà il 13 dicembre negli spazi di Biffi Arte, a Piacenza ed il volume, che l’accompagna, edito da Nomos edizioni, sono curati dalla storica dell’arte Angela Madesani.

Ci si propone così di fare luce su questa interessante parabola nella vita di Ungaretti.

Nel corso degli anni il poeta ha scritto numerose introduzioni a cataloghi di gallerie private e parecchi articoli su giornali e riviste.

Una quarantina di anni fa la Mondadori ha pubblicato nella collana dei Meridiani un volume intitolato Saggi e interventi, dedicato alle  prose letterarie e artistiche, del poeta di origini toscane, in cui sono pubblicati solo alcuni dei testi che Ungaretti ha scritto sull’arte.

La curatrice e ideatrice della rassegna ha proposto così alla galleria piacentina e alla casa editrice varesina di ripubblicare tutti i testi di argomento artistico che non sono contenuti nel volume dei Meridiani. Testi che sono nati come introduzioni ai cataloghi delle mostre dei diversi artisti, in gallerie perlopiù milanesi e romane, dagli anni Trenta agli anni Sessanta o come articoli su periodici di diverso genere.

In quel periodo particolare della storia dell’arte e della cultura non era cosa desueta che i poeti scrivessero d’arte. L’iniziativa è, infatti, tesa a sottolineare l’atmosfera di quel momento di scambi, relazioni tra i diversi ambiti della cultura. Poeti e scrittori erano in continuo contatto con gli artisti così da creare comunità culturali ed esistenziali che hanno dato vita ad esperienze uniche.

Si pensi in tal senso al rapporto tra il pittore Jean Fautrier e quello che lui chiamava Ungà. Il pittore rimane affascinato, stordito dall’intelligenza umana e poetica di quel grande uomo che la vita aveva così fortemente segnato, ma che continuava a emanare un sorriso ammaliante e che fino alla fine dei suoi giorni è rimasto profondamente attratto dal suo circostante. Ungaretti scrive sul pittore l’informale francese alcune fra le sue più belle pagine.

La mostra che ospiterà una o più opere di ciascun artista del quale Ungaretti si è occupato rappresenta l’occasione per un approfondimento di uno degli aspetti della prosa ungarettiana che non ha ancora ricevuto le dovute attenzioni, riproponendo testi e riflessioni ormai introvabili.

OSVALDO BOT. Il Terribile ritorna

Dal 05.12.2014 al 14.02.2015

 

A conclusione di un bel trittico dedicato all’artista piacentino OSWALDO BOT, iniziato al ROTARY PIACENZA FARNESE con una conversazione dal titolo “Bot, il Futurismo e la Ricci Oddi” proposta dal prof. Alessandro Malinverni; proseguito con una Mostra di 28 opere, tutte di collezioni private nei locali del CIRCOLO DELL’UNIONE; venerdì 5 dicembre alle ore 17.30 presso BIFFI ARTE, si inaugurerà una piccola mostra dal titolo BOT, la GRAFICA.

Femminile, plurale

Gli spazi del sogno

Dal 22.11.2014 al 08.02.2015

 

Gli spazi del sogno, dal 22 novembre all’8 febbraio, riunisce le ultime undici voci, uniche e inconfondibili, per raccontare il sogno, la fantasia. Qualche volta l’incubo.

I sogni di Alice Colombo si concretizzano in collage vaghi, gremiti di piccoli dettagli da inseguire con lo sguardo come in una caccia al tesoro. Sono bambine che portano al guinzaglio uccelli multicolori oppure sono balene incagliate tra i rami di un albero, protagoniste di storie raccontate in un tono lieve e sussurrato. Federica Gonnelli invece ricrea il sogno attraverso installazioni che accolgono lo spettatore come un abbraccio avvolgente, tutte giocate su luci soffuse e trasparenze, in un continuo sdoppiarsi e modificarsi della realtà. Se Jara Marzulli con una pittura liquida, leggerissima, evoca figure femminili senza tempo, fermate in un momento sospeso di abbandono e di meditazione, danno invece un’idea di forza guerriera le donne che Adele Ceraudo interpreta nei suoi minuziosissimi disegni a penna, dove lei stessa si trasforma nelle protagoniste delle più classiche iconografie dell’arte. Una realtà altra, vibrante, mobilissima, fatta di una materia trasparente dalle suggestioni acquatiche è quella creata dalle mani di Annalù. Con lei la vetroresina diventa schiuma brulicante, onda, ala di farfalla, entità viva, respirante e fatata. Se Ieva Petersone ci porta con i suoi dipinti in un mondo algido e perfetto, scandito in stanze dalle atmosfere metafisiche, dove le icone del design diventano protagoniste di spazi dagli ipnotici equilibri geometrici, di tutt’altro genere è lo spazio nel quale ci invita Chiara Coccorese. Le sue fotografie, costruite come collage pieni di oggetti creati o recuperati da lei, ci precipitano oltre lo specchio di Alice, in un mondo dove le proporzione si annullano, i punti di riferimento si invertono, invitandoci a galleggiare in una sensazione di inquieta beatitudine. E poi c’è Florencia Martinez, con le sue fotografie stampate su stoffe dai colori accesi, rutilanti, con i suoi ricami che sono racconti di vita e con le sue installazioni dove gli oggetti della casa, ricoperti di stoffa e di soffici aculei, si fanno al tempo stesso accoglienti e minacciosi. Ilaria Del Monte, con le sue fanciulle prigioniere di stanze incantate, dove gli specchi riflettono immagini irreali e gli oggetti prendono vita. Francesca De Pieri, che con le sue fotografie di cave e orti botanici, stampate su doppia lastra trasparente, ci offre uno sguardo nuovo, vibrante e pulsante sulla natura. E Giovanna Lacedra, con una serie di acquerelli onirici ispirati alla poesia femminile e con la performance Nonsonomaistataunabambina – in programma per l’inaugurazione – dove mette in scena l’incubo dell’infanzia male amata e il risveglio alla vita.

Figure a Controscambio

Dal 15.11.2014 al 07.12.2014

 

La mostra FIGURE A CONTROSCAMBIO è la doppia personale di Maurizio Calza ed Ernesto Jannini, due artisti della generazione “saltata”, quella degli anni Ottanta e Novanta, attorno alle cui poetiche di lavoro si sta generando una rilettura lucida, consapevole e lontana da operazioni di pura speculazione di mercato. Accomunati dalla matrice figurativa, con richiami classici e novecenteschi attualizzati da contenuti contemporanei, i due artisti offrono nelle sale di Biffi Arte una panoramica completa del loro fare arte, rispettando le diverse modalità di ricerca: introspettivo, fosco ma memore della teatralità di Dada e del Futurismo Calza, ironico e solare Jannini, attento al rapporto fra arte e tecnica, cruciale nel pensiero filosofico novecentesco.

Dal testo di Edoardo di Mauro, curatore del progetto espositivo:

[…] Maurizio Calza ed Ernesto Jannini sono due autori che esordiscono quasi in contemporanea negli anni Settanta, con le prime e significative prove giovanili, giungendo alla maturità nel decennio successivo, periodo in cui inizio a seguire il loro lavoro. Debbo dire che il loro stile bene si integra ed armonizza nella dimensione dello spazio espositivo, presentando alcuni punti di tangenza, ma anche delle diversità, che evitano il rischio di una omologazione visiva. Entrambi gli artisti denunciano un’attenzione evidente nei confronti dei rapporti tra il singolo e la società contemporanea, in cui fanno tesoro della lezione del passato, in chiave sia artistica, che sociologica e culturale.[…] Formalmente entrambi si esprimono con modalità eclettiche. In Maurizio Calza vi è una maggiore prevalenza della pittura, che si coniuga assai spesso con una espressiva teatralità dell’immagine in chiave di espansione tridimensionale e di pittura-ambiente. In Jannini la pittura è da sempre stata una delle possibili opzioni, ed è presente in maniera predominante in questa mostra, insieme ad una attenzione sempre viva e presente per la poetica dell’oggetto decontestualizzato ed assemblato in forme equilibrate ed originali, di cui sarà possibile ammirare alcuni significativi esempi. Tutti e due gli autori si esprimono in cicli di lavoro, riuscendo a mantenere una precisa riconoscibilità senza correre il rischio del reitero infinito di un singolo modulo espressivo, che risulterebbe fuorviante in personalità così vitali ed inquiete..[…]

Catalogo in galleria.

Angil dal Dom

Dal 16.10.2014 al 09.11.2014

 

Allo stesso modo in cui i venti sospingono l’Angil däl Dom, facendo intuire la situazione meteorologica, la storia di Piacenza si intreccia con quella della statua che sormonta il campanile della Cattedrale.

A cinquant’anni dalla storica discesa avvenuta per determinarne il restauro, la simbolica e ieratica figura dell’Angelo del Duomo rivestito in rame dorato, ricorda e suggerisce l’interpretazione delle vicende piacentine nello scorrere del tempo; il 1341 anno in cui fu issato per una volontà di pacificazione tra le fazioni guelfe e ghibelline; il 1633 quando, dopo la terribile pestilenza che colpì Piacenza negli anni immediatamente precedenti, fu riparato a causa di alcuni fulmini che lo avevano tempestato; il 1731 in cui avvenne una prima discesa dell’Angil a scopo conservativo; il 1848, dopo la liberazione dalla dominazione straniera, quando venne collocata tra le sue braccia la bandiera tricolore, sino al ricordato “volo” del 1964, vent’anni dopo il bombardamento di piazza Duomo durante la seconda guerra mondiale.

Un Angelo che porta la croce di Cristo e il 6 luglio del 1341, durante l’episcopato del vescovo Rogerio Caccia (1338-1355), le maestranze guidate da Pietro Vago, collocarono sulla guglia della torre campanaria, il punto più alto e visibile della città, quale custode, protettore e messaggero, tramite fra il cielo e la terra.

Un Angelo a cui volsero lo sguardo i piacentini cinquant’anni fa, quando discese nella piazza del Duomo il 31 maggio del 1964, per poterlo osservare, quasi vis à vis, prima della ripartenza che lo collocava alla propria sede il 27 settembre dello stesso anno.

Un Angelo a cui i piacentini elevano gli occhi nei momenti sereni come nelle incombenze dolorose, nel suo risplendere alla luce del sole o, cercando di intuirne le sembianze, tra la nebbia fitta.

Tiziano Fermi 

Angil dal Dom

Le immagini dell’Angelo tratte dal Museo per la Fotografia e la Comunicazione Visiva di Piacenza 

16 ottobre | 9 novembre 2014

Presentazione a cura di Tiziano Fermi

Immagini a cura di Maurizio Cavalloni

Mostra realizzata in collaborazione con le associazioni Anspi Domus, Domus Justinae e Cineclub Piacenza.

LINK

Dal 11.10.2014 al 09.11.2014

 

La mostra LINK presenta il lavoro di quattro artisti milanesi, che condividono esperienze e linguaggi affini, per tematiche e espressioni stilistiche. Accomunati dalla pittura di matrice figurativa – caratterizzata da richiami classici e novecenteschi, qui attualizzati e in linea con contenuti contemporanei – gli artisti offrono nelle sale di Biffi Arte una panoramica completa e allargata del loro fare arte, della loro ricerca più recente.

Dal testo di Simona Bartolena, curatrice del progetto espositivo:

[…]Ecco perché incontrare quattro artisti, peraltro tra loro molto diversi, che invece hanno voglia di mettersi in gioco, di trovarsi e di lavorare insieme – non in vista di una mostra o di un progetto particolare, ma nella quotidianità della loro esistenza professionale – è davvero qualcosa di fuori dal comune. Marina Falco, Giovanni Cerri, Fabio Sironi e Fabio Valenti (Fuelpump) hanno scelto di condividere uno studio e una parte della loro vita, di lavorare insieme, seppure nel rispetto delle singole identità. Non hanno formato un gruppo o un movimento omogeneo, né hanno alcuna intenzione di farlo. I loro stili, i loro linguaggi, i loro percorsi personali sono autonomi e tali devono restare. Lavorando sotto lo stesso tetto, hanno però continue occasioni di confronto, di dialogo e di discussione. Si parla di tutto nello studio milanese di Via Piero della Francesca 58. Si parla di arte, ma anche di politica, di società e di sport, si va a bere un caffè o ci si siede sui divanetti a discutere un po’, perdendosi nelle conversazioni, nelle speculazioni filosofiche che scappano di mano, lasciando scorrere il tempo senza farci caso. Ciascuno lavora nel suo angolo, ma il commento del vicino è a portata di mano, come conforto, come critica, come momento di ripensamento. Nessuno insegna agli altri. Non c’è un maestro. Ognuno ha sua vita professionale assai ben impostata e una personalità artistica riconoscibile. Proprio per questo l’esperienza collettiva in studio diventa un arricchimento, non una fatica.

Marina, Giovanni, Fabio e Fuelpump hanno messo in dialogo le loro opere e il confronto ha generato motivi di dibattito, svelando interessanti convergenze nelle loro ricerche: sensibilità tra loro molto distanti, talvolta opposte, in grado di generare motivi di riflessione che insistono su temi comuni.

Link, dunque, non è una mostra a tema come altre. Gli artisti non sono stati selezionati con un criterio curatoriale in virtù del loro linguaggio o per le tematiche da loro affrontate. Link è un racconto: il racconto di un gruppo di artisti che lavorano l’uno accanto all’altro, senza cercare la contaminazione ma interagendo quotidianamente. Eppure Link è tutt’altro che una mostra eterogenea. Esposti insieme, i lavori di questi quattro artisti dalle forti personalità, trovano un motivo comune, tracciano un percorso dai molteplici gradi di lettura nella società e nei sistemi a essa sottesi, nelle relazioni tra essere umano e ambiente, tra individuo e società, tra presente e passato, tra memoria e immaginazione. Protagonista assoluto è l’uomo, presente, sebbene con modalità e ruoli diversi, in tutte e quattro le ricerche. L’uomo e il suo passato, il suo presente e il suo (possibile) futuro: l’uomo e il suo quotidiano. Quattro visioni generate da altrettante personalità capaci di relazionarsi con gli altri, di interagire, di confrontarsi, di mettersi in gioco.[…]

Costruzione e sentimento

Dal 11.09.2014 al 05.10.2014

 

Collezione ragionata di Francesco Sartori

Lucio Fontana, Remo Bianco, Emilio Scanavino, Giulio Turcato

nel contesto magico delle antiche icone russe  del XVII  e XVIII secolo con un omaggio a Davide Orler

11 Settembre | 05 Ottobre

 

…..da qualunque parte si esamini la questione, non c’è nulla in comune fra gli asparagi e l’immortalità dell’anima . L’aforisma di Achille Campanile mi è venuto alla mente, come un’istantanea, quando mi è stato proposto questo unicum art project: quattro icone russe in dialogo con quattro opere di quattro fra i più importanti artisti del secondo ‘900. Il tutto appartenente alla collezione di Francesco Sartori.

La mia perplessità al progetto era dovuta alla difficile coabitazione di opere tanto difformi, ma quando le ho viste condividere il medesimo spazio, ho capito come un soliloquio apparentemente impossibile poteva divenire dialogo complice e seducente.

E offrire conferma del fatto che le provocazioni intelligenti sono stimolo al pensiero,

Chi segue la nostra galleria da qualche tempo riconoscerà  questa mostra tra quelle che spesso realizziamo, proponendo progetti espositivi inconsueti che offrono relazioni sottaciute, prove dello spirito, della mente o del cuore allo scopo di suggerire al visitatore  idee ed emozioni inattese.

Ma lo scopo di questa mostra preziosa e certamente inconsueta, è anche quello di dimostrare come l’applicazione di chiavi di lettura differenti possa far svoltare il contenuto semantico di una collezione. Che è comunque una sorta di “organismo vivo”, in grado di mutare, proprio come la nostra lingua, bella anche perché capricciosa e sempre in trasformazione.

Una raccolta bella e appassionata, quella di Francesco Sartori, frutto della sua personale adesione al pensiero di Kandinsky così come viene espresso ne Lo spirituale nell’arte:

Tutto, specialmente all’inizio, è questione di sentimenti. Solo il sentimento, specialmente all’inizio del cammino, crea la vera arte. […] L’arte agisce sul sentimento e quindi può agire solo col sentimento”.

“Non c’è nessun “dovere” in arte. L’arte è eternamente libera. Fugge il “dovere” come il giorno la notte.

Deserti e Derive

Dal 06.09.2014 al 05.10.2014

 

Deserti e Derive è un navigare a vista fra i relitti dell’Occidente, circumnavigati dallo sguardo di cinque compagni di viaggio: Andrea Brera, Alessandra Chiappini, Isabella Dovera, Alessandro Savelli, Alessandro Spadari, e raccolti dalle parole di Giovanni Cella, che di questa mostra è curatore.

La mostra offre testimonianza della crisi alla quale tutti stiamo assistendo e che è figlia di un declino anche e soprattutto umano. Alla crisi i cinque artisti offrono la voce della propria arte, disegnando una mappa di linguaggi diversi eppure tutti laceranti ed eloquenti. Alessandra Chiappini ricorda la bellezza dell’arte antica e la struggente nostalgia delle sue (non mantenute) promesse di civiltà: e lo fa appoggiando su forme antiche velature delicate di colore, come soffi, quasi a temere il collasso definitivo delle vestigia di quei fasti lontani. Incisi, forti, violenti sono i volti di Isabella Dovera: anatomie nodose, già di spettro, un linguaggio di sguardi ciechi che ricorda un certo espressionismo fra le due guerre mondiali, e dunque è a sua volta inutile lezione di storia. Con Alessandro Savelli si torna al colore, ma sono cromie che non salvano, stesure orizzontali, lunghe come lande, un pigmento a tratti ostile, sotto la cui pelle brulica un mondo dalla sostanza misteriosa. Con i suoi relitti di navi Alessandro Spadari porta sulla tela il faticoso galleggiare del nostro tempo, fatto di simboli corrosi e di scafi arrugginiti, la stessa ruggine, la stessa corrosione di Scampia, falansterio del sacrificio di molte anime, fotografato con misericordioso rispetto da Andrea Brera.

Mario Sironi. Una collezione speciale

Dal 03.09.2014 al 05.10.2014

 

Si inaugura mercoledì 3 settembre alle ore 18, alla Galleria Biffi Arte di Piacenza, la mostra Mario Sironi. Una collezione speciale. La raccolta di Cristina Sironi e Rudolph Klien, a cura di Elena Pontiggia.

Sono esposte, per la prima volta in modo organico, le opere provenienti da una raccolta davvero particolare: quella della sorella maggiore dell’artista, Cristina (Sassari 1883 – Monza 1965), e di suo marito, il chimico inglese Rudolph Klien (Dewsbury, York, 1873 – Milano 1932), che di Sironi fu tra i primi mecenati. La collezione, che comprende circa sessanta opere tra dipinti, disegni, acquerelli, incisioni, documenta quasi tutte le stagioni sironiane, ma è di straordinario interesse soprattutto per alcuni inediti giovanili, che mostrano anche alcune sue direzioni di ricerca finora sconosciute.

La mostra muove da due vere “chicche”: un Paesaggio del 1899, dipinto da Sironi quando aveva solo quattordici anni e mai esposto prima, e l’altrettanto inedito Ars et Amor, 1901, un ex libris di sapore simbolista che l’artista sedicenne eseguì per la madre Giulia. Seguono il massimo capolavoro del periodo divisionista di Sironi, Madre che cuce, 1905-6, e il famoso Autoritratto del 1910.

E, ancora, sono da segnalare un gruppo di lavori futuristi, caratterizzati da quella potente solidità architettonica che sarà una costante di tutta la pittura sironiana, e talvolta anche da un colore acceso, che invece rimarrà ineguagliato nella sua ricerca; una serie di ritratti, dipinti e illustrazioni del tempo di guerra, tra cui la suggestiva Scena di guerra e le tavole per la rivista di trincea “Il Montello”, 1918; i ritratti a puntasecca di Margherita Sarfatti, Ada Negri, Bontempelli, realizzati da Sironi nel 1916, quando era ospite della Sarfatti nella sua casa di Cavallasca sulle colline comasche; alcune vignette per “Il Popolo d’Italia”, il quotidiano di Mussolini.

Il percorso espositivo si chiude infine con alcune opere degli anni venti, tra cui un inedito Paesaggio urbano del 1920; lo splendido disegno Nudo di donna con bicchiere  del 1922-23 (amatissimo dalla Sarfatti, che lo scelse per documentare Sironi nel saggio Segni colori e luci del 1925); numerosi ritratti di famiglia, come quelli di Cristina, di Klien e della loro figlioletta Gladys (1922); l’imponente Lago del 1926, e vari disegni e tempere che testimoniano la ricerca di Sironi nell’ambito della pittura murale degli anni trenta.

Accompagna la mostra, che rimarrà aperta fino al 5 ottobre, un catalogo con un testo introduttivo di Elena Pontiggia e le schede analitiche di tutte le opere esposte.

Mario Sironi nasce a Sassari nel 1885, da Enrico, ingegnere milanese, e Giulia Villa, fiorentina. Nel 1886 si trasferisce con la famiglia a Roma. Nel 1898, a tredici anni, rimane orfano di padre. Nel 1902 si iscrive alla facoltà di ingegneria, che abbandona l’anno dopo per una crisi depressiva. Frequenta invece la Scuola libera del nudo di via Ripetta e lo studio di Balla, diventando amico di Boccioni e Severini. Con Boccioni compie un viaggio a Parigi nel 1906. Due anni dopo si reca in Germania, dove ritornerà nel 1910-1911. Intanto, nonostante le ricorrenti crisi nervose, inizia a dedicarsi all’illustrazione e alla pittura. Nel 1913 aderisce al futurismo, dandone un’interpretazione soprattutto volumetrica.

Allo scoppio della guerra si arruola nel Battaglione Lombardo Volontari Ciclisti e poi nel Genio. Congedato nel 1919, si sposa a Roma con Matilde Fabbrini, con cui era fidanzato dal 1915. La coppia, che avrà due figlie (Aglae, nel 1921, e Rossana, nel 1929), si separerà nel 1932 e l’artista si legherà, tra alterne vicende, a Mimì Costa.

Sempre nel 1919 si trasferisce a Milano, dove dipinge i primi paesaggi urbani. La sua pittura si orienta verso forme potenti e sintetiche, di ispirazione classica, segnate però da una drammaticità moderna. Margherita Sarfatti è tra i primi critici a segnalarlo. Fin dal 1919, intanto, l’artista aderisce al fascismo. Dal 1921 disegna illustrazioni per il “Popolo d’Italia”, con cui collabora fino al 1942 (dal 1927 al 1931 anche come critico d’arte).

Nel 1922 è tra i fondatori del Novecento Italiano. Col gruppo, animato dalla Sarfatti e sostenitore di una “moderna classicità”, espone in tutte le principali rassegne in Italia e all’estero, difendendone le ragioni quando, nel 1931-1933, viene colpito da accese polemiche.  Negli anni trenta, però, Sironi si concentra soprattutto sulla pittura murale, divenendo il maggior teorico e artefice del ritorno alla decorazione classica. Pubblica il Manifesto della pittura murale, firmato anche da Campigli, Funi e Carrà (1933).

Nel 1943 aderisce alla Repubblica di Salò. Il 25 aprile sta per essere fucilato e si salva grazie all’intervento di Gianni Rodari, partigiano ma suo estimatore. Il crollo dei suoi ideali politici e l’angoscia per la morte della figlia Rossana, che si uccide giovanissima nel 1948, lasciano un segno nella sua pittura, in cui la tensione costruttiva si lascia incrinare da un senso di frammentarietà. Mario Sironi muore a Milano nel 1961.

In occasione della mostra Mario Sironi. Una collezione speciale la Galleria Ricci Oddi di Piacenza esporrà al pubblico il dipinto Testa di giovane eseguita da Sironi negli anni immediatamente precedenti il secondo conflitto mondiale e presente nelle collezioni del Museo dal 1967.  Presso la Galleria Biffi Arte sarà inoltre disponibile una cartolina che, presentata alla cassa della Galleria Ricci Oddi, darà diritto al 30% di sconto sul biglietto d’ingresso. Il medesimo biglietto, consegnato al personale di Biffi Arte darà diritto allo sconto del 30% sull’acquisto del catalogo Mario Sironi. Una collezione speciale, curato da Eelena Pontiggia.

Mario Sironi. Una collezione speciale

Dal 03.09.2014 al 05.10.2014

 

Si inaugura mercoledì 3 settembre alle ore 18, alla Galleria Biffi Arte di Piacenza, la mostra Mario Sironi. Una collezione speciale. La raccolta di Cristina Sironi e Rudolph Klien, a cura di Elena Pontiggia.

Sono esposte, per la prima volta in modo organico, le opere provenienti da una raccolta davvero particolare: quella della sorella maggiore dell’artista, Cristina (Sassari 1883 – Monza 1965), e di suo marito, il chimico inglese Rudolph Klien (Dewsbury, York, 1873 – Milano 1932), che di Sironi fu tra i primi mecenati. La collezione, che comprende circa sessanta opere tra dipinti, disegni, acquerelli, incisioni, documenta quasi tutte le stagioni sironiane, ma è di straordinario interesse soprattutto per alcuni inediti giovanili, che mostrano anche alcune sue direzioni di ricerca finora sconosciute.

La mostra muove da due vere “chicche”: un Paesaggio del 1899, dipinto da Sironi quando aveva solo quattordici anni e mai esposto prima, e l’altrettanto inedito Ars et Amor, 1901, un ex libris di sapore simbolista che l’artista sedicenne eseguì per la madre Giulia. Seguono il massimo capolavoro del periodo divisionista di Sironi, Madre che cuce, 1905-6, e il famoso Autoritratto del 1910.

E, ancora, sono da segnalare un gruppo di lavori futuristi, caratterizzati da quella potente solidità architettonica che sarà una costante di tutta la pittura sironiana, e talvolta anche da un colore acceso, che invece rimarrà ineguagliato nella sua ricerca; una serie di ritratti, dipinti e illustrazioni del tempo di guerra, tra cui la suggestiva Scena di guerra e le tavole per la rivista di trincea “Il Montello”, 1918; i ritratti a puntasecca di Margherita Sarfatti, Ada Negri, Bontempelli, realizzati da Sironi nel 1916, quando era ospite della Sarfatti nella sua casa di Cavallasca sulle colline comasche; alcune vignette per “Il Popolo d’Italia”, il quotidiano di Mussolini.

Il percorso espositivo si chiude infine con alcune opere degli anni venti, tra cui un inedito Paesaggio urbano del 1920; lo splendido disegno Nudo di donna con bicchiere  del 1922-23 (amatissimo dalla Sarfatti, che lo scelse per documentare Sironi nel saggio Segni colori e luci del 1925); numerosi ritratti di famiglia, come quelli di Cristina, di Klien e della loro figlioletta Gladys (1922); l’imponente Lago del 1926, e vari disegni e tempere che testimoniano la ricerca di Sironi nell’ambito della pittura murale degli anni trenta.

Accompagna la mostra, che rimarrà aperta fino al 5 ottobre, un catalogo con un testo introduttivo di Elena Pontiggia e le schede analitiche di tutte le opere esposte.

Mario Sironi nasce a Sassari nel 1885, da Enrico, ingegnere milanese, e Giulia Villa, fiorentina. Nel 1886 si trasferisce con la famiglia a Roma. Nel 1898, a tredici anni, rimane orfano di padre. Nel 1902 si iscrive alla facoltà di ingegneria, che abbandona l’anno dopo per una crisi depressiva. Frequenta invece la Scuola libera del nudo di via Ripetta e lo studio di Balla, diventando amico di Boccioni e Severini. Con Boccioni compie un viaggio a Parigi nel 1906. Due anni dopo si reca in Germania, dove ritornerà nel 1910-1911. Intanto, nonostante le ricorrenti crisi nervose, inizia a dedicarsi all’illustrazione e alla pittura. Nel 1913 aderisce al futurismo, dandone un’interpretazione soprattutto volumetrica.

Allo scoppio della guerra si arruola nel Battaglione Lombardo Volontari Ciclisti e poi nel Genio. Congedato nel 1919, si sposa a Roma con Matilde Fabbrini, con cui era fidanzato dal 1915. La coppia, che avrà due figlie (Aglae, nel 1921, e Rossana, nel 1929), si separerà nel 1932 e l’artista si legherà, tra alterne vicende, a Mimì Costa.

Sempre nel 1919 si trasferisce a Milano, dove dipinge i primi paesaggi urbani. La sua pittura si orienta verso forme potenti e sintetiche, di ispirazione classica, segnate però da una drammaticità moderna. Margherita Sarfatti è tra i primi critici a segnalarlo. Fin dal 1919, intanto, l’artista aderisce al fascismo. Dal 1921 disegna illustrazioni per il “Popolo d’Italia”, con cui collabora fino al 1942 (dal 1927 al 1931 anche come critico d’arte).

Nel 1922 è tra i fondatori del Novecento Italiano. Col gruppo, animato dalla Sarfatti e sostenitore di una “moderna classicità”, espone in tutte le principali rassegne in Italia e all’estero, difendendone le ragioni quando, nel 1931-1933, viene colpito da accese polemiche.  Negli anni trenta, però, Sironi si concentra soprattutto sulla pittura murale, divenendo il maggior teorico e artefice del ritorno alla decorazione classica. Pubblica il Manifesto della pittura murale, firmato anche da Campigli, Funi e Carrà (1933).

Nel 1943 aderisce alla Repubblica di Salò. Il 25 aprile sta per essere fucilato e si salva grazie all’intervento di Gianni Rodari, partigiano ma suo estimatore. Il crollo dei suoi ideali politici e l’angoscia per la morte della figlia Rossana, che si uccide giovanissima nel 1948, lasciano un segno nella sua pittura, in cui la tensione costruttiva si lascia incrinare da un senso di frammentarietà. Mario Sironi muore a Milano nel 1961.

In occasione della mostra Mario Sironi. Una collezione speciale la Galleria Ricci Oddi di Piacenza esporrà al pubblico il dipinto Testa di giovane eseguita da Sironi negli anni immediatamente precedenti il secondo conflitto mondiale e presente nelle collezioni del Museo dal 1967.  Presso la Galleria Biffi Arte sarà inoltre disponibile una cartolina che, presentata alla cassa della Galleria Ricci Oddi, darà diritto al 30% di sconto sul biglietto d’ingresso. Il medesimo biglietto, consegnato al personale di Biffi Arte darà diritto allo sconto del 30% sull’acquisto del catalogo Mario Sironi. Una collezione speciale, curato da Eelena Pontiggia.

Storm

Dal 11.07.2014 al 03.08.2014

 

In ogni filo d’erba, è contenuto tutto il paesaggio circostante. La visione di una valle sfumata nelle scale di stati d’animo movimentati e accecante per le sue continue e generose pose. La perfezione di attimi sinuosi. Battiti di farfalla mai avvenuti, che conservano la placenta di tanti destini che, per sempre, saranno lì ad aspettarci. Con calma viva e variopinta linfa. G.B.

The cover art of Rolling Stone

Dal 03.07.2014 al 03.08.2014

Si inaugura giovedì 3 luglio alle ore 18 alla Galleria Biffi Arte di Piacenza, la mostra The cover art of Rolling Stone immagini rock dalla collezione di Mariano Freschi a cura di Mauro Molinaroli. Sono esposte alcune tra le più belle copertine originali della rivista Rolling Stone, fondata nel 1967 a San Francisco da Jann Simon Wenner e dal critico musicale Ralph J. Gleason. Emergono anche attraverso gli scatti di Annie Leibovitz, che divenne famosa durante i suoi tredici anni passati come fotografa per la rivista, le suggestioni di un periodo straordinario per l’arte e la cultura rock. Sono infatti questi anni importanti e di grande trasformazione e Rolling Stone ne è un’espressione viva. La rivista venne inizialmente identificata con l’universo hippy, ma ben presto prese le distanze dal mondo delle riviste underground e dagli orientamenti politici radicali, abbracciando anche canoni giornalistici più tradizionali. Ma la politica rimase un elemento fondamentale della rivista, che ne fece il suo marchio nei primi anni Settanta grazie a Hunter S. Thompson. Queste introvabili copertine appartengono alla straordinaria collezione di Mariano Freschi, che del mondo rock degli anni settanta ha raccolto cimeli, strumenti musicali, dischi in vinile e tanto altro materiale da farne un museo. Le immagini sono un viaggio in un mondo che appartiene al passato: John Lennon e Yoko Ono i Rolling Stones e Mick Jagger, Elton John, Janis Joplin, Jimi Hendrix, ma anche attori come Peter Fonda e Clint Eastwood. Una galleria di ritratti introvabili e di personaggi dimenticati negli archivi della nostra memoria che riaffiorano grazie alla collezione di Mariano Freschi. Si tratta di un universo che non avevamo certamente dimenticato e che riproposto oggi fa un certo effetto: sembra un secolo fa. Archeologia della memoria.

LIVE MUSIC nell’ambito della mostra The cover art of Rolling Stone In occasione dei Venerdì piacentini, evento centrale dell’estate piacentina Venerdì 11 luglio alle ore 21,30 la Galleria Biffi Arte in collaborazione con Dal Mississippi al Po festival di musica e letteratura, offriranno alla città di Piacenza nello spazio antistante la sede della galleria in Via Chiapponi un concerto dei RAB4 dal titolo Gli anni maledetti del Rock’n’Roll. Introdurrà i pezzi suonati dalla sua Band, Seba Pezzani, scrittore e critico letterario per Il Giornale.

Femminile, plurale. Lo sguardo sul mondo

Dal 27.06.2014 al 03.08.2014
C’è un modo specificamente femminile di guardare il mondo? Esiste uno sguardo “femmina” che si possa concretamente contrapporre a uno sguardo “maschio”? Al di là dei luoghi comuni, forse, si può ipotizzare con una certa verisimiglianza che se l’occhio maschio è più allenato alla visione d’insieme e alla soluzione strategica, l’occhio femmina sembra più portato allo sguardo in profondità, alla penetrazione del reale attraverso uno scandaglio. Uno scandaglio emotivo, più che pratico. Nasce da questa convinzione la mostra Lo sguardo sul mondo, secondo capitolo della rassegna Femminile, plurale, in programma da Biffi Arte dal 25 giugno al 3 agosto. Dopo L’intimità, lo sguardo dentro – che ha indagato come dieci donne usano l’arte per leggere dentro se stesse, per essere più vicine al loro vero io – ecco che l’oggetto di attenzione si sposta fuori. Uno slittamento dell’inquadratura che non corrisponde, tuttavia, a una sostanziale modifica del metodo. Che resta quello della contemplazione attiva, dell’ascolto silenzioso, della comprensione nel senso più ricco del termine (contenere in sé, abbracciare, racchiudere), della saggezza, ma anche qualche volta quello della risata di gola, dell’ironia – magari con un fondo lieve di amarezza – e del gioco. Se Alessandra Baldoni racconta le emozioni di una passione non vissuta attraverso il linguaggio potente, fortemente simbolico e lirico delle sue fotografie, Linda Carrara ricrea attraverso la pittura lo spazio intorno a sé, costruendo ambienti dalle nitide architetture e dai colori magmatici nei quali abbiamo l’impressione di perderci. E davvero rischiamo di smarrirci nelle foreste di Marika Vicari, distese di alberi sostanziate di luci e di ombre, quasi delle quinte pronte ad accoglierci tra i loro misteri. Ancora vegetazione, foglie, steli, fiori immensi forse provenienti da un mondo altro, sono la materia attraverso la quale Brigitta Rossetti indaga il reale. Non il bosco, invece, ma la metropoli è il terreno di Marina Previtali, che con le sue pennellate vibranti, mobilissime, intense ci restituisce una Milano “che sale” come un cantiere brulicante che pulsa di bagliori al neon. E appaiono quasi delle inquadrature ravvicinate di questa stessa metropoli i dipinti di Liliana Cecchin, con la folla che corre sfiorandosi e i movimenti che sdoppiano la figura e la moltiplicano in una danza neofuturista. Lontane dalla folla, immerse in un silenzio ovattato, ecco le stanze di Tina Sgrò: ambienti incantati, senza tempo, sostanziati di una luce soffusa e pacificante che sfuma i contorni e confonde lo sguardo. E fuori dal tempo appaiono anche le fanciulle di Cristina Iotti, quasi dei ricami a matita e pastello che ci raccontano, tra merletti e arabeschi di sbalorditiva precisione, il piccolo dramma tutto femminile della scelta dell’abito. Una stanza reale è quella in cui invita lo spettatore Claudia Scarsella: comodi cuscini su cui sedersi e una tappezzeria sulla quale piccoli momenti di vita, immagini, ricordi, ritagli, frammenti di fotografie si sdoppiano e si moltiplicano come in un caleidoscopio. Il mondo fatato in cui ci invita Loredana Galante, invece, somiglia di più a quello trovato da Alice dopo aver attraversato lo specchio, tra aiuole che spuntano dal pavimento come per magia, uccellini dai colori vivaci, fontane tracimanti, sontuosi cesti di frutta e ragni saggi che intrecciano seriche ragnatele pronte a intrappolarci. Marina Giannobi sceglie un tema – può essere la lettura o, come in questo caso, la musica – e lo immortala in una serie sterminata di scatti fotografici, lo analizza fino al dettaglio infinitesimale, restituendocelo in immagini vibranti, in fuori fuoco sapienti e spiazzanti, come un film prezioso da ricreare dentro di noi. Uno sguardo pulitissimo sul reale è quello di Elisa Rossi, che in oli su tela tutti giocati sulle ombre, sui bianchi e sui neri, racconta una tenera quotidianità, dove l’esattezza quasi fotografica si stempera in poesia. E nitidissimi, come inquadrati da uno zoom ipersensibile, sono i fiori di Chiara Albertoni. Immensi, resi con una definizione sbalorditiva che ci dà l’impressione di poter toccare ogni goccia di rugiada, ci fissano splendidi, regali, sensuali, vivi come creature pensanti. Ha invece il sapore delle caramelle e dei bastoncini di zucchero la pittura di Marica Fasoli. Un iperrealismo che va oltre la mera riproduzione del dato reale, che sfonda le due dimensioni e con una luminosità e un nitore metafisici racconta sogni, promesse, speranze e piccoli indimenticabili momenti. Come il primo capitolo, L’interiorità, lo sguardo dentro, anche Lo sguardo sul mondo avrà una mostra gemella a Milano, nella sede del settecentesco Palazzo Pirola di Gorgonzola, dal 18 ottobre al 9 novembre. In questo caso le artiste saranno affiancate anche dalle protagoniste del terzo e ultimo capitolo della rassegna, Gli spazi del sogno, in programma a Piacenza tra dicembre 2014 e gennaio 2015.

Sogna Parla Vivi

Dal 07.06.2014 al 22.06.2014

 

Endo-fap Don Orione presenta “Sogna, parla, vivi…”, progetto realizzato dai ragazzi del corso di Operatore Grafico di Piacenza. La base di partenza sono i “Laboratori sui Diritti con i Minori”, il macro-progetto voluto dal Garante regionale per l’infanzia e l’adolescenza Luigi Fadiga per contribuire alla costruzione di un ambiente aperto alla conoscenza e alla diffusione di una cultura più rispettosa dei diritti dei bambini e dei ragazzi presenti sul territorio dell’Emilia-Romagna. L’obiettivo generale dell’iniziativa è quello di sostenere la realizzazione di percorsi didattici sui diritti, che coinvolgano attivamente studenti e ragazzi delle scuole superiori e dei centri di formazione del territorio nello sviluppo delle attività e nelle riflessioni sui temi. Filo conduttore dei laboratori è la Convenzione sui Diritti del Fanciullo. Approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, la Convenzione é il più importante strumento giuridico di enunciazione e tutela dei diritti dei minori di età: riconosce infatti bambini e ragazzi come titolari di diritti esclusivi e specifici, come il diritto al gioco o il diritto all’ascolto. L’Ente di Formazione Endo-fap Don Orione è stato scelto come rappresentante del progetto per la città Piacenza e i ragazzi e le ragazze delle due classi del percorso di Operatore Grafico hanno voluto dedicarsi all’Art. 12 della Convenzione che tutela il diritto all’ascolto e quello alla libera espressione. All’inizio dell’anno scolastico gli studenti hanno letto e analizzato la Convenzione, approfonditi gli aspetti storici e sociali e scelto in che modo raccontarne i contenuti. Ogni classe, con l’aiuto dei propri insegnanti, ha stabilito con quali modalità lavorare e che prodotto realizzare: gli allievi della classe 2^ hanno deciso di preparare una mostra fotografica, mentre quelli del terzo anno, un cortometraggio. La realizzazione è stata possibile grazie ad un laboratorio condotto da Serena Groppelli, e ad un percorso sulle tecniche di videomaking insieme al regista Andrea Canepari. Infine, in collaborazione con Silvia Ferri e Lucia Tagliaferri, insegnanti delle altre materie di indirizzo è stata realizzata la parte grafica e di comunicazione dell’evento. La mostra fotografica nasce interamente dalla creatività e dall’impegno dei ragazzi ed è costituita da 7 foto ideate, scattate e descritte dai protagonisti stessi. Accanto alle foto principali sono esposte altre immagini che raccontano il backstage. Il cortometraggio, che vede protagonista la classe terza, è stato girato in alcuni luoghi significativi della nostra città e ha richiesto agli allievi di mettere in campo tutte le loro doti artistiche: nel video infatti, cantano, ballano e recitano come in un vero e proprio musical. Le musiche e la canzone inserite nel corto sono state realizzate insieme ai musicisti dell’Associazione Banda Larga e a Marco Rancati. Il grande lavoro portato avanti in questi mesi viene presentato in un luogo prestigioso, lo Spazio Biffi Arte a Piacenza, dove il 7 giugno alle 11.30 verrà inaugurata la mostra che rimarrà aperta al pubblico fino al 22 dello stesso mese. Nella stessa data inoltre, ma in serata, nell’ambito del Festival Musica Diffusa organizzato dall’associazione Banda Larga, all’interno del Teatro Serra del Parco di Villa Raggio a Pontenure (PC), i giovani del Don Orione animeranno la serata con la loro musica e sarà l’occasione per proiettare cortometraggio. Quella stessa sera parteciperanno inoltre, da protagonisti, al concerto di Marco Rancati “I Motivi della Terra”.

Dialogo sull’amicizia

Dal 29.05.2014 al 22.06.2014

 

a cura di Marco Rigamonti e Silvana Turzio

Dialogo sull’amicizia è un progetto espositivo che segue sì la scia delle esperienze passate cercando però di privilegiare le relazioni personali e di permettere, là dove possibile, l’emersione del sostrato di complicità estetica, cresciuta nel tepore dell’affetto e motivata dall’ amicizia preesistente alla mostra. Anzi, l’intenzione è proprio di riunire coppie di artisti che siano legati da un solido rapporto di amicizia. Artisti che in questo caso, scegliendo le opere dell’amico , diventano anche curatori. Certo, ciò che si vede alle pareti e per terra non può essere la visione dell’amicizia, difficilmente rappresentabile. L’amicizia è tanto vicina all’amore nel suo affetto ma non lo è nelle sue manifestazioni, è tanto interiorizzata nella sua espressione, tanto discreta da non alterare le espressioni, sì che non rientra nelle categorie elencate dalle varie fisiognomiche, è invero tanto realizzata nella durata da attraversare le varie età della vita e delle loro manifestazioni, e tanto evidente quando viene a mancare. Ma tutto ciò è difficilmente rappresentabile. Nelle arti visive è curiosamente più facile visualizzarla nel suo opposto tanto temuto e così ben codificato nella pittura, il tradimento. Se è l’amicizia stessa al centro di questa mostra, la sua presenza è dunque da leggere sotto traccia, da cogliere con la coda dell’occhio quando da un’immagine si passa alla successiva, seguendo come segugi la scia di forme e di colori che, mentre evapora nello spazio da un’opera all’altra, dalla precedente risuona nella successiva, disegnando in questo modo una mappa segreta delle relazioni. Come dice Lucrezio della natura stessa dell’immagine, una natura tenue che si manifesta subitamente e subitamente se ne va, anche l’amicizia per immagini ha una natura tenue: appare con un battito fremente e leggero e si manifesta effimera ed insolita come mostrano la loro bellezza le ali di una farfalla quando si posa un istante per alzarsi in volo l’attimo successivo. Insomma, questa mostra nasce così, dal desiderio di riunire coppie di amici, artisti e curatori nella sfida di voler rendere manifesta la corrente affettuosa che scorre dagli uni agli altri. Per questo è volutamente costruita in un gioco di richiami, come un labirinto di complicità che rimbalzano da una parete all’altra, da una stanza alla successiva. Antonio Biasiucci e Oreste Zevola da un lato, complice il teatro che negli anni settanta e ottanta a Napoli era eccellente, Francesco Radino e Helmut Dirnaichner dall’altro, uniti dall’amore per le terre salentine, sono gli amici che due a due presentano le loro opere. Si conoscono da tempo, da quando erano tutti giovani uomini alla ricerca di un’espressione artistica compiuta, tutti ancora alle soglie della celebrità che li avrebbe colti, tutti, in cammino e portati oggi qui in piena maturità artistica. Eppure, malgrado il riconoscimento che poco tempo dopo li avrebbe additati tra i più interessanti della loro generazione, non si sono dimenticati gli uni degli altri, non si sono odiati l’uno l’altro per il successo decretato all’uno e che magari per l’altro non era ancora arrivato. Sono transitati su strade difficili, hanno vissuto momenti a volte molto dolorosi, hanno avuto e hanno vite disseminate da avversità quanto da sprazzi di felicità. Amicizie messe alla prova, duramente, eppure amicizie che si sono nutrite soprattutto del confronto sul lavoro. Hanno scambiato l’un l’altro pareri, hanno chiesto conforto e collaborazione, hanno esposto le loro critiche e formulato domande di aiuto: sono amicizie che si sono rafforzate nel tempo e oggi sono solide quanto le loro opere. In mostra una ampia selezione delle opere, molte inedite, dei quattro artisti: sculture, libri, ceramiche e fotografie a colori e in bianco e nero.

Scultografia

Dal 17.04.2014 al 18.05.2014

 

Quando qualcuno mi chiede perchè la carta, di colpo mi sento fragile come la pagina leggera di un libro e nello stesso momento forte come un libro di mille pagine sfogliato nei secoli da centinaia di mani. Tralasciando la forza della parola impressa sulla pagina, per me la carta è materia viva vibrante mutevole. “Scultografia” è la mia indagine ancora aperta dentro e intorno La carta. E’ un insieme di azioni eseguite con strumenti che poco appartengono allo scultore, forbici e lame. Da cinquecento fogli di carta bianca leggera ad esempio si ottengono sedicimila e cinquecento strisce. A me non resta altro che toccarle, muoverle, disporle una accanto all’altra, costruire un volume a volte compatto e composito a volte esteso e fluttuante. La carta ora rivela dall’interno segni disegni e visioni. Quando poi in una metamorfosi del tutto naturale risale alla materia madre all’albero, questo mi fa sentire ancora più forte e grato.

Daniele Papuli

Wik. Disegnare sempre, disegnare tutto.

Dal 17.04.2014 al 18.05.2014

 

Le affiches cinematografiche belghe sono tra le più ambite dai collezionisti, e quelle disegnate da Wik — al secolo Ludwik Cieślik, 1904-1990 — sono senz’ombra di dubbio tra le più icastiche del secondo dopoguerra. Non è però dei soli magnifici bozzetti originali del Wik affichiste che la mostra darà testimonianza: di questo artista, nato in Polonia ma che troverà la sua piena affermazione professionale appunto in Belgio, esporremo esempi dei numerosi gangli per i quali si espresse la sua versatilità: dai rapidi schizzi dedicati ai profughi dell’immediato dopoguerra alle réclames per le agenzie viaggi, dai ritratti ricchi di eros della moglie alle suggestive, quasi ieratiche grandi teste pour coiffeurs, dai disegni per tessuti alle magnifiche vedute montane, dalle illustrazioni per libri per l’infanzia all’interessantissima innovazione iconologica di un mito nazionale polacco assai popolare quale la Sirena di Varsavia. L’esposizione consente insomma di vedere incarnata in una concreta esperienza esistenziale ed artistica quel cosmopolitismo che tanto spesso è parola di sfuggente astrazione; per capire appieno quanto sradicamento e quanta fedeltà a se stessi poterono essere racchiusi in quelle quattro cittadinanze e un destino di cui scrive Jakob Shalmaneser nel denso catalogo pubblicato per l’occasione da Biffi Arte.

L’etereo che diventa materia

Dal 03.04.2014 al 13.04.2014

 

In occasione della Settima edizione del Festival dell’Omeopatia e delle Scienze Umane, che si svolge a Piacenza, la galleria Biffi Arte ne ospita la sezione artistica. Dopo l’Acqua |2010, il Fuoco |2011, la Terra |2012, l’Aria| 2013 delle passate edizioni per l’ OmeoFest 2014 il tema sarà la Quintessenza.

L’etereo che diventa materia: i 22 arcani maggiori di Carlo Piterà

“Un anno di lavoro ostinato, meticoloso, continuo, fatto di momenti di profondo sconforto che avrebbero minato irrimediabilmente anche la volontà più ferrea. Invece il risultato di tanta determinazione è davanti ai nostri occhi: settantotto tavole pittoriche di grande formato (100 x 175 centimetri ognuna) in cui Carlo Piterà ha dipinto la completa serie dei Tarocchi – 22 Arcani Maggiori e i 56 Arcani Minori – con la consueta vena surreale e simbolica che ne connota da sempre la cifra pittorica.” Carlo Francou

Nello spazio dell’Antico Nevaio della Galleria si confrontano sul tema della Quintessenza, i fotografi del Gruppo Idea Immagine, nato a Piacenza nel 1995 grazie ad alcuni amici che, dopo lunghe esperienze di partecipazione in ambito nazionale e internazionale, decidono di produrre fotografia non più solo come momento fine a se stesso o per la sola partecipazione a concorsi fotografici, ma per crescere in una ricerca personale in collaborazione con altri facendo cultura fotografica.

LAND[E]SCAPE

Dal 15.03.2014 al 30.03.2014

 

ACCARTOCCIATI _ CRUMPLED UP

Già nel 1992 Daniele Innamorato ha sperimentato in camera oscura usando e dosando la luce come fosse colore sulla tavolozza. Una passione istintiva per quella che appare materia impalpabile, e pur capace di creare immagini solide.

Quei primi lavori, lasciati lì in un cassetto della memoria, sono riaffiorati a distanza di 20 anni in modo quasi inconsapevole.

E oggi, Innamorato presenta una ricerca emozionante e approfondita sulla percezione visiva. Sulla luce. Sui giochi d’ombre che creano una profondità illusoria. Su una superficie che si dimostra piatta prendono vita figure tridimensionali, come fossero vette di montagne innevate.

Hommage à Bacciocchi

Dal 08.03.2014 al 13.04.2014

 

L’esposizione in Saletta Biffi del plastico originale ligneo del Liceo Classico Melchiorre Gioia e di antiche immagini fotografiche di questo che è tra i più importanti edifici pubblici della Piacenza novecentesca, è l’occasione per rendere omaggio a Mario Bacciocchi (1902-1974) e celebrare il suo fecondo talento di architetto con un volumetto speciale della nostra Collana – così tanto apprezzata dagli appassionati – Imagines. Bacciocchi ha lasciato in città diverse testimonianze del suo ingegno: dalla Chiesa della Santissima Trinità all’Università Cattolica a San Lazzaro, dalla Sede Centrale RDB in via San Siro al magnifico, monumentale distributore AGIP improvvidamente demolito di recente a Barriera Genova. Ma il suo valore è da misurarsi senza ombra di dubbio su scala nazionale: gli dobbiamo infatti, il concetto urbanistico stesso di Metanopoli e quel suggestivo tempio ai caduti di tutte le guerre che è l’Ara Pacis Mundi di Medea, in Friuli.

GIULIA FEDERICO – La voce del silenzio

Dal 01.02.2014 al 26.02.2014

 

Giulia Federico

La voce del silenzio

Dilatare la forma per dilatare il tempo, entrare a poco a poco in un quadro come si fa con un bosco o il quartiere sconosciuto di una città, farne parte e scoprire ogni volta un diverso particolare, quasi che il disegno possa esprimere stati d’animo e umori. Si cammina, nelle grandi carte di Giulia Federico, si percorrono strade e campi immaginari, si affrontano pendii e burroni, forre e stretti sentieri, sembra quasi di affondare i ramponi nella ruvida buccia del melone, e quei semi “in vetta” sono sassi a indicare una traccia che arriva fin nel profondo del nostro sentire. Disegnare è per l’artista milanese il modo di piegare il tempo al suo corso di pensieri, perché le ore trascorse davanti al foglio bianco sono in realtà una meditazione nel proprio io, il sistema per arrivare all’intimità delle cose, alla loro conoscenza “spirituale”. Così le sue nature morte, con la loro “vita ferma”, cristallizzata, diventano paesaggi della mente, luoghi da indagare e descrivere con la curiosità dell’esploratore, passo dopo passo, segno dopo segno, sfumatura dopo sfumatura. I chicchi d’uva sembrano avere vene in rilievo, come quelle delle mani di un artefice che scava nella terra, il guscio della noce è il coperchio della saggezza, contenuta nel gheriglio come nelle anse del nostro cervello. Ed è interessante scoprire come Giulia Federico ami queste volute di silenzio, il “ruit hora” che sovrintende la fuga dei minuti e dei giorni, la contemplazione dei neri e dei grigi che animano il bianco setoso del cartoncino Schoeller miniato dalla punta della sua matita. Lei che discorre spesso con i suoni, da arpista e buona ascoltatrice, esprime se stessa nella muta realtà del ricreare un mondo di giganti vegetali, sintetizzando mesi di lavoro in “sinfonie” da udire con gli occhi anziché con gli orecchi, ma alle quali ognuno di noi può destinare una musica, un canto sospeso. La “lente” che Giulia adopera per farci parte dei segreti di frutta e verdura, spogliandole del loro significato gastronomico e presentandole come soggetti anatomici, corpi da osservare con cura, viscere apparecchiate con sottile ironia: l’artista ci avverte che ciò che mangiamo è assai diverso dall’immagine dell’uva del melograno o del melone composta nel nostro cervello da secoli, quella di un cibo amorfo, senza consistenza di vita, da consumare o gettare in pattumiera. «Si dipinge con il sentimento», sosteneva Jean Siméon Chardin, colui che fece scattare il meccanismo dell’arte nella studentessa di Brera Giulia Federico, l’autore di inarrivabili nature morte, della stessa semplicità indagatrice di una pagina proustiana, piene di mistero e pure così vive, perché pervase dal carattere della persona che sta per sorbire il caffè fumante nella tazza o per addentare una delle albicocche sciroppate chiuse nel barattolo. Così, ammirando un disegno della Federico, superato lo stupore per il virtuosismo tecnico e quello per le proporzioni alterate di un acino o di un picciolo, si passa alla riflessione, all’ammirazione per quanto la Natura riesce a costruire con mezzi cristallizzati nel tempo, e alla considerazione di come sia sufficiente mutare il punto di vista per inventare nuovi universi, dar loro forma e vita e riempirli di sogni. Quello di Giulia è di dedicare l’esistenza all’arte, alle infinite possibilità che offre un pezzetto di grafite, perché il disegno è padre della pittura e della scultura e va praticato ogni giorno, come il pianista fa con gli esercizi tecnici e il monaco con la preghiera. Nei mesi trascorsi davanti al foglio, in un infinito esercizio di pazienza e di autocontrollo, l’artista lavora per noi, ci prende per mano, guidandoci nelle meraviglie nascoste di un dono naturale, strizzando l’occhio allo scorrere del tempo e ritornando a consonare con un ritmo più antico, lontano dal vorticare della vuota modernità. Un ritmo simile a quello del respiro, vitale e sonoro, in cui la luce gioca in contrappunto, esaltando curve e fessure, regalando dettaglio nel dettaglio, insegnandoci – di nuovo – a vedere da vicino. Perciò dobbiamo dire grazie a questa giovane disegnatrice, per averci riportato a un tempo altro, alla nobiltà dell’artigianato pittorico, allo studio e alla calma, al paradosso di un’introspezione mediata dall’ingigantirsi delle forme, alla sonorità di lunghi e maturati silenzi.

Mario Chiodetti

LAND[E]SCAPE

Dal 01.03.2014 al 30.03.2014

 

Marc Chagall, il pittore-poeta, ha detto: “Tutto il nostro mondo interiore è realtà, forse anche più reale del mondo apparente”. Il mondo interiore di Riccardo Bagnoli e Federica Perazzoli è manifestato nel dialogo costante tra uomo e natura. Tra reale e irreale. Ed è in questa catarsi continua che sta la chiave di volta che regge l’architettura estetica di questi due artisti. Che si tratti del paesaggio malinconico, sospeso, della pittura di Federica Perazzoli, o delle montagne infinite e poetiche delle fotografie di Riccardo Bagnoli, ciò che conta davvero è quel momento inatteso che porta con sé cambiamento, paura, speranza. Ma anche abbandono. E così l’abbandono diventa senso di libertà e di affidamento. Verso la natura che ci contiene, sovrasta, protegge. In ogni paesaggio un’eco lontana di un mondo ancora tutto da trovare, da cui rifuggire, ma che inevitabilmente attrae chi l’osserva. L’abbandono è anche il vuoto, quella solitudine che si trasforma in ricerca, in una stanza senza pareti, fatta solo di alberi e cielo. Dove il silenzio è il custode dell’interiorità, e ci pone sul piano dell’essere. Così Riccardo Bagnoli e Federica Perazzoli ricercano nella natura la culla dei loro pensieri, dove l’arte è condizione necessaria, e imprescindibile, alla vita stessa.

Valentina Ardia

L’interiorità, lo sguardo dentro

Dal 25.01.2014 al 09.03.2014

 

Biffi Arte racconta in tre mostre le voci più nuove e originali dell’arte italiana al femminile.

Al di là degli stereotipi di genere, Biffi Arte presenta una rassegna di mostre tutta al femminile, per parlare di donne attraverso le voci delle donne. Trenta artiste dell’ultimissima generazione raccontano, con linguaggi diversissimi, questa metà del cielo. Spesso ironiche, talvolta dure, a tratti malinconiche e mai leziose, queste donne si guardano dentro e guardano il mondo di oggi per poi reinterpretarlo e farlo storia.

Dal 25 gennaio al 9 marzo va in scena il primo capitolo. L’interiorità, lo sguardo dentro è un catalogo di pensieri intimi, ricordi raccolti qualche volta tra le lacrime, autoritratti, momenti di introspezione e attimi sospesi. Ci sono le ragazze di Tamara Ferioli, corpi sensuali e vulnerabili definiti da un tratto leggero sul fondo bianco, accesi solo dalla fiamma dei capelli (veri, i suoi) che l’artista applica al lavoro; ci sono le donne di Ilaria Margutti, teneri e struggenti autoritratti dell’artista che ricamano il proprio corpo ricucendo cicatrici; c’è Rossella Roli, che attraverso installazioni intrise di passato raccoglie i propri ricordi e le paure per un tempo che verrà. E poi c’è Erica Campanella, che sulla superficie lucente del rame dipinge seriche figure femminili colte in un attimo di malinconica solitudine, o nella preghiera. Se Angela Loveday costruisce scene teatrali, vagamente oniriche, per fotografie dalla tecnica impeccabile da cui la figura femminile esce come una regina splendente e trionfante, Vania Elettra Tam dipinge quadri piccoli come sussurri, tele in cui la quotidianità si trasforma nel sogno di un’evasione che sa di rivincita. E poi c’è Anna Madia, che con il pretesto del ritratto racconta un mondo segreto, evanescente, di malinconie, confidenze e rituali femminili. O Alice Olimpia Attanasio, che con un linguaggio leggero, quasi infantile, trasforma in favole temi forti e duri come la malattia. E se Vania Comoretti, con i suoi pastelli e le sue chine – precisi come bisturi – crea ritratti profondi, senza sconti, in cui l’anima femminile appare scritta sulla pelle, Marina Calamai racconta le dolci consolazioni, le abbuffate piene di sensi di colpa per curare una pena d’amore. Le sue tele sagomate parlano di pasticcini e torte dalla glassa colante, di freschi sorbetti e gelati che si struggono lentamente. E poi ci sono i gioielli, da mangiare con gli occhi, e le installazioni interattive, profumate e accoglienti come un utero ritrovato.

Lo sguardo sul mondo sarà il tema della seconda mostra in programma. Attraverso pittura, scultura e fotografia dieci artiste italiane racconteranno il mondo intimo della casa e i suoi spazi, accoglienti o claustrofobici, sicuri o pieni di incertezze. Racconteranno la folla delle ore di punta, l’amore per la natura e la passione per i piccoli oggetti che danno senso alla quotidianità. L’ultimo appuntamento, infine, riguarderà Gli spazi del sogno. Desideri segreti e sogni mai confessati, fantasie e aspirazioni daranno vita a una mostra onirica, suggestiva e a tratti inquietante

Il piacere dell’occhio

Dal 25.01.2014 al 26.02.2014

 

 

Si incontrano e si guardano, si richiamano e si trascinano una dentro l’altra, si fecondano e si moltiplicano, e amandosi germogliano, e ogni nuova foglia ne porta un’altra, e non esiste stagione per il riposo della terra, ma è sempre una semina, una crescita, un raccolto. Crescono così gli alberi e crescono così le collezioni. E sono le più belle, le più fertili. Non collezioni di vanità e di pezzi unici, indifferenti uno all’altro, ma raccolta di frammenti infiniti, discorso grande, contagio bellissimo. Se dovessimo trovare il termine di paragone per questa collezione di fotografie dalle mille sfaccettature e dai mille richiami, ma precisa nel criterio di scelta – una curiosità coltissima e ossessiva – potremmo indicare semplicemente la vita. Le collezioni più autentiche sono sempre autobiografiche. Ma questa lo è più di altre, perché la fotografia accompagna la quotidianità come i vertici dell’esistenza, è naturalmente unica e moltitudine, è richiamo tra infinite sollecitazioni della cultura e intuizione originale. E’ successo e succede ogni giorno nella vita di questo straordinario collezionista, che un’immagine, un nome, un ricordo si affaccino alla memoria e subito attivino la mappa delle corrispondenze. Magari è un fauno di Wilhelm von Gloeden sullo sfondo di Taormina e subito dopo è la ragazza cervo delle isole Faroe. Magari è una scultura del Museo Archeologico di Napoli e un attimo dopo è Joseph Beuys nell’antro della Sibilla cumana. Magari è l’eleganza in nero di Marlene Dietrich, nello studio di Horst P. Horst, e accanto è Louise Bourgeois, stesso vestito colore della notte, stesso sguardo potente. Magari ancora è Picasso e Andy Warhol, i più grandi inventori e moltiplicatori di immagini del ‘900, e compagni di viaggio sono Henri Cartier Bresson a Mosca, e Mario Caio Garrubba a Ulan Bator. Magari è l’energia vulcanica di Lucio Amelio, protagonista dell’arte contemporanea internazionale in Italia, e con lui i suoi artisti e i fotografi che li hanno ritratti. Magari, infine, la splendida collezione di MB è un’enciclopedia. Un’enciclopedia di sé. Due inziali, semplicemente, per dire Michele Bonuomo racconta la sua passione e la sua storia.

Un Lungo Viaggio

Dal 14.12.2013 al 19.01.2014

 

Un lungo viaggio Dalla creazione dell’uomo all’uomo che crea con la terra Le crete di Marcello Aversa tra i tappeti della collezione Armani – Binecchio 14 dicembre 2013| 19 gennaio 2014 Vi è un livello raggiunto il quale l’artigianato diviene inequivocabilmente arte. I presepi e le scene sacre modellati in creta da Marcello Aversa con una perizia pari solo all’amore che egli porta per l’antica tradizione plastica italiana sono opere d’arte che hanno fra l’altro il pregio di conservare una freschezza d’ispirazione tutta popolare. Di dimensioni a volte piccolissime, esse catturano lo sguardo dello spettatore e spesso lo commuovono con il minuzioso, variato popolo delle loro figure rifinite, se necessario, con uno spillo; perché quello di Aversa – che vive e lavora in quel di Sorrento – è davvero un mondo miracolosamente sottratto alla fretta e alla solitudine di tanta modernità, e riconsegnato ad una sorta di socievole armonia tra individuo e creato, tra lavoro e piacere. Biffi Arte ha voluto che lavori così affascinanti fossero collocati entro una cornice altrettanto emozionante, e ha perciò scelto di impreziosire per l’occasione la Galleria con alcuni antichi tappeti di grande rarità e bellezza, appartenenti alla collezione di Achille Armani e Alberto Binecchio. Una mostra idonea, per la sua calda atmosfera, alle feste natalizie, ma che travalica i limiti consueti delle esposizioni di presepi con la sua ricchezza scenografica e la sua celebrazione di un talento artigianale altissimo.

Un lungo viaggio Le crete di Marcello Aversa 

Sorrento, Chiesa S. Maria della Pietà, 09 dicembre | 11 gennaio

Piacenza, Biffi Arte, 14 dicembre | 19 gennaio INAUGURAZIONE 14 DICEMBRE ORE 18

Penna in Teverina, Ex magazzini di Palazzo Orsini, 22 dicembre | 19 gennaio

Saluti dal Moretti

Dal 14.12.2013 al 19.01.2014

 

Nato a Biella nel 1870, Alessandro Moretti visse un’infanzia miserrima, ma giovinetto, trasferitosi con la madre a Piacenza, fu preso a benvolere da personaggi importanti della città per il suo talento di modellatore. Ciò gli permise di spiccare il grande salto verso una carriera internazionale più che onorevole, che lo vide, negli ultimi decenni della sua lunga vita, risiedere a Stoccolma, beneficiando, infine, di una pensione concessagli dal Re di Svezia. Il recupero della sua corrispondenza con un ammiratore piacentino ci ha permesso di mettere in mostra numerose immagini dell’artista, delle sue opere, del suo ambiente di vita e di lavoro. Riportando alla luce, con scienza e tenerezza, la levità e la vitalità di un talento non comune, che lo fece definire, dalla stampa dell’epoca, ritrattista di Principi e Re.

Från sin lägenhet på Hälsingegatan 12 vinkar Alessandro Moretti åt fotografen och – genom tiden – också åt oss, barn av vår tid men ändå nyfikna på hans personlighet, hans talang och hans konstnärliga nomadliv. Avskild från 1900-talets avantgardisters intellektuella miljö, följde Moretti hela livet 1700-talets uppfattning om bildhuggarkonsten.

Moretti föddes 1870 i Biella, i Italien. Efter en fattig barndom flyttade han med sin mor till Piacenza, där hans talang uppväckte framstående personers uppmärksamhet, vilket var början på en högaktad internationell karriär. Under hans långa livs sista årtionden bodde Moretti i Stockholm, där han beviljades en pension av Kungen.

Tack vare återfunna brev till och från en beundrare från Piacenza är det möjligt att avslöja många detaljer av hans personlighet, hans verk och hans bo- och arbetsmiljö, hans livskraft och hans ovanliga talang, som ledde fram till att hans kallades för “Prinsarnar och Kungarnas porträttör” av hans tids press.

Saluti dal Moretti

Dal 14.12.2013 al 19.01.2014

 

Nato a Biella nel 1870, Alessandro Moretti visse un’infanzia miserrima, ma giovinetto, trasferitosi con la madre a Piacenza, fu preso a benvolere da personaggi importanti della città per il suo talento di modellatore. Ciò gli permise di spiccare il grande salto verso una carriera internazionale più che onorevole, che lo vide, negli ultimi decenni della sua lunga vita, risiedere a Stoccolma, beneficiando, infine, di una pensione concessagli dal Re di Svezia. Il recupero della sua corrispondenza con un ammiratore piacentino ci ha permesso di mettere in mostra numerose immagini dell’artista, delle sue opere, del suo ambiente di vita e di lavoro. Riportando alla luce, con scienza e tenerezza, la levità e la vitalità di un talento non comune, che lo fece definire, dalla stampa dell’epoca, ritrattista di Principi e Re.

Från sin lägenhet på Hälsingegatan 12 vinkar Alessandro Moretti åt fotografen och – genom tiden – också åt oss, barn av vår tid men ändå nyfikna på hans personlighet, hans talang och hans konstnärliga nomadliv. Avskild från 1900-talets avantgardisters intellektuella miljö, följde Moretti hela livet 1700-talets uppfattning om bildhuggarkonsten.

Moretti föddes 1870 i Biella, i Italien. Efter en fattig barndom flyttade han med sin mor till Piacenza, där hans talang uppväckte framstående personers uppmärksamhet, vilket var början på en högaktad internationell karriär. Under hans långa livs sista årtionden bodde Moretti i Stockholm, där han beviljades en pension av Kungen.

Tack vare återfunna brev till och från en beundrare från Piacenza är det möjligt att avslöja många detaljer av hans personlighet, hans verk och hans bo- och arbetsmiljö, hans livskraft och hans ovanliga talang, som ledde fram till att hans kallades för “Prinsarnar och Kungarnas porträttör” av hans tids press.

NATURE MORTE ARTE VIVA

Enrico Cattaneo incontra Giorgio Morandi, Gianfranco Ferroni, Jim Dine

Dal 09.11.2013 al 08.12.2013

 

Noto come il fotografo dei pittori per avere immortalato i più grandi artisti del secondo Novecento nei loro studi, al lavoro e alle inaugurazioni delle loro mostre, Enrico Cattaneo è non solo il testimone delle vicende artistiche dell’ultimo mezzo secolo, ma soprattutto uno straordinario fotografo a tutto tondo, tra i più grandi nel panorama contemporaneo. Biffi Arte è orgogliosa di proporre un’esibizione — curata da Michele Tavola — in cui una notevole selezione dei lavori più importanti di Cattaneo sono messi a confronto con i pittori che egli ha maggiormente amato e con i quali, a volte dichiaratamente a volte inconsciamente, la sua opera dialoga.

Insieme a tre serie storiche del fotografo milanese, verranno esposti dipinti di Gianfranco Ferroni, uno dei più significativi rappresentanti del Realismo Esistenziale, e incisioni di Giorgio Morandi —indubbiamente uno dei più grandi artisti del XX secolo — e di Jim Dine, storico esponente della pop art americana. In tutto circa sessanta opere tra fotografie, incisioni e dipinti, che mostrano le infinite possibilità espressive di un genere antico come quello della natura morta. Un genere che, ancora oggi, mostra sorprendenti e inattesi esiti formali ed estetici.

Ferroni ha dichiarato: La natura morta mi interessa poco, anche se la uso spesso come titolo, quando non ne so trovare altri. Quello che lui e gli altri artisti esposti a Biffi Arte sanno fare, è trovare nuovi significati di oggetti solo apparentemente banali e nuovi modi di rappresentarli.

Cattaneo, con graffiante ironia e con originalità surreale, reinterpreta il lavoro dei suoi maestri ideali. Del resto guardare e riguardare è il segreto del gioco: del grande gioco che chiamiamo arte, ma anche del piccolo gioco di specchi messo in scena nell’esposizione a Biffi Arte. Guardare, Enrico Cattaneo, lo ha fatto per una vita intera attraverso l’obiettivo della sua macchina fotografica. Riguardare, nel senso di rileggere, lo ha fatto talvolta in maniera spontanea e inconscia, come tutti gli artisti, talvolta di proposito e ostentando la fonte.

A cura di Michele Tavola

SECONDO TIZZONI | IL RAGAZZO CON GLI OCCHI BASSI

e altri piccoli bronzi, scagliole e terre cotte.

Dal 09.11.2013 al 08.12.2013

 

Felice protagonista per più di mezzo secolo del panorama artistico piacentino, Secondo Tizzoni (Piacenza, 1916 – 2001), accanto al cimento del formato monumentale (Il Pugile, Techné, la retorica bellica, le commissioni ecclesiastiche e quelle funerarie, insomma le opere per la città, che tutti conosciamo) esprime con toccante tenerezza un sentire intimista nella bella produzione di plastiche di piccolo formato: bronzetti, scagliole e terrecotte. Con perizia fabrile felicemente fecondata da cultura e affettuosa ispirazione, Tizzoni crea un repertorio inatteso di teste, testine, putti, fanciulle e fanciulli, onorando, proprio soprattutto nel dialogo con il volto e con il corpo umano, quella preziosa tradizione di scultura di figura che l’arte italiana ospita più di ogni altra e che Biffi Arte celebra sotto le suggestive volte del suo Antico nevaio con una mostra raccolta e raffinata. Una mostra che certamente indurrà a riavvicinarsi all’opera di questo scultore non effimero del nostro Novecento da una nuova, meno rigida visuale.

LIBRI DI ARTISTI

a cura di Leda Calza ed Elisa Molinari

Dal 05.10.2013 al 03.11.2013

 

Libri di artisti, un unico tema per una doppia esposizione.
Interamente curate da Leda Calza e da Elisa Molinari su progetto espositivo dell’Arch. Carlo Scagnelli, le due mostre, saranno visitabili dal 05 Ottobre al 03 Novembre nei saloni e nell’antico nevaio della galleria

Libro d’artista, libro oggetto, libro d’arte, libro di lusso, diversi nomi per una definizione fluida che non può essere considerata una categoria di riferimento assoluta. In senso più restrittivo, il libro d’artista è quel volume concepito idealmente e materialmente dal solo artista che ne decide il concept e la realizzazione intervenendo su di esso come una vera e propria opera d’arte; volendo ricorrere a una terminologia più precisa parleremo di tirature limitate anche in un solo esemplare.

La mostra alla Galleria Biffi arte, nella sua dicotomia espositiva presenta, nello spazio sotterraneo dell’antico nevaio un excursus cronologico dei libri d’artista che copre l’arco del Novecento, con esemplari del 1926 di Frank Kupka, Natalia Goncharova, Marcel Duchamp, proseguendo negli anni ’30 fino agli anni 2010 con autori quali Pablo Picasso, Man Ray, Sonia Delaunay, Piero Manzoni, Alighiero Boetti, Emilio Villa, Eduardo Chillida, Mimmo Pladino, Emilio Isgrò, Antonio Calderara, Lucio Fontana, Gianni Colombo, Joe Tilson, Vincenzo Agnetti, Janis Kounellis, Andy Warhol, Fausto Melotti, Bruno Munari, Bruce Nauman, Dennis Oppenheim, Herma De Vries, Elisabetta Benassi, Gerard Richter, Sol LeWitt, Hiroshi Sugimoto, Gino De Dominicis, Matthew Barney, Erik Van Der Weijde, Sigmar Polke.

Nelle sale al pian terreno della galleria le quattro personali di Enrico Della Torre, Alina Kalcczynska, Sandro Martini e Walter Valentini con le loro creazioni, per un’esposizione che vuole rendere omaggio a questa duratura espressione artistica.
Nell’era dei tablet e degli e-book con i quali conviviamo, il libro, in generale inteso come forma di archiviazione e nello specifico il libro d’artista, procede parallelamente e rimane come espressione artistica, ma soprattutto come luogo di cultura, ricerca, dialogo e sinergia tra artisti e scrittori, spesso andando oltre la forma stessa del libro e della sua funzione, diventando anche oggetto di collezione. Come scrive Elio Grazioli in La collezione come forma d’arte, collezionare significa aver cura non solo delle cose e del proprio mondo, ma per così dire del mondo e delle cose stessi.

….ERA SOLO UN PEZZO DI LEGNO

Dal 19.09.2013 al 29.09.2013

 

EVENTO SPECIALE

Paolo Ceriati è uno scultore per impulso naturale, che ha nel sangue il senso dell’intagliare e la capacità di tirare fuori forme dal legno. Le sue dita muovono con smania, sgorbie e scalpelli fino a quando il pezzo di legno trasformato nelle più svariate forme diventa quello che le sue mani quasi da sole fanno: è una gioia vedere quel tronco lasciatogli sull’uscio di casa da qualche amico, prendere poco a poco vita.

La forza nella mano dell’uomo

Armando Riva

Dal 05.09.2013 al 29.09.2013

 

“Caro Armando vai avanti! La ripresa della vitalità, dell’autonomia, e, perché no, del successo del mondo dell’arte dipende dal perdurare e dal moltiplicarsi di esperimenti come il tuo”.
Con queste parole il noto critico d’arte e conduttore televisivo Philippe Daverio esalta la forza espressiva e comunicativa dello scultore Armando Riva

LE GEORGICHE
Le opere e i riti della campagna in antiche fotografie delle nostre terre

Museo per la fotografia e le arti visive di Piacenza

Dal 05.09.2013 al 29.09.2013

 

L’universo agricolo della prima metà del Novecento, nel suo sofferto trapasso da consuetudini millenarie alla meccanizzazione, visto attraverso fotografie documentarie o artistiche, senza cercare a tutti i costi la poesia ma spesso trovandola nella verità delle fatiche e dei cieli.

UN’ITALIA SERENA
L’ occhio fotografico di Bruno Del Papa sulle donne e gli uomini di una città di provincia ai tempi di De Gasperi

Bruno Del Papa

Dal 11.07.2013 al 11.08.2013

 

Siamo orgogliosi de essere i primi ad effettuare un carotaggio dell’Archivio Bruno Del Papa, che attende ancora una sistemazione scientifica ed un esatto computo dei generi e delle quantità, oltre che una verifica dello stato di conservazione di tutto il materiale. E senza pretendere di dare di esso un esempio non solo esaustivo, ma anche solo soddisfacente, siamo felici di presentare un assaggio del primissimo strato di quanto è stato conservato; di fotografie risalenti appunto ai primi Anni Cinquanta, ai tempi del settimo governo De Gasperi.

 

Bruno Del Papa

Gaetano Orazio –
Quadri da un’ esposizione

A cura di Giampaolo Cagnin – collezionista d’arte

Gaetano Orazio

Dal 06.06.2013 al 11.08.2013

 

Come nelle quadrerie seicentesche, i dipinti rivestono le pareti fino al soffitto. I quadri sono disposti senza seguire criteri cronologici accostati secondo le loro dimensioni ed i loro effetti cromatici.

Gaetano Orazio è un artista non facilmente classificabile. E’ pittore, abile disegnatore, scrittore, poeta, incisore, regista. Per raccontare chi è l’artista Gaetano Orazio non basta osservare i suoi dipinti, analizzarne i soggetti e le tecniche o leggere le sue poesie; è necessario conoscerlo e condividere con lui parte del nostro tempo.
Gaetano è il pittore che dà vita a potenti immagini nello stato del dormiveglia; Gaetano è il pittore del tempo profondo; Gaetano è il pittore dei quattro elementi, della terra, dell’acqua, dell’aria e del fuoco; Gaetano è il pittore – poeta innamorato dell’aurora. La poliedrica realtà che lo circonda, la Natura, l’incontro con l’altro da sé, lo scambio umano sono continuamente stimolo per dipingere e scrivere poesie: Mi sento realizzato solo se dipingo, dialogo e frequento altro da me, tutto è poesia se diventiamo ciò che già siamo
Nell’ occasione della mostra viene presentato il poemetto SGOMENTO ALL’AURORA, un libero fluttuare di versi che icasticamente si traducono in immagini talmente nitide e vivide che, davanti ai nostri occhi, mentre leggiamo, prendono forma i fili d’erba, le chiocciole, la pioggia e, allo stesso tempo, ne percepiamo il rumore, la consistenza grazie ad una strana forza evocativa dall’effetto sinestetico che coinvolge tutti i nostri sensi. Gaetano vuole condividere la scoperta delle primissime luci del giorno – quelle tra il lilla e il lavanda -, l’immersione in mezzo ai pesci del lago a cui porta briciole di pane, l’umidità in cima al monte dove sale per toccare le nuvole (“Chi guardando le nuvole non desidera toccarle?”), e lo fa dipingendo e scrivendo: i soggetti che catturano il suo sguardo e le sue mani sono gli stessi. Gaetano annulla la distanza tra sé e l’altro: le sue tele, i suoi pezzi di legno bruciati, i suoi disegni, così come le sue poesie, si offrono al “pubblico” come vive ed efficaci visioni.

Gaetano Orazio

QUADRI DA UN MONDO PERDUTO

Erminio ed Eugenio Manzotti , Gianni Croce

Dal 06.06.2013 al 04.07.2013

 

Gli uomini – e i loro sguardi – sono più importanti delle opere d’arte alle quali questi sguardi sono rivolti.
Mal fotografati, appoggiati in fretta al primo supporto che li sostenesse, liberati dal dogma geometrico dell’angolo retto, i quadri eternati in queste antiche immagini scelte nei Fondi Manzotti e Croce del Museo per la fotografia e la comunicazione visiva di Piacenza cessano di essere quegli assoluti estetici che siamo soliti trovare nei cataloghi, e divengono pretesti per pensare a coloro che li tolsero dai muri, che li portarono in un cortile o in un corridoio, che stettero a guardare con curiosità ed ironia il fotografo, là a trafficare dietro il suo apparecchio nato per fermare il tempo.

TO MAKE A PRAIRIE…..
A cura di Susanna Gualazzini

Chiara Briganti, Michelle Jarvis, Brigitta Rossetti

Dal 24.04.2013 al 02.06.2013

 

To make a prairie… è occasione per rendere omaggio a tre percorsi

artistici di forte identità, irriducibili a un segno comune ma insieme capaci di
evocare, nella loro appassionata ricerca, la nozione di natura, intesa come
spazio aperto alla relazione. E infatti nelle opere delle tre artiste, pure così
difformi, si svela in controluce la presenza – spesso segreta – di “paesaggi” di
volta in volta mentali, poetici, spirituali, onirici, naturalistici. Spazi con cui è
possibile dialogare, o meglio spazi disponibili all’interrogazione. Al rischio e
alla suggestione propri di ogni vero incontro.

Pretesto poetico, il prato evocato dai versi di Emily Dickinson accoglie con
gentilezza le cifre peculiari delle tre artiste: un poco di trifoglio per i tracciati
naturali di Michelle Jarvis, un’ape per l’operosità ispirata di Brigitta Rossetti,
un sogno per le mises en scène oniriche di Chiara Briganti.

To make a prairie it takes a clover and one bee,
And revery.
The revery alone will do
If bees are few.

Emily Dickinson

Un poco di trifoglio, un’ape e il sogno.
Non occorre di più per fare un prato.
Il sogno può bastare,
se le api sono poche.

ARIA

Elisabetta Casella, Lino Budano, Gruppo Fotografico Idea-Immagine

Dal 11.04.2013 al 21.04.2013

 

In occasione della sesta edizione del Festival dell’Omeopatia e delle Scienze Umane, che si svolge a Piacenza, la galleria BiffiArte ne ospita la sezione artistica.

Dopo l’Acqua |2010, il Fuoco |2011, la Terra |2012, delle passate edizioni per l’ OmeoFest 2013 l’ultimo elemento da esplorare artisticamente è l’Aria.

Gli artisti invitati si confrontano su questo tema, attraverso diversi mezzi espressivi: pittura, scultura, video, installazioni e fotografia.

Fedeli alla loro natura di sensori sismici, Lino Budano e Elisabetta Casella registrano il vuoto d’aria del caos attuale, restando aperti ai mutamenti genetici che sciolgono l’intera realtà su ogni piano: avvertendo in anticipo il sisma, ormai dichiaratamente in corso, che, anziché spingere l’aria a sradicare tutto ciò che incontra sul suo cammino, la risucchia attraendo sulla scena quanto è ancora ignoto, nascosto, inesplorato.

Nello spazio dell’Antico Nevaio della Galleria si confrontano sul tema dell’Aria, i fotografi del Gruppo Fotografico Idea Immagine, www.ideaimmagine.org, nato a Piacenza nel 1995 grazie ad alcuni amici che, dopo lunghe esperienze di partecipazione in ambito nazionale e internazionale, decidono di produrre fotografia non più solo come momento fine a se stesso o per la sola partecipazione a concorsi fotografici, ma per crescere in una ricerca personale in collaborazione con altri facendo cultura fotografica.

Sacrificio e Silenzio

Giuseppe Corrado – Camilian Demetrescu – Graziano Gregori – Ali Hassoun – Lena Liv – Enrico Pulsoni

Dal 14.03.2013 al 07.04.2013

 

La Galleria Biffi Arte di Piacenza, giovedì 14 marzo 2013 alle ore 18.00

inaugura la mostra, Sacrifico e Silenzio, curata da Carlo Pulsoni e Carlo Scagnelli: nel periodo che precede la Pasqua artisti di varie nazionalità, culture e religioni, ma anche atei convinti riflettono sul significato del sacrificio quando esso si accompagna al silenzio, sia esso desiderato oppure imposto. La mostra chiuderà Domenica 7 Aprile 2013

In occasione della mostra verrà presentato il volume: Sacrificio e Silenzio – Aguaplano Editore – che raccoglie scritti inediti di: Barbara Alberti, Laura Auteri, Mario Baudino, Sergio Belardinelli, Corrado Bologna, Giovanni Borriero, Paolo Branca, Andrea Celli, Luigi Cimmino, Norberto Civardi, Gabriella De Marco, Pablo d’Ors, Calogero Germanà, Tamar Herzig, Giacoma Limentani, Angela Madesani, Mariangela Miotti, Patrik Ourednik, Daniele Piccini, Carlo Pulsoni, Domenico Ribatti, Sayuri Okamoto, Jakob Shalmaneser, Sr. Monica Benedetta Umiker

Il foglio bianco di word che si apre sul monitor quando si decide di scrivere qualcosa è, a mio avviso, l’immagine che più illustra il silenzio, forse perché nessuno vi riconosce ancora un fallimento…

Per quanto possa sembrare strano, nessuno associa in modo convinto il silenzio a un immagine ma proprio all’esatto contrario: l’assenza di essa. Questa è la logica conseguenza del vivere nella società dell’apparire dove ogni cosa è proposta come se fosse un’icona, un simbolo.

L’idea di questa mostra è nata nell’autunno del 2012, e, come tutte le cose che poi si rivelano complicatissime, doveva essere poco più di una passeggiata. L’idea iniziale era molto semplice: in occasione della Pasqua 2013 la Galleria che dirigo propone un’esposizione convinta e curata della celebrazione della Pasqua con vari artisti di diversa estrazione culturale e religiosa: cristiana, ebrea, ortodossa, islamica, ma anche atei convinti. Al timone di questa arca culturale un teologo che, in veste di curatore, avrebbe tenuto la barra ben diritta.

Illustrai il mio progetto all’amico Carlo Pulsoni in una lunga ed entusiastica telefonata. Credevo di aver ben chiaro l’obbiettivo del progetto, ma nel corso della conversazione quell’idea iniziale si è a poco a poco trasformata in qualcosa di diverso. Che cosa meravigliosa è la vita se sei disposto a mettere in discussione tutte le tue certezze e ad abbracciare qualcosa di nuovo!

Così è nata questa mostra, per me preziosa e di grande forza visiva, alla quale sono stati invitati ad esporre sei artisti:

Giuseppe Corrado, Camilian Demetrescu, Graziano Gregori, Ali Hassoun, Lena Liv, Enrico, Pulsoni

Il percorso si apre con un oggetto di grande fascino, la riproduzione in grandezza naturale della Sindone realizzata da Barrie Schwortz, colui che è stato il fotografo ufficiale della Shroud of Turin Research Project (STURP), il team che ha condotto il primo approfondito esame scientifico della Sindone nel 1978.

L’Ottagono è l’immagine scelta come simbolo della mostra perché si tratta di uno dei principali simboli esoterici non solo dell’arte ma anche della tradizione cristiana ed islamica: una figura geometrica che allude alla resurrezione, alla rinascita.

Carlo Scagnelli

Verba Volant

Alice Zanin

Dal 16.02.2013 al 03.03.2013

 

Alice Zanin presenta in contemporanea presso Biffi Arte a Piacenza e Libreria Bocca in galleria Vittorio Emanuele a Milano, la serie di sculture “Verba Volant”.

“Verba volant scripta…” è una serie di sculture incentrata sulla rivisitazione in chiave ironica del detto latino “Verba volant scripta manent”. Gli scritti sì restano a formare fisicamente il corpo dell’opera, ma in una condizione di totale espropriazione di significato, per assumere sembianze animali (soggetto privo di parola per antonomasia) ed impiegarsi in qualche attività ad essi impropria.Riportando i titoli delle composizioni alla sfera semantica originaria della parola, cioè quella umana, si potrà osservare come parole volanti, indecise, nitrite o addormentate siano in realtà universalmente presenti nella quotidianità dell’individuo, a partire dalle informazioni percepite attraverso i media, per arrivare alle conversazioni con un ipotetico prossimo, finanche alle riflessioni che l’individuo porta in analisi a sé stesso. Allo stesso modo accade di disattendere alle scritture, siano esse di qualsiasi tipo, dai contratti alle lettere d’amore… “le parole volano, gli scritti fuggono”.

Cattedrale di Luce

Piero Portaluppi

Dal 09.02.2013 al 09.03.2013

 

Il genio fotografico di Piero Portaluppi visto attraverso l’arte fotografica dei Fratelli Manzotti

A 125 anni dalla nascita (Milano, 19 marzo 1888) Biffi Arte celebra con Cattedrale di luce uno dei più grandi architetti del Novecento, Piero Portaluppi, esponendo una rara documentazione fotografica della realizzazione di uno dei suoi progetti più affascinanti: la Centrale Elettrica Emilia di Piacenza, inaugurata nel 1929.

Portaluppi è stato tra i protagonisti di quella che unanimemente viene considerata una stagione aurea dell’architettura italiana: quella che accompagnò l’esperimento totalitario della Nazione, un esperimento che vide una netta compressione delle libertà individuali e un’espansione vistosissima dei poteri, delle prerogative e dello stesso contenuto emotivo dello Stato. Tale espansione si avvalse, per divenire chiaramente e mitograficamente visibile alla comunità, del talento degli architetti migliori, coinvolti in innumerevoli opere pubbliche, tra le quali possiamo annoverare, da una distanza che permette ormai obiettività storica, non pochi capolavori. Coinvolti, va ricordato, non in un canone rigido e conformistico, ma all’interno di una feconda polemica tra fautori del più terso razionalismo e difensori dell’immenso lascito stilistico della tradizione occidentale.

Portaluppi vince nel 1926 il concorso per il Piano Regolatore di Milano: tra i più eclatanti frutti della sua attività nella capitale lombarda citeremo il Palazzo INA e l’Arengario, quest’ultimo in collaborazione con Griffini, Magistretti e Muzio.

Architetto portato all’ironia e allo scetticismo, estremamente abile nell’intuire i desideri dell’alta borghesia del suo tempo, appagandone il gusto per la decorazione ma al contempo raffrenandolo entro la propria cifra elegante e sincretistica, Portaluppi rivive per così dire diaristicamente, senza alcuna enfasi semplificatrice, in queste fotografie scattate da Erminio ed Eugenio Manzotti lungo l’intera, complessa traiettoria che va dallo scavo delle fondazioni al compimento delle facciate.
Un’occasione ghiotta, Cattedrale di luce, per percepire l’architettura nel suo divenire calda, imprecisa, vulnerabile realtà, fuori di ogni astrazione didascalica.

METEORE

Marinella Pirelli

Dal 26.01.2013 al 09.03.2013

 

Un’artista che non rinunciò mai a sperimentare, Marinella Pirelli, celebrata attraverso le sue enigmatiche macchine luminescenti e i suoi raffinati lavori su carta. Giovedì 17 gennaio 2013 alle ore 17,30 presenteremo a Milano, al Teatro dei Filodrammatici, la monografia dell’artista scritta da Roberto Borghi e pubblicata da Mauri 1969 per Biffi Arte.

Sabato 26 gennaio 2013, alle ore 18.00, Biffi Arte inaugura Meteore, una mostra di Marinella Pirelli. Presso la Galleria piacentina verranno esposti disegni, dipinti video e “opere luminose” – le Meteore appunto – che l’artista scomparsa nel 2009 ha realizzato tra gli anni Cinquanta e Settanta. A quattro anni di distanza dall’ultima mostra importante dedicata a Pirelli, ospitata dalla Fondazione Mudima, Meteore, allestita a cura di Roberto Borghi, è un’occasione importante per riavvicinare criticamente un’artista dai molti talenti, da collocarsi con più chiarezza nella storia dell’arte tardo-novecentesca.

Meteore proseguirà sino al 9 marzo 2013.

Meteore è il titolo di una serie di opere “tecnologiche” create da Marinella Pirelli all’inizio degli anni Settanta: dalle superfici trasparenti di grosse scatole, nelle quali una fonte di luce scorre su strati sovrapposti di metacrilato, emergono immagini simili a corpi celesti. L’aggettivo “tecnologico” deve essere necessariamente scritto tra virgolette, perché i dispositivi elettromeccanici con cui sono realizzati questi lavori che hanno al centro una forma luminosa circolare, ma dall’assetto variabile e dalle molteplici opzioni cromatiche, sono davvero semplici, quasi primordiali.

L’utilizzo di strumenti meccanici, così come l’attenzione agli aspetti scientifici della dimensione iconica, ha indotto certa critica ad accostare sbrigativamente le Meteore all’ Optical Art. Tuttavia Marinella Pirelli non possedeva né l’entusiasmo per le tecnologie industriali né la tensione a scandire e dominare i processi percettivi che hanno caratterizzato le ricerche di ambito cinetico e programmato. «Quando si programma, si prevede, si predetermina, si prefigura», scrive Lea Vergine: le Meteore invece esortano ad abbandonare gli schemi visivi predeterminati, a lasciarsi coinvolgere in un dinamismo catartico. Forse il vero punto di contatto con quelle ricerche sta nel tentativo di manifestare ciò che la Vergine, nel catalogo della mostra L’ultima avanguardia. Arte cinetica e programmata, definisce «la seduzione della metafisica». Anche le opere di Marinella Pirelli, come quelle degli artisti optical, «ci ricordano assillantemente una realtà perduta, qualcosa come una vita anteriore al soggetto e alla sua presa di coscienza»: ma per rievocare questa condizione non abdicano alla loro pittoricità, non si assestano in una forma di «pittura senza disposizioni e sensibilità, di pittura senza qualità», com’è quella proposta dalle avanguardie cinetiche.

Le Meteore scaturiscono da un itinerario creativo che ha nella pittura energica, magmatica e radicalmente espressiva praticata da Marinella negli anni Cinquanta il suo principio e il suo costante riferimento. Negli anni Sessanta nascono poi dipinti che, secondo Flaminio Gualdoni, «manifestano il bisogno di definire l’immagine come grumo di colore-luce, come nucleo d’addensamento di una partecipazione emotiva al dato visivo». Questo grumo tende sempre più ad acquisire una forma e una valenza cosmica, si profila come una sorta di rappresentazione dell’origine, dell’essenza dei processi generativi, a sua volta in fieri. Un frammento di appunti inediti di Marinella, databili attorno alla metà degli anni Sessanta, permette di comprendere qual è la consapevolezza da cui scaturiscono le Meteore: «Ricordarsi che è la luce il messaggio captabile – più potente e più mobile – nell’universo».

La mostra presso Biffi Arte ricostruisce il percorso di intuizione e creazione delle Meteore attraverso disegni, dipinti e video in cui il «grumo di colore-luce» tende progressivamente a mutarsi, a diradarsi, sino a divenire immateriale e cangiante.

a cura di Roberto Borghi

progetto espositivo e allestimento, Carlo Scagnelli

coordinamento e comunicazione, Karl Evver

Presentazione della monografia su Marinella Pirelli

Il 17.01.2013, ore 17:30

 

Giovedì 17 gennaio, alle ore 17,30, nell’elegante foyer del Teatro dei Filodrammatici di Milano, si terrà una conferenza stampa per presentare Astri e Fiori, la monografia di Marinella Pirelli, scritta da Roberto Borghi, che Biffi Arte ha pubblicato in collaborazione con Mauri 1969. Nell’occasione sarà illustrata alla stampa milanese Meteore, la mostra che inaugureremo sabato 26 gennaio.

Meteore segna l’avvio di quello che sarà una sorta di anno pirelliano, che prevede anche uno spettacolo teatrale incentrato sulla figura di questa tenace sperimentatrice dell’avanguardia novecentesca.

Auguri in Galleria

Ettore Consolazione

Dal 22.12.2012 al 06.01.2013

 

Presentazione in Galleria del “Presepe Giocoso” dell’artista romano Ettore Consolazione. Un’opera composta da segni geometrici: triangoli, coni, sfere, obelischi….e sogni, disposti a scandire il ritmo di un mistero senza tempo: la Natività.

POLVERE GIALLA

Dal 15.12.2012 al 20.01.2013

 

Unʻesposizione dedicata allʼarte cinese del periodo Han (206-220 d. C.) e Tang (618-907 d. C. ), entrambi i periodi furono per la cultura cinese, momenti di radicali trasformazioni. Il percorso espositivo presenta sculture in terra cotta, provenienti da collezioni private, (dame di corte, guerrieri, giocatrici di polo, cavalli…) che rappresentano i testimoni della civiltà cinese. Le giocatrici di polo, eleganti nella posizione, sono esempio di raffinata eleganza ed emancipazione. Tripodi e cavalli suppellettili ritrovati nelle tombe, che accrescono la curiosità sul passato della Cina, questo immenso paese, ancora per certi versi, da scoprire.

Nello spazio dellʼantico nevaio sarà presentata una selezione di immagini, appartenenti alla preziosa e poco conosciuta raccolta-reportage di padre Leone Nani missionario del Pontificio Istituto Missioni Estere PIME – Centro di Cultura e Attivita’ Missionaria, in cui viene illustrato il contesto storico, gli usi e costumi, lasciandoci uno straordinario repertorio di immagini della Cina, di inizi Novecento.

Una sala sarà dedicata alla Cina del presente con il duo italo-cinese formato da Rosfer&Shaokun. Gli artisti presentano unʼinteressante serie di fotografie che meditano sul potere attraverso una riflessione sul contesto della Cina contemporanea. Gli scatti, subiscono un intervento incisorio e pittorico realizzato da Shaokun, secondo una tecnica originale da lei creata. Lʼartista è allo stesso tempo modella passiva davanti allʼobiettivo e attore del processo creativo, ma il suo viso tradisce smorfie che sottolineano il manifestarsi della propria individualità.

Inaugurazione: 15 dicembre 2012 ore 18.00
A cura di / Leda Calza / Elisa Molinari
Progetto espositivo / Carlo Scagnelli
Coordinamento e comunicazione / Lorenza Berzieri

Un Sogno in Galleria

Pietro Spica

Dal 08.12.2012 al 09.12.2012

 

Presentazione dei 12 acquerelli originali utilizzati per illustrare la Favola Biffi : Un Sogno in Galleria Papà Biffi e le sue dieci figliole

Paolo Biffi, il pasticcere milanese che fu tra gli artefici del moderno panettone, aveva dieci figlie e tutte lo aiutavano nella sua attività. Chi in cucina, chi dietro al banco, chi con un sorriso. Appena una delle figlie lasciava il banco per andare a marito ne compariva un’altra, e poiché tutte si assomigliavano, spesso accadevano comici equivoci…

La storia che vede come protagonista il marchio Biffi inizia molto tempo fa: esattamente, nel 1852. In quei tempi Milano poteva vantare un’antica e gloriosa tradizione gastronomica. La maestria dei fornai meneghini, i famosi prestinée e uffelée, era rinomata, e Paolo Biffi era uno di loro.

Nel 1852 apre l’Offelleria Biffi in corso Magenta, che diventa rapidamente un punto di riferimento non solo per i milanesi, ma anche per i viaggiatori buongustai di tutt’Italia e dell’Impero Austro Ungarico. Prima specialità era naturalmente il Panettone, che spediva in tutto il mondo assieme alle altre sue specialità: Paolo Biffi poté vantarsi di averne prodotti addirittura 18.000 chili in un solo Natale.

Nel 1984 l’azienda alimentare Formec, fondata nel 1966 da Pietro Casella, acquista il marchio Paolo Biffi, di prestigiosa tradizione nella pasticceria di qualità, e lo unisce con successo a quella delle sue specialità gastronomiche, con le sue salse e i suoi sughi e condimenti di squisita bontà.

Grazie a Formec Biffi la raffinata produzione di dolci e specialità gastronomiche, fino a ieri patrimonio esclusivo di pochi, è oggi alla portata dei buongustai di ogni parte d’Italia e del mondo, permettendo ad una favola semplice ed antica di continuare forte e moderna, per la gioia di tutti.

Someday you will be a memory

Kevin Kline

Dal 24.11.2012 al 09.12.2012

 

Kevin Kline è un fotografo autodidatta che lavora con la pellicola. Ogni sua immagine nasce nell’oculare della macchina fotografica: non vi è manipolazione successiva del fotogramma.

Nessuna scuola alle spalle, ma una grande ammirazione per alcuni grandi maestri della fotografia contemporanea: Diane Arbus, Richard Avedon, August Sander, Mike Disfarmer, e ancora William Eggleston, con la sua sensibilità per i soggetti marginali e per una natura colta nei suoi aspetti meno eclatanti, e Walker Evans, noto per il suo senso compositivo classico e intuitivo anche quando ciò che viene fotografato potrebbe essere considerato comune.

Kevin Kline è interessato a fotografare le persone comuni così come sono e dove si trovano. Non chiede loro di atteggiarsi né di mettersi in posa, perché crede nella dignità intrinseca all’arte del ritratto. New Orleans, dove Kline vive e lavora, è uno dei pochi luoghi in tutti gli Stati Uniti dove la gente non deve negare il proprio passato, dove convivono tradizioni, storie, architetture e culture, dove la tradizione abbraccia senza imbarazzo la contemporaneità.

Kline non è interessato a cogliere, attraverso le sue foto, quei particolari che fanno tanto vecchio stile, ma ci aiuta a trovare un collegamento con il passato inteso come la storia di ognuno di noi. Nei suoi scatti le persone sono còlte nell’attimo, ed di quell’attimo diventano protagoniste, con il loro fisico, le loro storie, la loro anima.

Mentre scorrono davanti ai miei occhi le sue fotografie mi viene in mente la confessione fatta dal grande designer ed architetto Ettore Sottsass nel suo libro Scritto di Notte: Io sono amico della gente incerta, perplessa, modesta, che cerca di capire e che è sempre nello stato di uno che non ha capito. Sono molto amico della gente che ha paura. L’impermanenza è legge universale e la vita è un enigma refrattario a qualunque volontà di potenza: soltanto alla fine del tragitto ci si accorge di come non fosse affatto chiara la ragione di tutto il nostro affanno.

Dedico queste parole a Kevin perché le ritengo un commento perfetto al suo lavoro che, come direttore di Biffi Arte ho voluto fosse presentato nella rassegna Eventi Speciali in occasione della grande mostra “ Nostalgia del presente” curata da Angela Madesani.

Carlo Scagnelli

Ritratti di persone, donne, uomini, bambini, ragazzi, bianchi,neri. Quelli di Kevin Kline sono racconti di un’ America con evidenti conflitti sociali e non solo: Street Photography.

I richiami ai grandi maestri della fotografia sono evidenti: Edward Weston, certo, ma anche Richard Avedon dei ritratti agli ultimi, ai diseredati e anche Diane Arbus. E’ come se Kline avesse filtrato le esperienze dei maestri per trovare un suo linguaggio personale. Il tutto con un bianco e nero che non è anacronistico, ma come una scelta linguistica precisa che pone in dialogo serrato passato e presente di un paese, gli Stati uniti, in tutta la sua eterogenea complessità.

Angela Madesani

Nostalgia del presente

Gabriele Basilico, Francesca Es, Ines Fontenla, Mauro Ghiglione, J&Peg, Antonio Marchetti Lamera, Paolo Parma, Fiorenzo Rosso, Alessandro Sambini, Guido Sartorelli, Mariateresa Sartori, Elisabeth Sche

Dal 10.11.2012 al 09.12.2012

 

Nostalgia del presente: sembra un ossimoro. Come e’ possibile avere nostalgia di quanto si sta vivendo in questo preciso momento?
Per rispondere a questa domanda, e’ impossibile non riandare con la memoria alla toccante poesia di Jorge Luis Borges dal medesimo titolo:
In quel preciso momento l’uomo si disse:
che cosa non darei per la gioia
di stare al tuo fianco in Islanda
sotto il gran giorno immobile
e condividere l’adesso
come si condivide la musica
o il sapore di un frutto.
In quel preciso momento
l’uomo stava accanto a lei in Islanda.
In ogni tempo gli artisti hanno sempre guardato al proprio presente con interesse, a volte con sofferenza, prendendolo come punto di riferimento per la propria ricerca. Un tempo veloce come il nostro, in cui tutto cambia con grande velocità, comporta un senso di perdita, di crisi, di paura. E i versi di Borges sono in tal senso più che mai attuali.

I 14 artisti invitati a esporre in Nostalgia del presente analizzano tutti – ciascuno obbedendo alla propria sensibilità e agendo nella propria disciplina – il nostro tempo: alcuni di loro denunciano con le proprie opere questo senso di spaesamento, in altri è evidente il tentativo di rispondere, attraverso la loro ricerca, a quanto sentono accadere intorno a loro. La mostra viene così ad essere occasione per riflessioni di diversa e mai banale natura: senz’altro utili in questo momento storico particolare, di crisi forse ancora più etica che economica, in cui la voglia di tutti pare essere quella di vivere il presente, affrancati da un passato talvolta oneroso, nel tentativo di non affrontare un futuro che ha poco di roseo.

In mostra sono rappresentati vari linguaggi contemporanei, dalla pittura all’installazione, dalla fotografia al video, e vi prevalgono quelli che potremmo definire paesaggi di un tempo sospeso. Che si tratti delle invenzioni di Fiorenzo Rosso o dei grandi paesaggi romani di Gabriele Basilico, come di quelli di Elisabeth Scherffig, il tempo, in queste opere, è davvero sospeso. Né esso riprende a scorrere per i personaggi storici di J & Peg; se poi andiamo alle vedute urbane di Antonio Marchetti Lamera, la forma, almeno nella sua definizione corrente, non esiste più.
Quelle di Mariateresa Sartori sono registrazioni grafiche dei diversi flussi umani: uomini, però, privi di una faccia, registrati nelle loro abitudini quotidiane. Le immagini di Francesca Es sono riflessioni di matrice esistenziale, cosa che si potrebbe dire anche delle installazioni di Mauro Ghiglione.
Di Lucia Veronesi è in mostra il recente, enigmatico video dedicato alla Finlandia. Partono invece dal tema architettonico di alcuni importanti musei italiani e internazionali, per giungere a un più ampio significato, le immagini fotografiche di Guido Sartorelli.
Le sculture di Carlo Vidoni sono una profonda quanto malinconica immersione nel tema della natura, dell’ecologia, così come il lavoro installativo dell’argentina Inés Fontenla, che è comunque analizzabile anche da una visuale geopolitica. Le opere video e fotografiche di Alessandro Sambini sono a tutti gli effetti narrazioni multiple in cui la riflessione sul nostro tempo è venata di una sottile ironia. Le immagini di Paolo Parma, infine, tutte dai toni molto scuri, sviscerano i dubbi esistenziali dell’uomo contemporaneo.

A cura di Angela Madesani

Il silenzio opaco

Matteo Massagrande

Dal 27.09.2012 al 04.11.2012

 

L’Universita’ Cattolica di Piacenza e Biffi Arte realizzano un evento insieme nell’ambito dell’iniziativa “La notte del ricercatore” edizione 2012, in occasione del festival del diritto a Piacenza.

Il 27 settembre alle ore 18 sara’ presentato presso la galleria Biffi Arte il libro “IL SILENZIO OPACO”, un racconto di Paolo Crepet ispirato a 14 tavole, cm.30×30 tecnica mista, dell’artista Matteo Massagrande. In galleria verranno esposte le opere originali riprodotte nel libro e saranno presenti gli autori a raccontarci il loro incontro artistico.

Il progetto nasce da un’idea di Silvia Forni, gallerista di Bologna e amica di entrambi, che conoscendo il rapporto di stima che lega da tempo i due artisti ha pensato di farli incontrare, ognuno con la propria arte in un connubio di parole ed immagini.

Nasce così “Il silenzio opaco“, un racconto di Paolo Crepet che si è lasciato ispirare dalla pittura e dalle atmosfere di quattordici opere di Matteo Massagrande appositamente realizzate per questo progetto.

Sogno e Confine

Alfredo Casali – Leonardo Cemak – Jean Michel Folon – Mario Giacomelli

Dal 22.09.2012 al 04.11.2012

 

Un maestro storico, un pittore, un fotografo e un disegnatore, protagonisti della ricerca estetica contemporanea, dialogano fra loro sul tema del sogno, dell’inconscio, della fantasia e delle visioni intime e misteriose che appartengono all’uomo e alle sue notti.

L’iconografia del sogno affonda le radici nella storia dell’arte antica, da Giotto a Dürer. Ma è in epoca romantica che il motivo del sogno diventa ricorrente nelle immagini degli artisti europei, a partire dal mondo tedesco (Böcklin in testa) per dilagare in ogni angolo del continente e segnare così la grande stagione romantica, fatta di inquietudini, paure e desideri inespressi.

La mostra intende allinearsi – nell’ottica longhiana delle catene ideali che allacciano la sensibilità degli artisti lungo secoli diversi – ai grandi esempi di arte fantastica, ma con sfumature che toccano retroscena esistenziali e visionari, letti da quattro interpreti della ricerca odierna che hanno aggiornato il senso per l’onirico piegandolo a nuove esperienze artistiche e a soluzioni che fluttuano dall’astrazione a certe suggestioni pop.

Accanto ai dipinti galleggianti nel blu notturno di Alfredo Casali, con le sue fiabe minime, ecco allora i paesaggi geometrici di un grande fotografo come Mario Giacomelli, che con Casali condivide il senso per l’equilibrio della composizione e un orizzonte in bilico fra realtà e immaginazione; avvicinati entrambi alle carte leggere di un maestro della visione lirica come Jean Michel Folon e di un pittore e disegnatore straordinario come Leonardo Cemak, creatore di universi narrativi, popolati di apparizioni inattese e storie invisibili.

Il tema del sogno sarà dunque leitmotiv di una indagine sulle visioni di questi autori a confronto che, mentre in alcuni casi – come per Cemak – si nutrono di citazioni letterarie, della grande poetica del bosco e della dimensione della favola, in altri – come per Casali – diventano pretesto per uno studio dello spazio nella composizione, dove il limite dello sguardo coincide e allude al senso eterno del confine.

Testo critico e curatela: Chiara Gatti
Allestimento: Arch. Carlo Scagnelli
Coordinamento: Lorenza Berzieri

The Turtle Lady

Joan Soncini

Dal 26.07.2012 al 21.08.2012

 

Joan Soncini, Ph.D., Psicologa e professoressa alla New York University è nata Washington. Fotografa e documentarista per passione si occupa di foto della natura in particolare del mondo marino di cui cattura e sottrae con poesia ed abilità spettacolari attimi che sanno dare irripetibili emozioni.

Profondamente amante dell’Italia, sempre in viaggio, piena di energia con il marito Mario, italiano di Parma, condivide l’amore per il mare sia esso quello dei Caraibi, nel loro buen retiro di Virgin Gorda alle Isole Vergini Britanniche che il Mediterraneo, nel loro rifugio italiano di Portovenere.
Joan e’ abilissima iorno graditissima nel giocare con la fotografia ed il computer con il quale sperimenta il meraviglioso intreccio tra arte e tecnologia in un’unica evoluzione dell’immagine.ù

Nel novembre 2000 e cinque alla presentazione della sua prima personale italiana a Parma, Claudio Del Monte scrisse senza errori: “nelle foto di Joan Soncini la bellezza dei soggetti ed il personalissimo modo di interpretarli regalano più emozioni al cuore che immagini agli occhi”.

Numerose mostre e pubblicazioni hanno come protagonista Joan nel mondo, in Italia a: Parma, Lerici e Tellaro, La Spezia, i luoghi dove il suo obiettivo fotografico e’ di casa.
La sua pubblicazione più conosciuta, Virgin Gorda: An Intimate Portrait è una raccolta di fotografie ed interviste con la quale ha saputo catturare la magia e l’anima della splendida isola caraibica. Il grande successo editoriale ha fatto di questo libro l’imperdibile guida per i visitatori dell’isola.
Attualmente Joan Soncini sta lavorando ad un volume che celebra il 50º anniversario di uno tra i più esclusivi resort di Virgin Gorda: Little Dix Bay.
Il nomignolo di “the Turtle Lady” John Soncini se l’è guadagnato con le migliaia di riprese marine ed i fantastici reportage delle “sue” tartarughe marine. Le fotografie che presentiamo in questa mostra ospitata nella sala eventi speciali della Galleria Biffi Arte di Piacenza sono un omaggio a questa amica del mare, al suo carattere solare e generoso ed al suo grande amore per le tartarughe marine, creature simbolo della materia dell’arte.
Dopo aver ammirato il lavoro di Joan ho riletto la favola di Esopo che nel sesto secolo a.C., a proposito della tartaruga scriveva: La tartaruga disse a Zeus: “Voglio una casa tutta per me, in modo che possa entrare solo chi dico io!”.
Esopo non poteva immaginare che invece in quella casa ci sarebbe stato posto anche per…Joan!

CENTO COLLAGE PER TREDICI GIORNI – COLLEZIONE PRIVATA

Sergio Dangelo

Dal 04.09.2012 al 16.09.2012

 

Incollate rapidamente, senza un soggetto prestabilito, tanto in fretta da non trattenervi, da non avere la tentazione di correggere. Il primo collage verra’ da solo.

(Sergio Dangelo Feat André Breton)

I collage di Sergio Dangelo
Arturo Schwarz

Ho conosciuto Sergio oltre mezzo secolo fa, ricordo che nel 1954 dedicai al suo lavoro un poemetto in francese, En clé de ré-si-vœux. Avevo subito riconosciuto nel precocissimo Dangelo – aveva appena compiuto 22 anni, e da anni era attivo nei gruppi d’avanguardia – un poeta e un surrealista doc. Ho seguito con felice ammirazione il suo itinerario umano e artistico, esemplare per il suo essere refrattario alle mode e per la sua coerenza. In arte come nella vita la chiave per vivere, nel senso che Rimbaud attribuiva a questa parola, sta nel rifiuto del principio d’autorità. Così come il segreto della creatività sta nell’obbedire, invece, al principio del piacere. Allora l’opera è quella scintilla nell’aria che cerca la polveriera – il voyeur – per far esplodere in lui l’emozione sconvolgente che accompagna la scoperta che il sogno è realtà.

Se vogliamo cogliere la valenza salvifica del lavoro di Sergio Dangelo dobbiamo tornare alla concezione di André Breton dell’automatismo psichico, nel quale egli riconosceva una tecnica che permettesse “di esprimere, sia verbalmente, sia per iscritto, sia in qualsiasi altro modo, il funzionamento reale del pensiero… in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione e al di fuori di ogni preoccupazione estetica o morale”. Difatti, per il Surrealismo l’importante era di esternare un modello interiore con il maggior grado di autenticità possibile, condividendo il detto di Shakespeare: “Questo anzi tutto, con te stesso sii sincero, e deve seguirne, come la notte al giorno, che non potrai allora essere falso con nessuno”.

L’ammonimento, che Shakespeare fa pronunciare a Polonius, costituisce la struttura etica della ribellione surrealista. Non si creda, però, che l’interesse surrealista per l’autenticità espressiva avesse una motivazione di carattere estetico. Per i Surrealisti la brama di conoscere il proprio Sé era motivata dalla volontà di cambiare il mondo e la vita. Conoscere se stessi per cambiare il proprio Sé, cambiarlo per potere cambiare il mondo. E sempre Breton precisava: “‘Trasformare il mondo’ ha detto Marx, ‘cambiare la vita’ ha detto Rimbaud: per noi queste due parole d’ordine fanno tutt’uno”. Bisogna aggiungere che Dangelo condivide il pensiero di Kant per il quale la bellezza di un’opera non dipende dal contenuto di cui essa tratta, ma dipende dall’armonia che essa eccita nella nostra mente.

Il lavoro di Sergio Dangelo e’ tributario di queste premesse ideologiche, e se le sue invenzioni pittoriche, come i suoi assemblage e le sue sculture sprigionano una tale carica poetica è proprio perché egli è fedele a questi imperativi. Si vedano, ad esempio, i suoi collage ispirati dalla poetica Duchampiana. Come Duchamp, Dangelo riesce a trasformare un frammento della vita quotidiana in un opera d’arte coniugando questi elementi in modo sapiente quanto poetico. Ognuno dei suoi collage è un “poema in pittura”, nello stesso senso in cui si dice un “poema in prosa”.

Arturo Schwarz
Luglio 2012

Note:
Il titolo e’ un gioco di parole, letteralmente: “In chiave di re-si-voto” (le due note musicali sono un omofono di récit=racconto; voto è preso nel significato di desiderio – l’essenza stessa dell’uomo, come ricordava Spinoza). Più tardi, nel 1962, gli dedicai un capitolo (scritto a 4 mani, le altre due erano le sue) nel mio Arte Nucleare.
“Manifesto del Surrealismo” (1924), in Manifesti del Surrealismo, trad. it. Liliana Magrini, Einaudi, Torino 1966, p. 30
Shakespeare, Hamlet, atto 1, scena 3
“Discorso al Congresso degli scrittori” (1935) in Manifesti…, cit., p. 17


Testo critico: Arturo Schwarz
A cura di: Carlo Scagnelli
Coordinamento: Lorenza Berzieri

Silicio

De Pellegrin – De Santis – Dioli – Hasegawa – Olivieri

Dal 12.07.2012 al 21.08.2012

 

SILICIO /le forme non permangono è, in sostanza, un percorso lungo l’opera di cinque artisti – DE PELLEGRIN/ DE SANTIS/ DIOLI/ HASEGAWA/ OLIVIERI – che conduce il visitatore a porsi molte domande sull’ambizione costruttiva dell’uomo. Il silicio è il secondo elemento più comune della crosta terrestre, ed è stato qui preso a simbolo dell’inesauribilità della materia cui l’uomo può attingere nella sua frenesia di azione ed edificazione. L’esibizione accomuna nel proprio percorso sia un’arte informale sia opere di figurazione, quasi a suggerire il dubbio che tale suddivisione abbia poca ragione d’essere, essendo ben più sostanziale, nell’uomo che fa, che fabbrica, che crea, una comune illusione di governare con le proprie mani e il proprio pensiero quell’incommensurabile quantità di materia che è il mondo.

Una mostra sicuramente connotata da una semplicità quasi religiosa dell’apparato e da un suggestivo superamento di categorie artistiche fin qui credute, se non veritiere, utili.

Testo critico e curatela: Jakob Shalmaneser
Allestimento: Arch. Carlo Scagnelli
Coordinamento: Lorenza Berzieri

L’uomo selvatico o dell’eleganza dell’animale

Romano Bertuzzi – Maurizio Bottoni – Andrea Boyer – Lorenzo Cardi – Girolamo Ciulla – Miranda Gibilisco – Giovanni Lacognata – Miguel Macaya – Florencia Martinez – Matteo Massagrande – Francesco Michi

Dal 31.05.2012 al 07.07.2012

 

Galleria Stefano Forni di Bologna e Biffi Arte di Piacenza hanno costruito questo progetto in sinergia spinti dalla comune passione per l’arte, con l’intento di offrire ai loro visitatori una proposta artistica su più livelli espressivi ed espositivi.

Il risultato dal carattere innovativo ed inconsueto nel panorama del mercato dell’arte italiana, è un’esibizione in contemporanea, in due sedi e a più voci, ciascuna tesa a raffigurare, nel propriomedium artistico e secondo la propria tenacia d’osservazione,lo splendore dell’esistenza animale.
A Bologna nella galleria Stefano Forni, spazio con una storia consolidata ed una visione sempre attenta alla nuove ricerche espressive.
A Piacenza nella galleria Biffi Arte, una nuova realtà espositiva cherappresenta un impegno forte di valorizzazione culturale che lega ilmarchio Biffi al mondo dell’arte.

A cura di Silvia Forni
Testo di Maurizio Stupiggia

NON E’. EFFIMERO | VIRTUALE

Igor Eškinja

Dal 21.04.2012 al 26.05.2012

 

Igor Eškinja nelle sue fotografie restituisce una dimensione che e’ simbolo di un mondo illimitato e indefinito come la realta’ virtuale e anonima della rete. Le sue immagini sono costruite in studio con materiali diversi e poi riprodotte come se dovessero essere guardate da molteplici punti di vista e su supporti digitali di diverse misure; come se fossero concepite per una vetrina pubblicitaria del web da visualizzare sull’I-phone o sull’I-pad.

Ma poi Igor Eškinja sceglie un solo punto di vista da cui proiettarle e osservarle. All’epoca dell’invenzione del Rinascimento la prospettiva rappresentava un ideale architettonico, che doveva essere etico oltre che estetico. L’uomo era al centro dell’universo e in dialogo con la comunita’. Anche oggi l’essere umano sta ripensando se stesso in relazione a bisogni e spazi nuovi che tengano conto, però, della tradizione. Gli intellettuali, gli artisti sono protagonisti di questa silenziosa rivoluzione. Nello studio che Igor Eškinja aveva a Venezia, citta’ della sua formazione artistica, al centro di una stanza appesa al soffitto c’era una scatola con un buco per guardarci dentro: all’interno grazie a giochi ottici era riprodotto lo stesso spazio, ribaltato.
Le sue opere ad un primo sguardo sembrano innocue. Dietro la calma e la bellezza armoniosa con cui vengono concepite celano in realta’ un enigma e chiamano in causa chi osserva. Come nella costruzione di un puzzle ogni gesto di chi cerca di comporre l’immagine e’ un’azione che l’inventore dell’immagine stessa ha eseguito prima di lui, così nelle fotografie di Igor Eškinja chi guarda l’opera e’ come guidato dalle sollecitazioni visive e percettive che l’artista ha usato per catturare la sua attenzione.   e’ il dialogo antico tra chi crea l’opera d’arte e chi la guarda.

E’ il rimando dell’arte a se stessa. Gli artisti sono profondi conoscitori di immagini usate e inventate dai loro predecessori: la loro maestria sta nell’assimilarle e farle proprie, per rinnovarle.
Igor Eškinja e’ un raffinato narratore di silenziosi racconti che costruisce sul filo sottile dell’equilibrio tra visibile e invisibile. Anzi, si potrebbe dire che per lui il mistero e l’enigma sono in  ciò che si percepisce e che sta davanti ai nostri occhi.
Nella sua opera Cut-out archipelagus, 2011 ha raffigurato su un rotolo di carta fotografica la silhouette di una finestra che si apre non sulla parete dello spazio espositivo, ma lungo il pavimento. Un doppio gioco in negativo-positivo che gli deriva forse dalla tradizione dell’arte ottica in Croazia, il suo paese d’origine; una dimensione percettiva che non l’ha isolato dal contesto storico di violenza vissuto dal suo paese, ma che lui ha trasformato in chiave simbolica: la forma che viene percepita come una finestra e posta su un pavimento, diventa l’apertura di una botola, di un buco nero. e’ lo stesso procedimento che lo porta a pensare le sue opere nello spazio asettico e bianco di un museo e di una galleria che nel suo caso diventa come una proiezione della dimensione  anonima in cui si trovano le immagini quando vengono “caricate” negli spazi virtuali della rete.
Il gioco percettivo s’e’ rafforzato durante il periodo a Venezia quando Igor Eškinja ha trasformato la visione dei palazzi riflessi nell’acqua in fantastiche architetture effimere fino a elaborare in quest’ultimo decennio un raffinato percorso di rimandi tra le sue stesse opere, che si svolgono come parte di uno stesso racconto ma che potrebbero far parte di un  “indice” di memoria duchampiana o delle parti di un inventario alla Perec.

Il leitmotiv, però, e’ la visione: cosa ci aspettiamo di vedere e cosa vediamo veramente in quelle immagini.
E’ sempre la nostra immaginazione – di spettatori chiamati a essere suoi complici – a essere coinvolti perché l’opera possa essere completa. L’artista esprime bene questo meccanismo in Laboratory. Igor Eškinja ha estrapolato il particolare di quest’immagine che mostra figure dal busto in giù nel libro Instituiton Building edito dalla Whitechapel. Si tratta di una classe di ragazzi in visita a una mostra di Eva Hesse.

In realta’ il significato di quest’opera sta piuttosto in quanto non viene dichiarato. Questi corpi decapitati, privati della propria identita’, rimandano all’anonimato dei media di oggi, alla rete dietro cui si ci può nascondere, ma anche alla tragedia di una generazione che ha vissuto una guerra assurda. Lontano da un senso tragico dell’esistenza Eškinja maschera un’immagine violenta con una patina di bellezza, amplificandone il significato simbolico; mentre in Somewhere in East Europe va contro il luogo comune che la cultura e l’espressione artistica dell’est sia depressa e triste.
Igor Eškinja entra ed esce dalla realta’ e dalla storia dell’arte. Usa citazioni colte con ironia: Duchamp e la ruota di bicicletta diventano un motivo di divertimento intellettuale, ma i tappeti di polvere che ha esposto a Manifesta nel 2008, al Kunstmuseum di Vienna nel 2009 e ora a New York al Mad Museum, vanno oltre la citazione del grande vetro: composto dal pulviscolo della stanza in cui l’artista lo compone, il tappeto e’ effimero e reale allo stesso tempo, e’ allo stesso tempo traccia fisica e concettuale del luogo e della sua memoria. La versione esposta all’ingresso del Kunstmuseum era il simbolo provocatorio della transitorieta’, dell’illusione e della precarieta’: il luogo dov’e’ conservata l’arte di una nazione e la creazione in polvere adagiata su un foglio di carta che può essere spazzata via in qualsiasi momento. “L’occhio segue le vie che nell’opera gli sono state disposte”, scriveva Paul Klee nei suoi Pädagogisches Skizzenbuch.

Non sono gli elementi di ogni singola opera a determinare l’insieme della composizione o dell’immagine, ma viceversa. Nelle due fotografie intitolate Surface l’illusione della visione e’ molteplice: c’e’ l’inganno della pittura, quella del giardino artificiale di Monet, cui le fotografie s’ispirano, e quella della memoria. La polvere di cui e’ composta l’opera prima di essere fotografata viene da una fonderia in Croazia, e’ la memoria del luogo, ma anche degli uomini che nella fonderia hanno lavorato.
Le onde che si percepiscono nell’immagine e che mimano pennellate di colore sono strati di polvere stesi per terra, manipolati con le dita dell’artista fino a sembrare onde e poi fotografate da una speciale angolazione per rafforzare l’idea dell’acqua e del suo movimento. Il gesto pittorico finto, come il giardino di Monet.
Giocare con i significati e i contenuti, con la realta’ e la finzione. Real Imaginery Simbolic 2 e’ un trittico tradizionale: non sappiamo cosa c’e’ dentro questi cesti simili a quelli della spazzatura. Ciò che conta e’ l’immagine e come viene fruita. “Il contenuto e’ un colpo d’occhio su qualcosa, un incontro come in un lampo – sembra dirci l’artista con le parole di Willem De Kooning -. E’ minuscolo… e’ una minuscola cosa, il contenuto”.

Igor Eškinja concepisce queste opere perché vengano osservate dalla realta’ virtuale del web e vince la scommessa dell’immagine. e’ una realta’ che puoi solo percepire, ma non puoi modificare. e’ ancora una volta ciò che non si vede a svelare il segreto della forma, la sua proiezione nello spazio. Come nell’opera Made in:Side, 2007. e’ la proiezione simbolica di uno spazio ideale. Cosa ha più importanza: ciò che vedo tracciato con il nastro adesivo e poi fotografato sulla parete o ciò che e’ ricostruito artificialmente (forzatamente inclinato dall’obiettivo) sul pavimento? Non c’e’ una risposta. L’arte non ha mai preteso di darne.
Suggerire, giocare e rilanciare la posta. Il dibattito resta aperto come in Panel Discussion che Igor Eškinja ha realizzato nel 2010, la fotografia di tappeto azzurro srotolato su cui stanno alcune piccole sedie vuote, in attesa. Un invito ironico, più che una provocazione, un ulteriore interrogativo senza risposta, che riporta al centro del dibattito la questione sull’essenza dell’arte e sul potere simbolico ed evocativo delle immagini.

Testo di Rachele Ferrario
A cura di Federico Luger

Così si vendeva

Dal 21.04.2012 al 26.05.2012

 

Foto storiche dal Museo per la Fotografia e la Comunicazione Visiva di Piacenza.

Inaugurazione Sabato 21 aprile dalle 18.00 alle 24.00

Quando l’arte e il commercio si incontrano la città si tinge di blu

NOTTE BLU Sabato 21 aprile 2012
Gallerie, librerie, pub e ristoranti aperti fino alle 24,00

Tra colore e segno

Bruno Cassinari

Dal 10.03.2012 al 14.04.2012

La Galleria Biffi Arte in collaborazione con il Rotary Piacenza Farnese, vuole ricordare e celebrare la figura dell’arista piacentino Bruno Cassinari, nel centenario della nascita (1912-2012) e nel ventennale della morte 1992, con un’ importante mostra allestita negli spazi della propria Galleria di via Chiapponi 39 a Piacenza.

L’esposizione, attraverso opere realizzate negli anni Quaranta, Cinquanta e Sessanta documenta e pone in evidenza il percorso maturato dall’artista a partire dalla pittura nata e sviluppatasi nel clima milanese di “Corrente” (nella cui bottega tiene la sua prima personale nel 1940) e del “Fronte nuovo delle Arti” (dalla cui compagine sara’  uno dei primi a staccarsi) per approdare a una produzione artistica piu’ attenta e vicina agli esiti espressivi delle avanguardie europee e soprattutto alle suggestioni del grande artista spagnolo Pablo Picasso nel secondo dopoguerra.
Sono tutte opere gia’  esposte in mostre di rilievo tenutesi in Gallerie nazionali e internazionali, oltre a cio e’ di evidente e grande interesse il fatto che alcune di esse abbiano costituito quel nucleo esposto nel 1950 nella mostra che Cassinari tenne presso il Castello Grimaldi di Antibes, sede del Museo voluto da Dor de la Souchere, successivamente denominato Musee Picasso.

Si tratta di oli su tela di grande ricchezza cromatica i cui soggetti – il porto di Antibes, le figure e le nature morte – sono come ricostruiti per sintesi di piani frontali frammentati e appaiono chiaramente come nati dalla frequentazione dell’artista di quei luoghi marini intrisi di quella “Joie de vivre” mediterranea (per altro titolo di un’importante tela picassiana conservata nel castello) colta e celebrata con grande consapevolezza: “La mia pittura non potra’  mai essere staccata dalla gioia e dalla presenza delle cose. Credo troppo nel colore del mare, davan: al quale lavoro per tan: mesi, credo troppo nello splendore delle foglie, nel calore dei volti umani, perche’ essi non vengano avanti, con prepotenza nel mio lavoro”.

Bruno Cassinari (1912-1992) nasce a Gropparello (Piacenza), frequenta la Scuola d’Arte Gazzola di Piacenza per diventare incisore in gioielleria, e gia’  in questo periodo comincia a dipingere e a scolpire, modella la madre, che tanto lo incoraggiava. Nel 1929 si trasferisce a Milano dove frequenta l’Umanitaria e l’Accademia di Brera diplomandosi nel 1938 con Aldo Carpi. partecipa a diverse collettive e tiene in seguito la sua prima personale a Milano alla Bottega degli artisti di Ernesto Treccani, presentato da Elio Vittorini. Protagonista di molte edizioni della Biennale di Venezia, sempre presentato da critici prestigiosi, spesso invitato alla manifepenta di Kassel, Cassinari e’ stato nel dopoguerra uno degli artisti italiani piu’ conosciuti all’estero, dove la sua opera ha sempre ricevuto l’apprezzamento dei maggiori critici ed artisti europei, fra cui Chagall, Paul Eluard e Picasso, che volle presentarne la mostra di Antibes.

Catalogo con testo di Luigi Sansone
Coordinamento: Leda Calza – Elisa Molinari

Lux Fecit – Piccoli momenti di beatitudine

Andreas Perlick

Dal 10.03.2012 al 14.04.2012

La Galleria Biffi Arte, sabato 10 marzo, ore 18.00, inaugura la personale del fotografo tedesco Andreas Perlick.
Senza dubbio la luce è la forza primaria che rende possibile la fotografia.
E’ riflessa dal mondo e percepita dai nostri occhi oppure dalla materia sensibile come la pellicola fotografica. Questo è stato da sempre insito nella definizione “disegnare con la luce”. Ma è risaputo che ogni medaglia possiede due lati: Semplicemente la luce ci può fornire informazioni importanti sul nostro mondo ma non riuscirà a darci immagini forti ed emozionanti.
Il secondo elemento che contrasta la luce e ne definisce la qualità dell’ azione è l’ombra, la fidata amica dei fotografi cultori del Bianco & Nero.
Col suo lavoro fotografico Andreas Perlick esplora questa dicotomia di luce ed ombra al fine di scoprire tesori visivi nel mondo attorno a noi. Concentrandosi su momenti molto speciali nei quali luce e ombra permettono piccoli sguardi nel magico che spesso si nasconde nelle cose del mondo, ci permette di entrare in un ambito di bellezza e meditazione. Questo è il mondo alternativo attorno a noi che Minor White potrebbe aver avuto in mente quando scriveva “non si dovrebbero fotografare le cose per quello che sono ma per ciò che rappresentano d’ altro”. Il “focus” di questo lavoro non sta nella veduta stupefacente di destinazioni esotiche: tanto nella natura quanto nei contesti urbani l’ambizione di Perlick mira sempre ai dettagli, ai piccoli spazi.
Ma, pur mostrando solo piccole sezioni del mondo, queste tendono ad avere il carattere di dettagli che danno l’idea del tutto all’ occhio sensibile di chi guarda la piccola, intima immagine fotografica. In molti casi si ha l’idea che la ragione principale dell’ immagine non sia quella parte di mondo ritratta, ma che lo scopo insito sia di attivare significati individuali, idee, memorie, persino sentimenti in chi guarda.
Agiscono come finestre sul proprio mondo interiore, perciò traducendosi in significati marcatamente diversi tra i vari individui.L’intenzione è ulteriormente supportata dalla divisione del suo lavoro per serie.
Il focus su di un tema mediante un certo numero di stampe fa scoprire tratti caratteristici e significati reconditi che la singola immagine difficilmente rivelerebbe.

Queste idee sono molto concisamente riassunte nel titolo programmatico del lavoro di Andreas Perlick “Chiaroscuro- piccoli momenti di beatitudine”.
Qui un video di Andreas Perlic.

Coordinamento: Leda Calza – Elisa Molinari

Sal Is Racer

Salvatore Scarpitta

Dal 21.01.2012 al 29.02.2012

La Galleria Biffi Arte sabato 21 gennaio alle ore 18.00 inaugura l’esposizione Sal is Racer, dedicata all’artista Salvatore Scarpitta e a un particolare aspetto della sua vita e produzione artistica: la passione per le auto da corsa, che gli venne da ragazzo quando agli inizi degli anni Trenta prese ad assistere alle corse d’auto presso il circuito Legion Ascot Speedway, a Los Angeles; l’incontro con i piloti, i meccanici e la frequentazione dell’ambiente sono stati di fondamentale importanza nella vita e nell’arte di Scarpitta. Verra’  presentata una selezione di opere: dipinti, disegni, fotografie e video tra cui Sal is Racer, uno psicodramma in cui lo stesso Scarpitta recita, tra fantasia e realta’ , la parte di un uomo che immagina di essere prima un artista, poi un pilota di auto da corsa e infine si estranea completamente dalla realta’  del mondo. In questa importante mostra sara’  esposta, per la prima volta in Italia, anche Sal Ardun Special, un’auto da corsa realizzata dall’artista nel 1983 modificando la versione precedente del 1964. Salvatore Scarpitta (23 marzo 1919 – 10 aprile 2007) e’ nato a New York e cresciuto a Los Angeles. Nel 1936 si traferisce in Italia dove si diploma all’Accademia di Belle Arti di Roma, nel 1940. Milita nell’esercito e nella Marina degli Stati Uniti durante la Seconda Guerra Mondiale come “Monuments Man”, cercando, conservando e catalogando le opere d’arte trafugate dai nazisti. Dopo la guerra, Scarpitta e’ rimasto a Roma dove conosce il gallerista di New York Leo Castelli con cui stringe un rapporto di lavoro e di amicizia che prosegue e si consolida nel tempo, nel 1959 l’artista si trasferisce definitivamente a New York dove tiene una mostra personale proprio alla Galleria di Leo Castelli. A partire dal 1964 realizza le Automobili da corsa: macchine interamente progettate e costruite dall’artista, agglomerando materiali eterogenei, ma riproducendo i modelli delle auto del passato e dotandole in alcuni casi di un vero e proprio motore funzionante. Dedicata alle automobili da corsa e’ la mostra personale da Leo Castelli nel 1965 dove Scarpitta espone il suo primo esemplare, Rajo Jack Special. Nell’estate del 1985 Scrpitta realizza nel suo studio-garage di Baltimora, nel Maryland, uno dei sogni di gioventu’:la costruzione di una macchina da corsa (dirt track racer), capace di competere sulle piste in terra battuta del Maryland e della Pennsylvania con i maggiori campioni del momento. Nel 1993 partecipa alla Biennale di Venezia con una sala personale in cui oltre all’auto da corsa Racing Car espone una serie di opere dell’ultimo ventennio.

Catalogo con testo di Luigi Sansone
Coordinamento: Leda Calza – Elisa Molinari

Presepio

Emanuele Luzzati

Dal 26.11.2011 al 14.01.2012

La Galleria Biffi Arte, in collaborazione con il Museo Internazionale Luzzati di Genova e il Teatro Gioco Vita di Piacenza, inaugura il periodo natalizio, sabato 26 novembre ore 18.00, con l’esposizione dell’opera di Emanule Luzzati dedicata al tema del presepe. La mostra sara’ l’occasione, anche quest’anno, per apprezzare l’interpretazione artistica di un tema, quello del presepe e della sacra famiglia, carico di simbologia e tradizione.

Nella sezione Fotografia e Video della galleria saranno visibili opere che testimoniano il lungo rapporto di Luzzati con Teatro Gioco Vita: bozzetti delle sagome e disegni realizzati per alcuni spettacoli di teatro d’ombre, insieme a manifesti e locandine disegnati per le rassegne teatrali e le stagioni organizzate sul territorio dal Teatro diretto da Diego Maj. Materiali che raccontano un sodalizio artistico unico nel suo genere, avviato nel 1978 e proseguito negli anni con la creazione di nove spettacoli e numerosi altri momenti di collaborazione.

Sarà presente un ricco bookshop con materiale audiovisivo, libri, stampe, manifesti e teatrini

L’asino d’oro

Giuliano Della Casa

Dal 19.11.2011 al 14.01.2012

La Galleria Biffi Arte sabato 19 novembre alle ore 18 inaugura la mostra personale di Giuliano Della Casa dal titolo L’asino d’oro. Verra’ presentata una selezione di opere dell’artista dagli anni ’90 ad oggi: tele, acquerelli, libri, ceramiche.

Giuliano Della Casa nasce a Modena nel 1942. Pittore, ceramista, curatore di libri preziosi, ha studiato tra Modena (la scuola d ‘arte A. Venturi) Bologna (l’Accademia di Belle Arti) e Monaco (l’Accademia di Monaco di Baviera), ma decisivo per la sua formazione e’stato l’incontro con Adriano Spatola (1965) e il rapporto tra pittura e poesia, che rimarra’ una costante nel suo lavoro nel trentennio successivo. Collabora con numerosi scrittori e poeti, per i quali realizza illustrazioni e copertine: per Einaudi, Bollati Boringhieri, Feltrinelli, Rizzoli ecc… (collabora costantemente ad “Il Verri” di Luciano Anceschi). L’attivita’  espositiva inizia nel 1966 in Italia, Europa, Stati uniti, Canada. Sta realizzando presso la bottega Gatti di Faenza una serie di ceramiche che saranno esposte a Torino nel 2013. Vive a Modena e Los Angeles (CA).

Catalogo cin testto di Paul Vangelisti
Coordinamento: Leda Calza – Elisa Molinari

Dipingere?

William Xerra

Alessandro Nidi – Gianluca Zuin

Dal 15.10.2011 al 12.11.2011

La Galleria Biffi Arte sabato 15 ottobre alle ore 18 inaugura la mostra antologica di William Xerra dal titolo Dipingere?.Verra’  presentata una selezione di opere dell’artista dagli anni sessanta ad oggi: tele, disegni, fotografie, video, installazioni, libri-oggetto.

In occasione di questa importante personale saranno pubblicati da Biffi Arte due cataloghi: uno relativo alle opere grafiche e pittoriche, con un testo di Marcel Alocco; l’altro dedicato alla poesia visiva, alla performance e alla selezione video-fotografica con un testo di Angela Madesani.Tutta l’opera di William Xerra e’ rivolta tra il segno poetico e quello pittorico, anche quando, negli anni settanta, tra happening, performance e video, concepisce una serie di opere strettamente “concettuali”. Nel 1967 approda alla poesia visiva, grazie alla frequentazione di poeti ed intellettuali del Gruppo 63. Dal 1972 il “VIVE” accompagnera’ , a fasi alterne, tutta l’opera dell’artista. Altro motivo conduttore dell’opera di Xerra sara’  poi il frammento, in grado di significare i percorsi e le memorie dell’esperienza quotidiana. Un altro elemento caratterizza lo stile dell’artista: il telaio interinale, adottato nel 1975, che evidenzia i limiti provvisori entro i quali e’ realizzata l’opera e che, grazie alla sua provvisorieta’ , agisce sul frammento velando e svelando, coprendo parti di superficie e rivelando l’importanza dell’assenza. Degli inizi degli anni settanta sono: la “Verifica del miracolo” con Pierre Restany, le “Buste riflettenti”, i “libri-oggetto”, l’intervento su lapidi dismesse – con specchio che sostituisce l’immagine del defunto – e i “Poemi flipper” eseguiti con il poeta Corrado Costa. Quando agli inizi degli anni ottanta Xerra ripensa alla pittura tutte queste esperienze tornano nel quadro, inteso come luogo di raccolta incessante di azioni, citazioni, appunti.Nel maggio 2002 l’artista presenta, alla Fondazione Mudima di Milano, il manifesto IO MENTO, letto da Pierre Restany e poi discusso, nel mese di settembre, in un convegno nazionale presso l’Auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano, al quale partecipano Andrea Borsari, Andrea Bortolon, Antonio Calbi, Giorgio Celli, Giulio Ciavoliello, Gillo Dorfles, Eugenio Gazzola, Loredana Parmesani, Pier Aldo Rovatti, Aldo Tagliaferri. Il concetto dell’IO MENTO, per Xerra, in questi ultimi anni diventa dominante. Lo stesso artista afferma: “Da molti anni ho la necessità di prendere distanza dall’opera per una posizione fortemente autocritica. Entrare nel suo mistero ed affermare, per paradosso, la sua legittimazione ad esistere. Con IO MENTO sono consapevole della mia messa a nudo nella dimensione dell’essere e dell’agire. Gillo Dorfles, nel testo per il Convegno Nazionale, scrive: “…guardare in faccia l’epoca che attraversiamo: fatta di falsita’  e falsificazioni sociali, politiche, religiose; eppure carica di fermenti che forse domani potranno contribuire alla realizzazione di opere non piu’ menzognere; di opere che corrispondano – come quelle di Xerra – a una loro autonoma verita’. ”

Nato Oggi

Mauro Patrini

Dal 17.09.2011 al 08.10.2011
La Galleria Biffi Arte di Piacenza, sabato 17 settembre alle ore 18 inaugura la personale di Mauro Patrini, dal titolo Nato Oggi. Il suo percorso artistico e’ l’evoluzione di pensieri ed emozioni che mettono al centro l’essere umano, la sua natura e la sua capacita’ di ascoltare e di comunicare. Le prime opere, Le Citta’ , nascono inizialmente dal desiderio di dare voce ad un bisogno personale: un forte senso di disagio, di insofferenza che lo spinge alla ricerca di un modo per lenire il continuo senso di insoddisfazione. E la sua fiducia ricade sull’essere umano e sulla sua tendenza all’empatia. E la citta’ diventa il simbolo di quella umanita’ capace di infondere un senso di accoglienza e di appartenenza. Ma la realta’ e’ altra: la tendenza dell’uomo al disfacimento e all’autodistruzione, testimoniata da questo nostro tempo caotico, violento e insensibile, prevale sulla sua capacita’ di comprendere cosa provino gli altri; pertanto egli prende le distanze da quel mondo in cui avrebbe dovuto riporre la sua fiducia. La mostra rappresenta la naturale evoluzione del pensiero di Patrini: l’uomo non e’ perduto, ma per recuperare la sua dimensione umana deve ritrovare i valori, le emozioni e le sensazioni che lo resero grande in epoche ormai remote. E’ questa la prima volta che Patrini espone i suoi lavori in scagliola e a questo si deve il titolo della mostra, “Nato oggi”; essa segna il punto di partenza di un nuovo percorso artistico volto a valorizzare le potenzialita’ espressive della scagliola, una tecnica nata nel Seicento con finalita’ decorative e che l’artista decontestualizza per riproporla in chiave moderna. La tecnica delle scagliola, come tutte le tecniche antiche, porta in se’ una carica emotiva e artistica che chi la osserva, pur ignorandone la storia, riesce a percepire. Una forza comunicativa che la mostra cerca di fare emergere nel percorso espositivo. La scagliola, simbolo di virtu’ lontane nel tempo, viene rivista in chiave contemporanea quasi fosse un vecchio saggio portatore di un insegnamento che il mondo moderno non puo’ ignorare. Un messaggio che si esprime sia attraverso una sintetica comunicazione verbale, ma che si traduce soprattutto in sensazioni tattili e visive che riportano l’uomo ai primordi della comunicazione stessa, come un filo invisibile che unisce il passato al presente e al futuro. L’uomo sembra infatti aver dimenticato l’aspetto istintuale del suo essere e ha privilegiato solo quell’aspetto intellettivo che da esso si e’ evoluto; le opere piu’ recenti cercano invece di risvegliare nell’uomo la sua capacita’ di emozionarsi, positivamente o negativamente, combinando elementi che facciano leva sia sulla sfera sensoriale che intellettiva. La tecnica antica, le superfici levigate, i colori, carichi talvolta di un valore simbolico, le parole, le forme, i materiali, tutto concorre a far emergere nell’uomo la consapevolezza di quali sono i mali del nostro tempo e a trovare un canale comunicativo con l’altro attraverso il quale lasciar fluire una serie di pensieri, idee, emozioni e sensazioni che ricordino all’uomo qual e’ la sua vera natura, affinche’ possa recuperare il senso di cio’ che e’ stato e che ancora potrebbe essere se solo si rendesse conto che l’essere conta piu’ dell’avere.

Nato Oggi

Mauro Patrini

Dal 17.09.2011 al 08.10.2011

La mostra e’ una sintesi antologica sulla ricerca artistica di Ugo Locatelli attraverso opere e progetti realizzati con diversi mezzi dal 1962 a oggi: dalle immagini fotografiche vintage degli anni ’60 a quelle piu’ recenti, dalle installazioni a interventi in spazi pubblici, dalle mostre portatili alle mappe e ai libri, dalla scrittura al disegno, dai light box alle videoproiezioni.

Sul titolo della mostra l’autore commenta: “Un istante continuo accosta due parole che apparentemente esprimono concetti opposti: nella vita quotidiana il tempo, diviso in istanti-frazioni per esigenze pratiche, non coglie il continuo fluire della vita; il flusso e’ il tempo della coscienza, che scorre continuamente intrecciato all’istante precedente e a quello successivo. Inoltre richiama il termine istantanea, il cui tempo di posa e’ si’ molto breve ma, nel mio lavoro, e’ come un frame del film che continua da quando ho iniziato a fotografare”.

Ugo Locatelli esplora dal 1962 l’immagine come intreccio di segni e possibilita’  di produrre una sospensione di senso, di riaprire ogni situazione visiva che si presenti come definitiva. Una ricognizione nella quale il linguaggio fotografico non viene utilizzato per certificare l’esistenza di un elemento concreto, ma come metodo operativo per osservare e intensificare il visibile, e come strumento di riflessione dello sguardo (guardare il proprio guardare). Un’arte ‘generativa’ che promuove il contatto con il ‘reale’ oltre l’apparenza delle cose. Dal 1965 al 1972 una serie di mostre in Italia e all’estero segnalano le modalita’  d’uso del linguaggio visivo, e alcune risonanze con il metodo di scrittura di Raymond Roussel, il pensiero di Marcel Duchamp, le indagini sulla realta’ di Yves Klein, Rene’ Magritte e Piero Manzoni. Sono inoltre significativi i progetti realizzati con l’artista francese Ben Vautier del movimento Fluxus (Festival internazionale Non-Art, nel 1969) e con lo scrittore Sebastiano Vassalli (Teatro Uno – Il Mazzo. Il gioco del teatro del Mondo, esposto alla Biennale di Venezia del 1972 nella sezione “Il libro come luogo di ricerca”). Dal 1972 Locatelli intensifica la riflessione e lo studio sul significato di opera d’arte nel mondo contemporaneo e sull’interazione fra i saperi. Dal 1997 sviluppa il concetto “Areale”, verso un’ecologia dello sguardo e del pensiero. L’autore definisce areale un intreccio continuo fra mondo esterno e mondo interiore; lo spazio sottile, ma infinitamente grande, fra realta’  e letture della realta’ . Un campo sfumato fra reale e irreale, o diversamente reale, nel quale l’apparenza e’ la superficie di un giacimento da esplorare. Un percorso mai finito o finale, popolato di cose che ci sono e si vedono, di cose che ci sono ma non si vedono, di cose che si vedono ma non ci sono (www.areale.it). Una pratica artistica che promuove la consapevolezza dello sguardo attraverso slittamenti di prospettiva e che mette continuamente in dubbio l’esclusivita’  dell’autore: ogni immagine, singola o multipla, non e’ un’opera - finestra chiusa in se stessa, ma uno schermo che si apre a possibilita’  di nuovi significati, perche’ “lo sguardo ha innumerevoli punti di vista”. Il percorso espositivo si snoda a ritroso in cinque sale della Galleria Biffi Arte, con una selezione di opere dal 2011 al 1962: light box, video, stampe fine art e vintage, originali multipli, oggetti. La sintesi antologica e’ guidata da schede informative e integrata con documenti visibili per la prima volta in una raccolta organica: schemi progettuali, manoscritti, glossari, pubblicazioni, tesi di laurea svolte sia sulla ricerca attuale dell’autore che sul suo lavoro nel decennio 1962 -1972.

Doppia personale

Valerio Spagnoli e Marco Piersanti

Dal 01.07.2011 al 30.07.2011

Valerio Spagnoli è un fotografo ‘realistico’. Non c’è nulla di costruito, di falso nelle sue immagini. I suoi scatti sono ‘ordinari’, frames di vita comune, quotidianità. Predilige ritratti e tra le persone spesso sceglie proprio quelle che normalmente non notiamo, quelle che lui chiama gli invisibili. Parte essenziale della sua poetica è l’interazione con i soggetti che ritrae, con cui costruisce legami che diventano percorsi e azioni comuni. Per il suo lavoro la luce e il colore ‘reali’ sono fondamentali. Vuole mostrare solo quello che è, i giochi di luce e le tonalità di colore che tessono il reale visibile. Ma cosa succede quando non possiamo vedere nulla? Se i miei cinque sensi sono la mia particolare modalità di avere un mondo, senza la vista (o con una vista estremamente ridotta) quale mondo possiedo?Nell’oscurità della cecità vedo con il sogno, la memoria, l’attività inconscia, ma anche con la coscienza di me stesso, acuita dagli altri quattro sensi ben vigili, che mi restituisce il corpo come essenza della mia esistenza, luogo originario dell’accadere e del concretizzarsi della mia vita con l’altro da me. So che è un corpo mutilato, deprivato di un senso, che forse in passato ho sperimentato o forse no, e prosciugato dall’esperienza visiva, mi rimanda un’immagine scarnificata, senza il sangue e il colore della vita, che percepisco come un bassorilievo, coi toni grigi e le ombre del metallo scavato. Ma posso ancora ascoltare gustare annusare toccare e pensare sognare immaginare e correre cantare ridere amare e… (testo di Adriano Corsi)

Amore e sofferenza. Due facce di una stessa medaglia che gli esseri umani continuano a ruotarsi tra le dita guardando l’una, l’altra o abbracciandole entrambe con un unico sguardo. «L’amore e’ la risposta» (Woody Allen) e l’uomo, per sua natura, e’ alla continua ricerca dell’amore e delle risposte che puo’ dare. Guardare negli occhi questi appassionati cercatori e fermane i pensieri e il sentire e’ il fulcro della riflessione artistica di Marco Piersanti che, tanto per restare in tema, si e’ innamorato di questo osservare l’animo umano che intrappola in scatti fotografici rielaborati in photoshop con un certosino lavoro di fotoritocco pixel per pixel. Il bagaglio di pittore che Piersanti si porta sulle spalle trova sublimazione nella fotografia che non viene abbandonata alla casualita’  dello scatto, ma per cui viene usato un approccio pittorico di intervento sull’immagine vestita di una dimensione diversa dalla originale. Capire questo modo di lavorare significa guardare al background dell’artista dagli approcci alla pittura fino al suo affrancamento da una forma espressiva non piu’ aderente al suo sentire. Il percorso verso la pittura all’immagine fotografica, in Piersanti, nasce dall’anelito dell’artista a una forma di espressione il piu’ confacente possibile al suo pensiero. Cedendo il passo a una pittura piu’ dinamica, il figurativo delle prime opere e’ stato via via contaminato dalla fotografia, prima con sporadici inserti sulla tela a completamento – e fors’anche a rottura – dell’immagine principale, poi divenendo essa stessa, la fotografia, la protagonista. (testo di Roberta Suzzani)

INCIPIT

Francesca Manetta

Dal 03.06.2011 al 25.06.2011

 

“Melisanda, la dolce, ha smarrito la strada: / Pelleas, giglio azzurro d’un giardino imperiale, / la reca tra le braccia, come un cesto di frutta”. E’ con queste parole che Pablo Neruda narra l’incontro tra Pelleas e Melisanda nell’omonimo componimento poetico degli anni Venti. Uno scritto pieno di grazia che ispira Francesca Manetta ad una riflessione fatta di immagini fotografiche e piccoli oggetti ad esse ispirati, nella sua prima personale importante intitolata “Incipit”. Manetta crea vere e proprie installazioni site specific che portano lo spettatore nel giardino incantato in cui avvenne l’incontro tra i due personaggi, che nella sua particolare interpretazione e’ fatto di sguardi rubati e apparizioni in trasparenza, quasi a voler prefigurare il finale tragico della storia. Ma l’ “Incipit” dell’artista non e’ solo riferimento letterario, e’ anche principio della vita, e quindi infanzia. Francesca Manetta lavora recuperando oggetti che le evocano immagini del suo vissuto di bambina e da’ loro nuova vita trasformandoli in delicati assemblaggi. Crea trasparenze stranianti intorno a quei giocattoli che tutti hanno adoperato da piccoli, li scompone in nuove forme, li brucia creando inquietanti combustioni. Nella serie “In-fatuo” giocattoli e oggetti dell’infanzia (come le scarpine rosa di “Be my baby”) assumono il fascino della reliquia che porta alla mente forse momenti tragici o piu’ semplicemente la volonta’ di dare alle fiamme quello che ci lega all’infanzia per procedere verso l’eta’ adulta. La stessa sensazione di lontananza si trova nelle piccole teche di plexiglass che ospitano orsacchiotti e altri piccoli oggetti (la giostrina di “Tutti giu’ per terra”) di un passato ormai lontano, questa volta messi “sotto vetro” per poter essere conservati ma anche analizzati. Trait d’union che unisce l’intera produzione e’ ancora una volta la grazia, dote innata che Francesca Manetta trasmette con naturalezza ad ogni suo lavoro. (Testo di Elisa Bozzi)

Il mondo raccolto

Davide Corona

Dal 21.05.2011 al 25.06.2011

 

Il mondo raccolto  la nuova, importante personale di Davide Corona che, pur giovanissimo, ha gia’  saputo raccogliere attorno al suo percorso un consenso significativo sia di critica che di pubblico. Le 32 opere in mostra coprono quattro anni di lavoro e sono la dimostrazione di un’idea di arte ben radicata: la grande qualita’  di segno pittorico dialoga con la calibrata composizione della scena, in un intento di realismo che non si ferma pero’ a un mero esito mimetico, ma procede oltre, con la volonta’  di individuare il senso intimo delle cose. Per questo motivo e’ giusto interpretare Il mondo raccolto non come una collezione di singoli dipinti, ma come un unico discorso coeso. Davide Corona si ritrae in compagnia dei libri che piu’ ama, e cosi’ scopriamo il suo rapporto con artisti come Puvis de Chavannes o Hopper, poeti come Keats o Whitman, romanzieri come Salinger o Kerouac. Perche’ fa questo? Per dimostrarci come occorra sempre scavare nell’identita’ intellettuale e psicologica di chi ci sta di fronte, che la superficie delle cose va superata se si vuole arrivare a una qualche forma di conoscenza. Con questi suoi dipinti dunque Davide Corona si lascia conoscere da noi e ci invita a fare lo stesso nella vita di tutti i giorni.

Sweet Calories

Oreste Calatroni

Dal 07.05.2011 al 28.05.2011

 

Punto di partenza della ricerca fotografica di Calatroni e’ la funzione degli alimenti, una sfida al superamento dell’accezione comune del pane quotidiano, del quale ci basta conoscere il prezzo, la provenienza, la scadenza, senza mai porci un interrogativo sull’essenza. Un’educazione visiva all’alimentazione e’ la sfida di un medico con la passione della fotografia: raffigurare in modo nuovo gli alimenti per suggerire a tutti noi – consumatori senza occhi, con una fame arretrata di fretta senza sapore – i miracoli contenuti in cio’ che diamo per scontato, il privilegio di un’alimentazione consapevole. La tabella per l’alimentazione corretta si anima e ne nasce un concerto: primi piani o particolari di ortaggi, frutti, alimenti vari, utensili per la cucina. Di piu’: un solo fagiolo canta in un cesto che ne contiene molteplici e, avvicinando l’obiettivo, se ne scopriranno le peculiari venature, le sfumature di colore, l’orgoglio della forma. Non solo frutti, non banalmente ortaggi, ma ”strati” di vitalita’  pulsante, processi visibili nei colori, a testimoniare il miracolo della natura miracolosa e crudele. La cipollita’  della cipolla descritta nella poesia di Wislawa Szymborska trova nella fotografia di Oreste la sua migliore rappresentazione visiva; ci chiede di accorgerci del cuore cavernoso del peperone, rappresentando visivamente la sua essenza di partum della terra, pensando alla declinazione del verbo latino pario, generare. La fotografia di Oreste suggerisce una via all’essenza, contrapponendo allo spettro della morte che sembra invadere tutte le forme dell’arte contemporanea, l’idea che la felicita’  sia a portata di sguardo e che non si da’  perfezione senza fragilita’ .

Testo critico di Georgia Corbo

Lieve secchezza oculare

Stefania Bonatelli

Dal 09.04.2011 al 04.05.2011

 

“Lieve secchezza oculare” e’ un progetto realizzato con apparecchi fotografici di medio formato che utilizzano pellicola 120. Sono fotografie a-progettuali, sottolineano anzi la casualita’ dello sguardo e di conseguenza dello scatto. In concomitanza con la presa di possesso di una di queste macchine, la fotografa e’ stata colpita da un’infiammazione oculare che le ha per qualche settimana compromesso la vista e alterato la visione. Da quel momento lo ‘scenario’ offuscato le ha suggerito la sperimentazione: i contenuti sono risultati secondari agli esiti che potevano scaturirne, cioe’ fotografie sfocate, mosse, sdoppiate. E cosi’ a seguire nei mesi, anche a patologia risolta, ha continuato a scattare come se il disturbo fosse ancora in corso. Contrariamente al suo usuale modo di procedere, in cui segue un percorso preordinato fin nei dettagli lasciando piccoli spazi al casuale, qui gli accostamenti derivano da una estemporaneita’ che riflette in ordine non cronologico, eventi ed emozioni degli ultimi tre anni della sua vita. E’ una sorta di diario dell’anima, quasi indipendente dai luoghi in cui le fotografie sono state scattate (Croazia, Inghilterra, Colombia, Italia, Svizzera), e’ sfida e banco di prova sia del potenziale tecnico sia di quello fisico, nei loro limiti e nelle loro sconfinate possibilita’.

Sculture 1967 – 1983

Lorenzo Pepe

Dal 09.04.2011 al 04.05.2011

 

L’esposizione curata da Luigi Sansone, con circa quaranta opere, tra sculture e disegni, delinea il percorso artistico di Lorenzo Pepe, scultore milanese d’adozione che ha occupato un posto di grande rilievo nella cultura italiana e soprattutto lombarda del dopoguerra. Pepe ha sviluppato una ricerca artistica fuori dal classico accademismo e per questo ancora oggi estremamente attuale, ha abolito ogni convinzione e finzione modellando sculture che sconfiggono le tentazioni della retorica per bloccare un’idea di genesi come esito finale. Allievo di Adolfo Wildt, eredita’ dal maestro l’amore per i materiali degli inizi, stucco, bronzo e terracotta, per arrivare nell’ultimo periodo di attivita’ dagli anni ’70 a plasmare fibre vegetali, carta e cartoni, materiali poveri nobilitati dall’uso sapiente di colori accesi; proprio grazie all’elemento colore Pepe cerco’ e riusci’ a unire pittura, scultura e architettura in forme senza tempo. “Nelle espansioni, negli attorcigliamenti, nelle ferite, nei colori e nei volumi, Pepe evoca il tormento e i brividi di una ben attuale condizione umana. In un periodo di strutture concettuali e logiche della forma, riprende personalmente, sinceramente, un discorso di furori e malinconie esistenziali, una confessione romantica e allusiva. Non utilizza le sigle della moda del tempo, ma tiene fede a se stesso e’¨ questa la migliore prova della sua genuina qualita’ poetica”. (Franco Russoli, 1971 in Lorenzo Pepe sculture 1948-1984, collana all’Insegna del Pesce d’Oro di Vanni Scheiwiller, Milano, 1991). Grazie alla collaborazione con la Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi di Piacenza, alcune opere di Pepe, donate dal poeta Ferdinando Cogni, saranno esposte alla Biffi Arte.

Tracce di Unita’

Dal 16.03.2011 al 14.05.2011

 

In occasione del 150° anniversario dell’Unita’ d’Italia, l’azienda Formec Biffi S.p.a. sostiene ed organizza una serie di eventi raccolti nella manifestazione intitolata: “Tracce di Unita’ . Storia, Arte, Cultura e Tradizioni tra il PO e Lodi 1861 – 2011”. Le iniziative celebrative dei 150 anni dell’Unita’ d’Italia troveranno ospitalita’ nella splendida cornice della Corte Biffi che attraverso convegni, mostre e momenti conviviali prosegue nella sua vocazione di dimora del gusto e della cultura, confermando un ruolo riconosciuto da entrambe le sponde del grande fiume Po: Lombardia ed Emilia. Curatori del calendario degli eventi sono il Cav. Maurizio Caprara,vulcanico promotore d’iniziative culturali il quale si avvale della collaborazione dell’esperto culturale Fulvio Mengoni e l’Architetto Carlo Scagnelli che per Formec Biffi progetta eventi e manifestazioni con il coordinamento di Eugenio Russo dell’ufficio marketing della stessa societa’.

Perche’ “Tracce di Unita'” … la Genesi…

Durante il Risorgimento enorme importanza ebbero giornali quotidiani, manifesti, volantini. Ogni scritto non fa che appellarsi al popolo con l’intento di condividere gli ideali nazionali. Ma il popolo delle aree piu’ depresse della penisola e’ per la maggior parte analfabeta ed ha bisogno di intermediari per leggere questi proclami. E’ di questi contadini della bassa, coinvolti nei tumulti contro la loro volonta’, che si occupano, le manifestazioni in programma dal 16 Marzo al 14 Maggio 2011, dal titolo: “Tracce di Unita’ . Storia, Arte, Cultura e Tradizioni tra il PO e Lodi 1861 – 2011”. Carlo Pisacane, patriota e rivoluzionario partenopeo del Risorgimento, nel 1851 ne: “La guerra combattuta in Italia negli anni 1848-49” ribadiva l’idea della necessita’ di una vasta partecipazione contadina al progetto unitario e che si dovesse «far comprendere ai contadini che e’ loro interesse cambiare la vanga col fucile» ma questo non sarebbe mai avvenuto poiche’ «non vale parlare di Repubblica se il popolo sovrano muore di fame». Per questo i curatori hanno scelto come emblema di “Tracce di Unita'” l’opera “Muggito”, mirabile grafite su carta dell’artista piacentino Romano Bertuzzi. La “Scottona”, unica protagonista di un proscenio tricolore, rappresenta il mondo contadino della bassa lodigiana e bene illustra il pensiero espresso dallo storiografo veneziano Mario Isnenghi racchiuso nelle seguenti parole… «”Liberta’ ! Indipendenza!”, reclamano entusiasti gli insorti e i volontari delle varie correnti risorgimentali. “Polenta! Polenta!”, ribattono cocciuti e sordi i contadini».

Formec Biffi…

Punto di riferimento per il territorio e l’economia locale, sia Lombarda che Emiliana. Formec Biffi con il proprio stabilimento di San Rocco al Porto (LO) e’ tecnologicamente all’avanguardia nel suo settore ed opera con 23 linee di produzione. L’alta automazione e la flessibilita’ costituiscono il fattore essenziale del successo dell’azienda che, insieme alla qualita’ e la ricerca, ne fanno un’eccellenza nel solco della tradizione gastronomica italiana.

IL PROGRAMMA

MERCOLEDI 16 MARZO

– Vecchio Ospedale Soave – Codogno (LO)

Ore 18,30 Presentazione del ritratto: “Vittorio Emanuele II a Codogno” eseguito dall’artista codognese Angelo Pietrasanta, (Codogno 1834 – Milano 1876), considerato discepolo del celebre pittore veneto Francesco Hayez. Conversazioni della Dott.ssa Laura Putti storico dell’arte. Apertura dal 29 marzo al 17 aprile.

VENERDI 18 MARZO

– Auditorium dell’Istituto Tecnico Agrario – Codogno (LO)

Ore 20,30 Esibizione del Coro “Renata Tebaldi” di Parma nel: “Concerto del Risorgimento” diretto dal M° Sebastiano Rolli.

SABATO 26 MARZO

– Corte Biffi – San Rocco al Porto (LO)

Ore 18,00 Inaugurazione delle mostre: “Sant’Agnese, patrona della Corporazione dei Paratici di San Rocco al Porto” (Statua lignea policroma del secolo XVIII), “Navaroli, Giaroli e altri mestieri” in ricordo dei 150 anni dell’apertura del ponte ferroviario provvisorio sul fiume PO. Fotografie dell’archivio storico Croce di Piacenza. Conversazioni di Luigi Bersani storico ed esperto delle tradizioni locali.

Ore 19,00 Il Soprano Sherrita Duran interpreta: “Arie di Risorgimento”con il celebre brano “Va, pensiero” tratta dal Nabucco di Giuseppe Verdi e l’imper iale romanza “Nessun dorma” tratta dalla Turandot di Giacomo Puccini. Seguirà “Aperitivo Tricolore” con PeppeRed l’energy drink Italiano in Corte Biffi San Rocco al Porto (LO). Apertura dal 26 marzo al 8 aprile.

MARTEDI 29 MARZO

-Vecchio Ospedale Soave – Codogno (LO)

Ore 18,30 Presentazione del ritratto: “Vittorio Emanuele II a Codogno” eseguito dall’artista codognese Angelo Pietrasanta, (Codogno 1834 – Milano 1876), considerato discepolo del celebre pittore veneto Francesco Hayez. Conversazioni della Dott.ssa Laura Putti storico dell’arte. Apertura dal 29 marzo al 17 aprile.

SABATO 9 APRILE

– Auditorium dell’Istituto Tecnico Agrario – Codogno (LO)

Ore 10,30 Incontro sulla: “Storia dell’Agricoltura nel basso Lodigiano nella metà dell’ottocento”. Conversazioni del Prof. Natale Arioli docente dell’I.T.A. di Codogno (LO).

– Azienda Agricola dell’Istituto Tecnico Agrario – Codogno (LO)

Ore 15,30 l’artista Romano Bertuzzi si esibisce in: “Azioni vive”.

– Corte Biffi – San Rocco al Porto (LO)

Ore 18,30 l’artista Romano Bertuzzi interpreta e racconta: “Le radici della nostra storia”, seguite da un’importante video realizzato del regista Renato Bettinardi. Conversazioni del giornalista e scrittore Giorgio Betti. Arte e degustazioni in Corte Biffi San Rocco al Porto (LO). Apertura dal 9 al 25 aprile.

SABATO 16 APRILE

– Corte Biffi – San Rocco al Porto (LO)

Ore 10,30 Incontro su: “Cascine e paesaggio rurale nel basso Lodigiano nel periodo dell’Unità d’Italia”. Conversazioni dell’Architetto Giacomo Bassi esperto paesaggista. Successivamente visita e degustazione dell’Azienda Agricola Isolone di San Rocco al Porto (LO).

SABATO 14 MAGGIO

– Corte Biffi – San Rocco al Porto (LO)

Ore 10,30 Incontro dal titolo: “Milano da capitale a provincia”. Conversazioni del Prof. Marzio Dall’Acqua Presidente dell’Accademia delle Belle Arti di Parma. “Aperitivo Tricolore” in Corte Biffi San Rocco al Porto (LO).

“Tracce di Unità” è patrocinata da: Provincia di Lodi, Comune di Codogno, Comune di San Rocco Al Porto, Accademia delle Belle Arti di Parma.

Segreteria Organizzativa

CORTE BIFFI

C/O FORMEC BIFFI S.P.A.

VIA PIACENZA – SAN ROCCO AL PORTO – 26865 LODI

Tel 0377.45.40.69

E-mail info@cortebiffi.it

Web www.cortebiffi.it

Quelli di Fontana

Dal 05.03.2011 al 06.04.2011

 

La galleria Biffi Arte inaugura sabato 5 marzo alle ore 17.30 la mostra collettiva “QUELLI DI FONTANA”, a cura di Franco Fontana.

Modenese di nascita, la sua passione amatoriale per la fotografia lo trasforma in un artista cosmopolita. Dalla meta’  degli anni settanta i suoi scatti hanno conquistato ogni angolo del mondo tanto da figurare in importanti collezioni pubbliche nei piu’ prestigiosi musei di arte contemporanea internazionali. Da 18 anni dirige il Toscana Foto Festival, durante il quale si tiene il workshop “Creativita'”, a cui hanno partecipato Carlotta Bertelli, Francesca Della Toffola, Massimo Di Gennaro, Alex Mezzenga e Andrea Razzoli, protagonisti della collettiva alla galleria Biffi Arte. Lo spazio piacentino ha ospitato nel mese di maggio 2010 anche la mostra personale di Franco Fontana “Colori”.

I FOTOGRAFI IN MOSTRA (testi di Luigi Erba)

Carlotta Bertelli. Il tema della realta’ , dell’ artificiale, della verita’  e del falso sono territori fotografici e artistici, ogi indagati e testimoniati nel lavoro di Carlotta Bertelli. “Niente e’ come sembra” come diceva il Buddha e nel suo lavoro i giochi si mescolano, verita’  e menzogna, illusioni ed inganni, nascondimenti e rivelazioni, generando eleganti equivoci e cammuffamenti. Ovviamente non tutti gli enigmi si sciolgono o si evidenziano perche’ sarebbe come smascherare la creativita’  artistica e questo non e’ giusto. Il lavoro della Bertelli emerge proprio in questo contesto attraverso una realizzazione ironica in cui il presupposto e’ un circolo di confusione che fa riflettere anche sulla nostra ambigua percezione quotidiana.

Massimo De Gennaro ricorda cio’ che disse Valery che la pelle e’ la sua profondita’ , come una corteccia. E in queste cortecce? Queste epidermidi, forme di antichi ulivi, dicono proprio … sud. Tre lettere mai tanto profonde, mai tanto comprensive di un tutto. Il suo linguaggio fatto di ombre, luci, materia, ovviamente rimanda al tempo, ma anche alla storia ancestrale di una fotografia che scava come un aratro e accarezza come una mano. Quelle forme ricordano ovviamente la fatica, il lavoro, un rapporto uomo ambiente mai idilliaco … un saper aspettare, quasi un guscio della terra che si dischiuda. E il pensiero mi porta anche alle civilta’  passate che avevano nella natura il loro finito- infinito, mai uguale, mai prevedibile e alle loro intelligenze che producevano manufatti zoomorfi, antropomorfi, perche’ ogni cosa era simbiosi con cio’ che vedevano, sentivano e toccavano. Queste piante sono un totus.

Francesca della Toffola con Pelle a pelle presenta uno dei suoi lavori piu’ emblematici per spettro linguistico di significanti e significati. L’accostamento, l’impostazione a dittici comprensiva di parte o tutto dei due fotogrammi non e’ una divisione ma una fusione; un legare a creare un’immagine unica, complessa e per questo relativa. La scansione non solo grafica, the black line, come l’ha chiamata in una recente pubblicazione, segna si’ il tempo, ma anche la contemporaneita’  visiva di un complesso che mette in gioco proprio le categorie della ripresa. L’artista si fotografa in una performance, o meglio inserisce il suo corpo nell’ambiente di una villa veneta a due passi da casa. E’ un gioco finzione-ricreazione decisamente basato sull’esperienza, su una rilettura di ambienti che filtrati dalla sua memoria seguono le tracce del tempo, in uno spazio pubblico che ora diviene iconografia privata, interiore, sempre molto leggera, equilibrata.

Alex Mezzenga. Anche qui siamo di fronte ad una reinvenzione attraverso la tipologia di ripresa, della post produzione, l’utilizzo dei piani e del colore. Focus on Beirut e’ di per se’ un titolo emblematico: e’ uno sguardo attraverso, un’accentuazione circoscritta. La vicenda, il dramma non e’ tradizionalmente raccontato, solo sfiorato con la focalizzazione dei volti con una reinvenzione dei piani tradizionali. Rimane un racconto che suggerisce una presenza-evanescenza, un’umanita’  coinvolta in un divenire quasi provvisorio dove tutto solo apparentemente traspare. Ma le espressioni sono li’. Rimane il pensiero di chi osserva, di chi e’ fotografato. Il colore e’ testimonianza di un ambiente, scolpito dall’ombra e dalla storia. Un mondo in divenire, provvisorio, quasi impalpabile, ma reale. Mezzenga sposta con questo lavoro la narrazione tradizionale del reportage; non vuole angosciare, ma attraverso una visione diversa, far pensare.

Andrea Razzoli. E se le scarpe potessero parlare, raccontare forse scriverebbero una storia. Se potessero fotografare anche. Quelle di Razzoli sono infatti immagini in cui il punto di vista fotografico e’ assoluto … ad altezza di punto di scarpa, appunto. La citta’  viene cosi’ raccontata in modo insolito al di la’  di quella retorica dei luoghi a cui siamo troppo assuefatti. Attraverso l’uso totale del grandangolare e del colore parlano quelle superfici-materie, ma anche oggetti che fanno parte di un arredo urbano, vengono decontestualizzati e stanno in bilico tra realta’  e sogno una volta tanto non in modo angosciante. Griglie, tombini, superfici plastiche calpestabili hanno una loro struttura e assumono qui una identita’  espressiva quasi pensante, attraverso texture, forme, segni. Sullo sfondo la citta’ , gli edifici intravisti come diverse ed evanescenti presenze

CorpoCinque

V. Cabiati – A. Linke – M. Lombardelli- A. Martegani – L. Presicce

Dal 05.03.2011 al 02.04.2011

 

Cinque espressioni artistiche differenti, protagoniste alla galleria Biffi Arte di Piacenza. Inaugura sabato 5 marzo, alle ore 18.00 e sara’ visitabile fino al 2 aprile, la collettiva Corpo Cinque con opere degli artisti Vincenzo Cabiati, Armin Linke, Michele Lombardelli, Amedeo Martegani e Luigi Presicce. Le diverse poetiche, dalla scultura alla fotografia, si intrecciano dando vita a un’innovativa esperienza visiva che confluira’ in “Generale”, libro d’ artista di oltre 200 pagine interamente illustrato e presente in galleria.
Dopo l’esposizione alla Biffi Arte, la collaborazione dei cinque artisti proseguira’ con nuove forme, alla galleria Folini Arte Contemporanea di Chiasso (CH).

L’ULTIMA MUTAZIONE

Gianluca Groppi

Dal 05.02.2011 al 03.03.2011

 

«Si compone di immagini in bianco e nero ironicamente noir “L’ultima mutazione” di Gianluca Groppi, che raggruppa e riflette sulla produzione fotografica dell’autore negli ultimi dieci anni. Dopo gli scatti dark e inquietanti di “I”, Groppi continua a proporre una serie di personaggi straniati e stranianti, ma questa volta con un’ironia dovuta principalmente ad una maggiore maturita’ artistica e personale. Gianluca Groppi diventa regista delle sue storie, brevi racconti in cui le immagini sono collegate da coup de theatre piu’ o meno immediati. L’autore ricrea i set e fa recitare i protagonisti, che non sono semplici modelli ma veri e propri attori alle prese con vicende tragicomiche. I numerosi dittici rappresentano il formato perfetto per la narrazione di queste short stories. In “Imprinting” Groppi realizza il ritratto di una famiglia in cui i genitori indossano maschere di animali, mentre nella seconda foto la maschera e’ solamente sul viso della bambina, che riceve in questo modo la sua eredita’ genetica. La “Signorina Concassetti” e’ seduta su un como’ con i piedi nei cassetti, che diventano nella seconda immagine le sue estremita’ inferiori. “Ceci n’est pas une pipe” e’ un omaggio a Magritte, dove il soggetto dell’opera e’ un esibizionista che aprendosi l’impermeabile mostra l’insegna “Ceci n’est pas un exhibitioniste”. L’autore utilizza anche la performance, documentata sempre fotograficamente. In “Hypocrisy” nel primo autoscatto e’ presente una lunga barba, che scompare nel secondo grazie ad un intervento di rasoio, che lascia sul volto il titolo dell’opera. Groppi analizza la vita reale per approdare ad una visione surreale dell’esistenza, fatta di humor nero, in cui i personaggi risultano estremamente fragili e ambigui. Il non sense pervade l’intera produzione delle “mutazioni”, che si fanno di volta in volta critiche verso la societa’ che mette la famiglia davanti a tutto, o verso la religione, rifiutata completamente nel polittico “L’ultima cena”». (testo di Elisa Bozzi)

Misteriose Presenze

Gillo Dorfles

Dal 22.01.2011 al 26.02.2011

 

Sabato 22 gennaio 2011, alle ore 18:00, inaugura presso la Galleria Biffi Arte di Piacenza la personale di Gillo Dorfles “Misteriose Presenze”. La mostra documenta, con circa 80 opere tra pitture, disegni, sculture e grafiche l’attività pittorica di Gillo Dorfles, dagli esordi metafisici-surreali alla sua adesione al Movimento Arte Concreta nel decennio 1948-1958, fino alle sue recenti originalissime composizioni pervase da una sottile ironia come in Il giocoliere, 2006, Il fustigatore, 2007, Personaggio invaso dai triangoli, 2008, Metamorfosi, 2009, per arrivare alle ultime composizioni inedite datate 2010. L’opera pittorica e grafica di Dorfles tutta pervasa da una rara capacità di coinvolgere lo spettatore nel piacere di cercare e ritrovare in essa quel misterioso mondo interiore che e’ in ciascuno di noi. Nota biografica Gillo Dorfles (Trieste 1910) critico d’arte, estetologo, artista. Si e’ laureato a Roma in medicina e specializzato a Pavia in psichiatria. Gli esordi in pittura di Gillo Dorfles risalgono intorno al 1935 quando realizza una serie di dipinti eseguiti con la tecnica della tempera grassa all’uovo in cui e’ fortemente presente una spiritualita’ diffusa che anima paesaggi misteriosi, con vitali indefinibili presenze che aleggiano in composizioni simboliche e surreali come in Paesaggio con volto umano, 1934, 2 forme glaciali, 1935, Paesaggio iperboreo, 1935, Larve azzurre, 1937, dove forze, tensioni, entita’ vengono rivelate dalla sua sensibilita’ come elementi fondamentali di un mondo sottostante alla realta’ tangibile. Elementi questi che sono un preludio dello sviluppo delle varie forme espressive poi sviluppate da Dorfles nei decenni successivi. Nel 1948 con Munari, Soldati, e Monnet e’ tra i fondatori del Movimento Arte Concreta, un movimento d’avanguardia che reagisce polemicamente tanto ai dogmi della figurazione tanto a quelli dell’astrazione postcubista. Dorfles nell’ambito del movimento oltre che come artista esercita il ruolo di critico e teorico. I “concretisti italiani” si battevano per l’assoluta liberta’ e indipendenza dell’arte da qualunque ideologia e quindi si misero in polemica contro ogni condizionamento esteriore all’arte soprattutto con la pittura neorealista e la corrente Novecento, vittima delle strumentalizzazioni politiche. La trasposizione interiore di una realta’ esterna percepita e vissuta con artistico interesse porta Dorfles alla creazione di varie composizioni negli anni Quaranta e Cinquanta, complesse nel segno e stimolanti nell’accostamento dei colori. Si vedano a questo proposito le opere Guanto e spirale, 1940, Composizione con creste e cerchi, 1949, Composizione VII, 1949. Nel corso degli anni Cinquanta l’attivita’ pittorica di Dorfles si fa sempre piu’ libera e creativa, come egli stesso dichiara nel 1957, e “trae la sua ragion d’essere, come¨ ovvio, da un’intima necessita’ di manifestare, attraverso un mezzo espressivo…congeniale, le immagini che affiorano alla mente, in altre parole di visualizzare le piu’ urgenti espressioni consce e inconsce che mi si affaccino. Per questa ragione la mia pittura e’ sempre stata orientata secondo un modulo grafico-plastico lontano da ogni razionalita’ e da ogni costruttivismo”. Conclusa l’esperienza del MAC nel 1958, Dorfles da’ avvio ad una brillante carriera accademica quale docente di Estetica all’Universita’ Statale di Milano, Trieste e Cagliari. Agli inizi degli anni ’80 Dorfles riprende a disegnare e dipingere creando inediti personaggi, organismi anomali, indefinibili, nati da contaminazioni tra mondo umano, animale e vegetale, fluttuanti e dinamici in un perenne processo di evoluzione: una pittura libera, carica di immagini fantastiche, dove l’immagine torna nell’opera, non piu’ dalla natura esteriore ma piuttosto da quella interiore dell’artista, assumendo gli infiniti aspetti e la poesia che le relazioni delle forme suggerite dalla fantasia possono determinare.

Misteriose Presenze

Gillo Dorfles

Dal 08.01.2011 al 02.02.2011

 

La giovane fotografa Arianna Arcara, membro del collettivo fotografico Cesuralab e reduce da importanti esperienze in campo internazionale, propone la mostra Po/The River, dedicata al grande fiume. Lungo 672 km, con un bacino di oltre 70000 km quadrati, il Po e’ caratterizzato da alluvioni devastanti e da uno dei delta piu’ complessi d’Europa. Arianna Arcara da il suo particolare sguardo al fiume Po con un work in progress in continua espansione.

CESURALAB e’ un collettivo fotografico che propone progetti (foto, video e arte) online. Nel suo nome, derivato dal paese dove inizialmente era situato lo studio di Alex Majoli, direttore artistico del gruppo, e dove il collettivo stesso ha preso forma, e’ racchiuso il concept del gruppo: la volonta’  di eseguire un “taglio netto” con la staticita’  dell’attuale mondo fotografico. Inizialmente accomunati unicamente dal proposito di vivere di fotografia, e’ stata una naturale conseguenza per i suoi membri unire le forze e veicolarle in un unica direzione: la creazione di un collettivo indipendente capace di lavorare a progetti fotografici senza compromessi commerciali. CESURALAB ha la peculiarita’  di essere un gruppo in cui molte delle persone che lo compongono, oltre alla fotografia, condividono anche gran parte della loro esistenza, sottoponendosi cosi’ a un confronto quotidiano che costituisce per loro uno stimolo continuo alla crescita. Gli spazi e le attrezzature dello studio in cui il collettivo lavora permettono inoltre di essere autosufficienti dal punto di vista produttivo, cosi’ da poter seguire l’intero iter progettuale e di realizzazione dei lavori sia individuali che di gruppo. CESURALAB e’ dunque un’entita’  autonoma, che cerca di rimanere fuori dal sistema, che vuole fare la differenza. Non e’ un’organizzazione giornalistica ne’ artistica, e i suoi componenti non si sentono collocati in una specifica categoria, proprio a causa della diversita’ di stile e contenuti dei progetti. Oltre che in rete e sul mercato editoriale il gruppo presenta e diffonde i propri progetti tramite mostre, nell’ambito di festival, utilizzando differenti forme espressive come slideshow o tramite pubblicazioni autoprodotte. Last but not least, CESURALAB ospita nel suo spazio diversi workshop e masterclass, all’interno di un progetto “educational” che occupa una posizione di rilievo tra gli obiettivi del collettivo.

 

RITRATTI DEGLI ANNI ’30

Gianni Croce

Dal 11.12.2010 al 06.01.2011

 

Tagli particolari, intense luci direzionali contrastate, ombre riportate, fondali “dinamici”, effetti stranianti caratterizzano molti ritratti femminili degli anni Venti: si tratta di scelte tecniche e formali dettate dal tema e dalla funzione “pubblicitaria”. Queste immagini, “stilizzate” come quelle dei manifesti, esposte in vetrina servono a richiamare il pubblico femminile, sensibile alle nuove mode e ai nuovi indirizzi del costume impostisi dopo il conflitto bellico. Che si tratti di figure mascoline con capelli alla garconne e lunghi cappotti o di vamp sofisticate, il denominatore comune e’ il modo piu’ disinibito e libero di affrontare la vita. Agli antipodi si collocano i “ritratti d’arte”, raffinati ed estetizzanti, che procurano a Croce i primi riconoscimenti ufficiali nelle Esposizioni. L’uso di luci morbide che modellano il viso e il collo in torsione dei soggetti femminili e le atmosfere di sensualita’ sublimata risentono del retaggio simbolista e rimandano alle esperienze giovanili nell’atelier Marchi di Lodi. Alcuni ritratti dei primi anni ’30, grazie all’apparecchiatura scenografica e luminotecnica, sembrano attingere alla fonte del teatro sperimentale futurista di Prampolini e di Bragaglia: come nel teatro d’avanguardia la scena non fa da sfondo ma sembra voler esprimere in prima persona l’anima del soggetto. Nel corso degli anni Trenta la ritrattistica femminile di Croce si differenzia sempre piu’ da quella degli anni “ruggenti”: spariscono i fondali dipinti a favore di fondi scuri e si assiste ad un recupero della “femminilita'”, dell’intimismo arrendevole; le immagini ci mostrano figure calme e languide. Dopo il 1935, ecco la donna formosa, matronale, abbigliata con drappeggi classicistici e autarchici, inquadrata e illuminata in modo da esaltarne l’imponenza statuaria “novecentesca”, secondo la retorica ufficiale della “romanita'” fascista. Un discorso a parte meritano alcuni ritratti di nobildonne, a cui Croce riserva un trattamento davvero particolare: l’accentuazione luminosa della fronte e delle mani stabilisce un parallelo fra questi elementi e i gioielli, grazie ad un uso delle luci estremamente raffinato e complesso.

Il Sacro e il Profano fianco a fianco per il Natale 2010

Salvatore Cuschera -Enrico Pulsoni

Dal 11.12.2010 al 06.01.2011

 

Si inaugura l’11 dicembre 2010, ore 18.00 alla Galleria Biffi Arte di Piacenza l’esposizione natalizia 2010. Protagonisti dell’evento saranno il presepe di Enrico Pulsoni e i numerosi fischietti di Salvatore Cuschera. Opere molto diverse tra loro che condivideranno per il periodo di esposizione con una motivazione ben precisa. “Per questo Natale 2010, spiega Leda Calza, curatrice della sezione Moderna e Contemporanea della Galleria Biffi Arte di Piacenza“ volevamo una rappresentazione tra sacro e profano. Per questo abbiamo scelto il presepe sacro di Pulsoni e gli animali profani di Cuschera che però potrebbero essere quelli del presepe tradizionale. Il messaggio che vorremmo passasse e’quello della religiosita’ universale”. Il “Presepe Fiore” di Enrico Pulsoni e’ un’opera di 3 metri di diametro realizzato in terracotta bianca e terracotta rossa. E’ un presepe itinerante presentato per la prima volta a Matera nella Chiesa rupestre della Madonna delle Virtu’ nell’ambito del progetto “Presepi d’artista” di Peppino Appella. I “Galli Sciamani”di Salvatore Cuschera sono sculture zoomorfe di varie grandezze: la piu’ grande e’ alta 53 centimetri mentre la piu’ piccola ne misura 14. Realizzati in ceramica dipinta con ossidi, si discostano un po’ dall’arte di Cuschera, artista abituato a torcere le masse di ferro. In questo caso ha invece modellato l’argilla come un moderno sciamano, sollecitando nel farlo, un cromatismo tipicamente mediterraneo

DALLE LETTERE ALLE LETTERE

Giorgio Milani

Dal 27.11.2010 al 06.01.2011

 

Per la prima volta l’artista piacentino espone nella sua citta’ un’ampia selezione – circa 60 opere fra quadri e sculture – di Poetari, assemblaggi di caratteri tipografici di legno e frottage a olio su tela e una selezione di Frammenti di un discorso amoroso degli anni ’80. I Poetari che caratterizzano la produzione attuale di Giorgio Milani, poeta visivo oggettuale, sono frutto di un percorso che inizia a meta’ degli anni Sessanta e si sviluppa per l’intero ventennio successivo nello studio del rapporto tra immagine e scrittura. “Un buon poeta“ riporta lo stesso Milani citando una frase del critico Tommaso Trini“ risale di solito all’origine delle parole e dei suoni”. Con i Poetari Milani e’ risalito a monte della stampa Gutenberg e ha scovato una miniera di caratteri tipografici dai quali libera vene di poesia. “Lettere e parole da toccare oltre che da vedere“ spiega il critico d’arte Luciano Caramel“ Lettere e parole non come calco, ombra di un matrice altra, ma lettere-oggetto, parole oggetto”. Ed e’, lo si puo’ capire facilmente, un fatto veramente nuovo nella storia della scrittura visiva. “I caratteri tipografici“ aggiunge Marco Senaldi, scrittore e docente di Cinema e Arti Visive all’Universita’ di Milano Bicocca“ non vengono impiegati solo per rappresentare simbolicamente l’universo della comunicazione, ma mantengono il loro aspetto di particolarissimi artefatti artigianali. In effetti, si tratta di oggetti lignei che, nel caso dei caratteri piu’ antichi, erano lavorati interamente a mano, come delle vere e proprie sculture. Il loro reimpiego in senso artistico va oltre il classico ready-made, perche’ non si tratta di un semplice spostamento di senso, ma anche di un recupero che guarda contemporaneamente in direzione del passato e del futuro”. “Combinando le lettere, con senso e controsenso, in base al significato semiotico o alla valenza semantica, guardandone la forma, la leggerezza o la potenza grafica“ conclude Philippe Daverio,“ Milani ne fa oggetti dove la qualita’ visiva attuale lascia trasparire il mistero vasto e combinatorio del mercante fenicio, del filosofo greco, del lapicida epigrafico romano, dello stampatore umanista e del grafico da manifesto dada, tutti insieme. Lentamente, inesorabilmente si inventa un nuovo linguaggio poetico, puramente traslitterato”. Lo stesso giorno dell’inaugurazione verra’ inoltre presentato il volume “Giorgio Milani, il libro delle lettere”(288 pp. in italiano e in inglese edito da SKIRA) a cura di Philippe Daverio che spazia su tutta la produzione dell’artista.

LA LUNA NON E’ AFFATTO UN LUOGO OSPITALE

Fausto Mazza

Dal 20.11.2010 al 08.12.2010

 

In un momento in cui ci poniamo sempre piu’ interrogativi sul rapporto tra individuo, societa’ e ambiente, le fotografie di Fausto Mazza sono un invito a riflettere sui valori dell’essere umano e sul profondo rapporto che lo lega alla terra. E cosi’ l’uomo, come i soggetti fotografati, non si rende conto del suo avanzare in precario equilibrio. Corpi primordiali strisciano lungo le pareti quasi prendendo sembianze animali. A ricordare cosa eravamo o dove arriveremo? Forse una presa di coscienza puo’ permettere all’uomo di preservare quell’unico bene comune che e’ la terra, perche’ LA LUNA NON E’ AFFATTO UN LUOGO OSPITALE

INTO THE DARK

Maria Assunta Karini

Dal 30.10.2010 al 17.11.2010

 

Una girandola di personaggi ibridi e inquietanti, di donne che di umano non hanno piu’ nulla, se non la loro anima sofferente. La caratteristica peculiare di questi personaggi e’ il loro essere sospesi a meta’ tra l’umano e l’artificiale, un po’ donne, un po’ bambole, un po’ madonne, sospese tra sacro e profano. Karini utilizza nelle sue composizioni parti di modelle e real dolls di plastica (nuovo sogno erotico di molti uomini), manichini di legno e robot, madonne di gesso e bambole di porcellana, in una serie di contrasti che si fanno cupi e stridenti anche grazie alla luce che le illumina sotto forma di light box. Il prodotto finito sembra reale, una donna “perfetta” che porta su di se’ le sofferenze della Madonna delle Sette Spade, aspetto di devozione tipica dell’Italia del sud che fa riferimento a Maria Addolorata. Ogni donna creata dall’artista porta su di se’ i segni della Vergine, sotto forma di corona (“Santissima Maria”), di velo che copre il corpo quasi a formare un pagano tatuaggio (“Alma”), o per le sembianze stesse del viso (“La donna appesa al 13° piano”) … La caratteristica che accomuna questi personaggi e’ il fatto di essere stati colti appena prima o appena dopo aver compiuto un’azione determinante per le loro vite, e si trovano in una fase di straniamento. Le “orfane” di Maria Assunta Karini sono personaggi soli con se stessi, sospesi tra piu’ realta’ , realizzati con grande abilita’ dall’artista che sa essere ogni volta intensa, ironica, profonda e mai banale

CIRCA DIEM

Giovanni Calori

Dal 16.10.2010 al 03.11.2010

 

Un termine latino da il titolo a questa personale fotografica e, dallo stesso, deriva il vocabolo “circadiano”. I ritmi circadiani sono quelli che regolano da sempre i fondamentali processi fisiologici degli esseri viventi, come il battito cardiaco, la veglia e il sonno, le migrazioni stagionali, il tempo degli amori. Stimoli esterni come la luce solare e la temperatura influenzano i nostri ritmi giornalieri, settimanali, stagionali ed annuali: perche’ non dovrebbero condizionare anche il nostro modo di guardare? Piccole cose accadono ogni giorno accanto a grandi e lontani cambiamenti che nessuna immagine racconterà mai ne’ documentera’ compiutamente; ma esistono passaggi segreti da scoprire. La ricerca fotografica di Giovanni Calori ci conduce attraverso territori di confine, da sempre amati ed esplorati da questo autore (citiamo Terre Emerse, del 2005 e Acque Mobili, del 2008), dove ogni avvenimento disattende l’idea di appartenere in assoluto ad una categoria ben precisa. Assolutamente libero, lo sguardo del fotografo si fa cosi’ interprete di un variegato universo che, surrentiziamente, cerca ordine in un provvisorio accostamento di apocalittici -in senso di rivelatori- appunti visivi ed iconici. Sovrapposizioni di immagini del quotidiano accompagnano un viaggio di fotogrammi di fronte ai quali bisogna anche rimanere in attesa: perche’ (per usare le parole di Gabriele Basilico) fotografare e’ un esercizio di contemplazione, non uno sguardo veloce. Se sapremo fidarci, Giovanni Calori ci sapra’ traslare in un mondo suggestivo, dove la percezione del valore del tempo quotidiano non ha piu’ alcuna rilevanza e tutto segue altre leggi, non supreme bensi’ -all’opposto- assai piu’ essenziali ed emotive: quelle del colore, della materia, della luce. Gli elementi piu’ impalpabili del circadiano (luce ed ombra, realta’ e sogno) si fondono, plasmati da un gentile alchimismo che sa di stupore e poesia, dove all’immagine e’ riconosciuto il potere di restituire nuovo nome ed esistenza alla memoria. Combinando sapiente magia ed eleganza grafica, l’artista ci traduce la sua visione di memorie di un giorno, appoggiate a superfici e architetture arcane: nebulose, bitumi, cumuli, ruggini, rugiade, elementi transitori e mai finiti, che ci regalano quello sguardo che non avevamo e che solo un sensibile viaggiatore dell’anima puo’ dare, attraverso un tecnicismo chiamato da tutti noi, semplicemente, fotografia.

Il Battaglione Lombardo e i Futuristi a Dosso Casina

Battaglione Lombardo

Dal 09.10.2010 al 21.11.2010

 

Nel mese di maggio del 1915, nell’imminenza dell’entrata in guerra dell’Italia a Milano si forma il Battaglione Lombardo Volontari Ciclisti Automobilisti, un’unita’ para-militare comandata dal capitano Carlo Monticelli, che si proponeva di preparare alla guerra i suoi “adepti”, addestrandoli alla marcia e al tiro col fucile per poi combattere al fronte contro gli austriaci.

I primi a farne parte furono il poeta e scrittore Filippo Tommaso Marinetti, fondatore del Futurismo, Umberto Boccioni, Anselmo Bucci, Achille Funi, il giovane architetto Antonio Sant’Elia, Luigi Russolo, Ugo Piatti, Carlo Erba, Mario Sironi, tutti aderenti o simpatizzanti del movimento futurista che esaltava il dinamismo, la velocita’ , il progresso ma anche la guerra contro l’Austria e la Germania per la liberazione di Trento e Trieste.
Dopo un periodo di addestramento a Gallarate, il Battaglione Lombardo nel luglio 1915 attraversa le vie di Milano per raggiungere la zona di guerra sulla sponda orientale del Lago di Garda, nelle retrovie del fronte trentino. Dopo alcune settimane trascorse a Malcesine, a meta’ ottobre il Battaglione Lombardo si sposta nella zona del Monte Baldo e il 23 ottobre i futuristi partecipano alla battaglia decisiva per la presa di Dosso Casina, un’importante posizione nei pressi del Monte Altissimo.
Gli austriaci cedettero quasi subito e gli italiani non subirono un pesante contrattacco come altrove.
Nel dicembre 1915 il Battaglione Lombardo fu sciolto e i volontari che lo componevano furono congedati ma molti di loro si arruolarono nell’esercito regolare. Sparsi in giro per i principali fronti di guerra, alcuni di loro pagarono con la vita il loro coraggio, altri furono gravemente feriti. Tra le fila del movimento futurista si ebbero oltre dieci morti, tra cui Umberto Boccioni, Antonio Sant’Elia e Carlo Erba. Gli artisti futuristi gia’ negli anni precedenti il primo conflitto mondiale avevano organizzato in tutto il Paese dimostrazione interventiste e serate futuriste per spingere il governo ad entrare in guerra contro l’Austria e la Germania.

Questa mostra storica-artistica “Il Battaglione Lombardo e i futuristi” vuole rendere omaggio a questo particolarissimo Battaglione con una selezione di dipinti, disegni, fotografie, documenti (con numerose lettere di F. T. Marinetti, Boccioni, Bucci, Erba e lettere inedite di Sant’Elia) che ne raccontano la storia: dai dipinti e disegni di Adriana Bisi Fabbri che documentano i volontari ciclisti, con Umberto Boccioni in testa, mentre attraversano Milano salutati dalla folla, alle famose parolibere di Marinetti dedicate alla battaglia di Dosso Casina, sino ai disegni di Mario Sironi, Carlo Erba e Anselmo Bucci.
In mostra anche dipinti e disegni futuristi di Carlo Carra’ , Gino Severini, Giacomo Balla, Francesco Cangiullo e Depero. Inoltre saranno esposti bollettini, medaglie, cartoline, riviste e libri futuristi che raccontano la storia del Battaglione e l’entrata in guerra dell’Italia, nonche’ l’album in cui il cuoco del Battaglione Lombardo, Domenico Valsecchi, raccolse i ricordi di quel periodo.
L’album ora nelle Civiche Raccolte d’Arte di Milano contiene dediche, cartoline, fotografie e disegni di Mario Sironi, Umberto Boccioni, F. T. Marinetti, Anselmo Bucci, Carlo Erba, Ugo Piatti ed altri.

Le opere in mostra, circa 80 tra dipinti e disegni, provengono da collezioni private e dai seguenti musei e gallerie: Civico Museo d’Arte Moderna e Contemporanea, Milano; Museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto; Archivio Carlo Erba, Roma; Biblioteca Archivio Marinetti, Milano; Galleria Antologia, Monza, Galleria Montrasio, Monza-Milano. In occasione di questa mostra sara’ presentato al pubblico l’archivio di Ugo Piatti che include numerose fotografie inedite, lettere, documenti e medaglie riguardanti il Battaglione Lombardo dei Volontari Ciclisti Automobilisti, oltre a libri, riviste e cataloghi d’epoca che raccontano la storia del Futurismo.

Tra le curiosita’ conservate nell’archivio spicca la cassetta con gli attrezzi originali con cui Ugo Piatti e Luigi Russolo, quest’ultimo firmatario del manifesto L’Arte dei Rumori (11-3- 1913), costruirono i famosi strumenti “intonarumori” che rivoluzionarono profondamente l’estetica musicale futurista.
Questo ricco e prezioso archivio, recentemente acquisito da Biffi Arte direttamente dagli eredi di Ugo Piatti, a conclusione della mostra sara’ donato dal dott. Pietro Casella, presidente della Formec Biffi S.p.A, al nuovo Museo del Novecento all’Arengario, a Milano, che si inaugurera’ nel prossimo mese novembre.

 

U-MANI

Marco Circhirillo

Dal 13.09.2010 al 18.09.2010

 

La UEFA Champions League, la Supercoppa Europea e la FIFA Club World Cup, i trofei conquistati dai calciatori rossoneri nel 2007 decretando l’AC Milan “Club piu’ titolato al mondo”Â�, usciranno dalla Sala Coppe della sede milanista in Via Turati, a Milano, per fare tappa a Piacenza, negli spazi della centralissima Galleria BiffiArte. Un’occasione da non perdere per i tifosi milanisti e per tutti gli sportivi che potranno vedere da vicino i trofei calcistici conquistati dal Milan nel corso del 2007 La giornata rossonera della galleria si completera’ con un’esposizione di foto storiche della squadra e diversi video e audio dedicati alle 18 vittorie internazionali del Club. Per l’occasione saranno presenti, per raccogliere l’affetto dei tifosi e per firmare autografi, alcuni tra le piu’ amate Glorie milaniste: Franco Baresi, Simone Braglia, Angelo Carbone, Paolo Di Canio, Stefano Eranio, Maurizio Ganz, Daniele Massaro e Pietro Vierchowod.

La giornata, promossa da Formec-Biffi e Solvay a sostegno di Fondazione Milan, avra’ finalita’ benefiche: Fomerc-Biffi e Solvay devolveranno parte del contributo alla Onlus rossonera attualmente impegnata nel progetto di costruzione di un nuovo Centro ludico sportivo a Pagliare di Sassa, a L’Aquila. L’evento si concludera’ con un quadrangolare di calcetto al quale parteciperanno, insieme alla squadra Formec-Biffi e a due squadre di rappresentanti della GDO (la Grande Distribuzione Organizzata), anche le “Glorie” del Milan, ovviamente fuori gara. Sede del triangolare sara’ lo spazio Biffi Vita, area verde che si trova accanto alla sede della Formec-Biffi, a San Rocco al Porto, in provincia di Lodi. Al termine del torneo, relax per tutti nella Corte Biffi, lo spazio del gusto dell’azienda ospitante, dove si terranno premiazioni e buffet. La mostra: dal 13 al 19 settembre 2010 saranno esposte alla Galleria BiffiArte (via Chiapponi, Piacenza) la UEFA Champions League, la Supercoppa Europea e la FIFA Club World Cup. Completano la mostra 40 foto storiche del Milan, oltre a video e audio.

PARTITA DELLE GLORIE

Dal 13.09.2010 al 18.09.2010

 

La UEFA Champions League, la Supercoppa Europea e la FIFA Club World Cup, i trofei conquistati dai calciatori rossoneri nel 2007 decretando l’AC Milan “Club piu’ titolato al mondo”Â�, usciranno dalla Sala Coppe della sede milanista in Via Turati, a Milano, per fare tappa a Piacenza, negli spazi della centralissima Galleria BiffiArte. Un’occasione da non perdere per i tifosi milanisti e per tutti gli sportivi che potranno vedere da vicino i trofei calcistici conquistati dal Milan nel corso del 2007 La giornata rossonera della galleria si completera’ con un’esposizione di foto storiche della squadra e diversi video e audio dedicati alle 18 vittorie internazionali del Club. Per l’occasione saranno presenti, per raccogliere l’affetto dei tifosi e per firmare autografi, alcuni tra le piu’ amate Glorie milaniste: Franco Baresi, Simone Braglia, Angelo Carbone, Paolo Di Canio, Stefano Eranio, Maurizio Ganz, Daniele Massaro e Pietro Vierchowod.

La giornata, promossa da Formec-Biffi e Solvay a sostegno di Fondazione Milan, avra’ finalita’ benefiche: Fomerc-Biffi e Solvay devolveranno parte del contributo alla Onlus rossonera attualmente impegnata nel progetto di costruzione di un nuovo Centro ludico sportivo a Pagliare di Sassa, a L’Aquila. L’evento si concludera’ con un quadrangolare di calcetto al quale parteciperanno, insieme alla squadra Formec-Biffi e a due squadre di rappresentanti della GDO (la Grande Distribuzione Organizzata), anche le “Glorie” del Milan, ovviamente fuori gara. Sede del triangolare sara’ lo spazio Biffi Vita, area verde che si trova accanto alla sede della Formec-Biffi, a San Rocco al Porto, in provincia di Lodi. Al termine del torneo, relax per tutti nella Corte Biffi, lo spazio del gusto dell’azienda ospitante, dove si terranno premiazioni e buffet. La mostra: dal 13 al 19 settembre 2010 saranno esposte alla Galleria BiffiArte (via Chiapponi, Piacenza) la UEFA Champions League, la Supercoppa Europea e la FIFA Club World Cup. Completano la mostra 40 foto storiche del Milan, oltre a video e audio.

Tre tempi

Fabrizio Parachini

Dal 11.09.2010 al 02.10.2010

 

Sabato 11 settembre alle ore 18, presso la galleria Biffi Arte Moderna e Contemporanea,in via Chiapponi a Piacenza, si inaugura Tre Tempi, la mostra personale di Fabrizio Parachini.

Fabrizio Parachini, oltre che pittore non-oggettivo, e’ teorico, indagatore della percezione visiva, e curatore di mostre. Dalle prime ricerche artistiche nell’ambito neo-costruttivista e’ approdato alla realizzazione di opere minimaliste (ma sarebbe meglio dire essenzialiste) che come e’ stato precisato “non sfuggono alle sfumate implicazioni emotive e liriche di forte impatto contemplativo e di delicate declinazioni poetico-cromatiche”.
Il suo lavoro, sviluppato usando colori e forme elementari e primarie, indaga e propone un’idea di spazio inteso come entità astratta che lo spettatore, “vedente” e non passivo, costruisce nella propria mente facendo dialogare le opere pittoriche con le pareti e i luoghi che le accolgono.
Nella mostra alla Galleria Biffi Arte Moderna e Contemporanea vengono presentate tre diverse tipologie di opere maturate in altrettanti momenti operativi: in tre tempi appunto.
Al primo gruppo appartengono i Trittici, i Dittici e gli Unici, opere costituite da tavole lignee monocromate di piccole dimensioni che articolano tra di loro colori fondamentali e primitivi come ocra rossa, nero, grigi o vari toni di giallo: esse assumono, sulle pareti, il ruolo di realtà installative e di punti focali entro cui affondare lo sguardo senza perdersi.

I Reticoli devono essere visti, in proiezione, come virtuali porzioni di muro assunti al ruolo di opere grazie al minimo intervento grafico sufficiente a differenziarli dal loro contesto: segni semplici e lineari, in lievissima scansione di tono dal fondo, intessuti in una maglia a scacchiera apparentemente irregolare.
Le Fughe prospettiche e le Pagine sono opere realizzate sia su tavola, quindi stabilmente collocate a parete, che su fogli sovrapposti lasciati fluttuare liberamente: le loro superfici sono percorse da sciami di linee verticali policrome (le linee e le loro ombre in un dialogo serrato) come si trattasse della rappresentazione di uno sguardo curioso, obliquo e mobile, ma soprattutto astratto (o capace di astrarre), sulle cose del mondo.

FOTOBOOK 2010 Presentazione del catalogo

Dal 11.09.2010 al 22.09.2010

 

Sabato 11 settembre alle ore 17.30 la galleria Biffi Arte Fotografia e Video ospitera’  la presentazione del catalogo relativo al progetto FOTOBOOK 2010. 30 gli artisti coinvolti dalla galleria che hanno lavorato su cinque temi predefiniti che vanno dal macro al micro: In my world, In my land, In my town, In my house, In my hand. I fotografi, provenienti da tutta Italia, hanno sviluppato le tematiche seguendo la loro sensibilita’ , realizzando una carrellata di scatti molto diversi fra loro che hanno dato vita a numerose personali e che oggi vengono riuniti in un unico catalogo con testo critico a cura di Paolo Barbaro, responsabile delle raccolte fotografiche dello CSAC di Parma. Gli scatti di FOTOBOOK 2010 rimarranno visibili alla galleria Biffi Arte fino alla fine dell’anno e poi lasceranno il posto a nuovi autori e nuove fotografie, sempre nel rispetto del progetto iniziale, che prendeva vita da un’idea democratica di fotografia, proposta ad un prezzo popolare per favorire la diffusione delle immagini. L’idea di fotografia democratica nasce dalla volonta’  di sottrarsi alle logiche di mercato e di dare la possibilita’  a fotografi di talento di poter proporre i loro lavori abbattendo i costi di stampa e di promozione. Il catalogo “FOTOBOOK 2010″ verra’  distribuito gratuitamente nei book shop dei maggiori musei di arte contemporanea e fotografia in Italia.

I fotografi di FOTOBOOK 2010

Alice Acerbi, Alessandro Bianchini, Davide Bonando, Giovanni Calori, Cinzia Castagna, Marco Circhirillo, Michele Costa, Alberto De Rosa, Nikka Dimroci, Elena Figoli, Dido Fontana, Matteo Ghisalberti, Chiara Granata, Paola Grilli, Serena Groppelli, Marco Introini, Margherita Labbe, Simona Luchian, Francesca Manetta, Simonetta Mangione, Andrea Marini, Oliver Migliore, Alessandro Mello, Luka Moncaleano, Gloria Pasetto, Ilaria Pedercini, Fabio Pedrocca, Ornella Rovera, Arianna Tagliaferri, Claudia Valla

Paolo Barbaro

Nato a Fidenza (PR) nel 1957, dopo studi tecnici e storico artistici nel 1978 inizia a collaborare con il Centro Studi e Archivio della Comunicazione dell’Universita’ di Parma sotto la guida di A. C. Quintavalle, dove cura la Sezione Fotografia. E’ membro dal 1982 della Societa’  Europea di Storia della Fotografia. Dal 1997 al 2000 e’ docente a contratto di Storia della Fotografia all’ Universita’ di Parma. Nel 2007 e nel 2008 tiene corsi di Storia fotografica dell’Architettura Contemporanea nell’ambito dell’insegnamento di Storia dell’Architettura Contemporanea (Prof. V. Savi) presso la Facolta’  di Architettura dell’Universita’  di Ferrara. Ha ideato e curato iniziative inerenti la fotografia e l’ immagine, ha pubblicato saggi, articoli e monografie sulla fotografia e la sua storia.

LOMOWALL “blu”

Lomography

Dal 25.06.2010 al 31.07.2010

 

Il Lowowall è la somma di centinaia e centinaia di lomografie (immagini realizzate con macchine fotografiche Lomography rigorosamente analogiche, 35 mm o 120 mm) scattate in ogni angolo del globo. Da subito il Lomowall e’ stato adottato come la forma di allestimento ”principe” da Lomography. Sono stati esposti Lomowall in molti posti rinomati come ad esempio Trafalgar Square a Londra, il tempio di Ritan Park a Pechino, il MOMA di New York. Ed allo stesso modo posti meno noti come case, uffici e negozi, gallerie autorizzate o underground come la metropolitana di Mosca. Un evento di portata internazionale, quindi, che verrà ospitato fino alla fine di luglio nella vetrina della Galleria Biffi Arte a Piacenza. Lomography è ¨una global community la cui passione è la creatività”  e la sperimentazione analogica della fotografia a pellicola. Lomography significa cavalcare il momento, catturarlo al volo con il tuo strumento lomografico preferito. E’ infiltrazioni di luce, spigoli scuri sulle immagini e colori forti, saturi, brillanti, è una serie di immagini cariche di emozioni e ricche di vita. L’approccio lomografico alla fotografia, esplicitato attraverso il manifesto creativo della Lomografia, ha preso spunto dalla scoperta della Lomo Kompakt Automat ovvero la famosa Lomo LC-A nel 1991. Da quel primo modello e’ nata un’intera gamma di prodotti, non solo fotocamere, ma anche lenti, accessori, libri, borse e t-shirt. La linea guida per tutti i Lomografi è scritta nelle 10 Regole d’Oro: 1. porta la tua macchina sempre con te; 2. usala sempre, giorno e notte; 3. la lomografia non è un interferenza con la tu vita, è parte di essa; 4. non guardare nel mirino, scatta allungando il braccio; 5. avvicinati più che puoi; 6. non pensare (usa il tuo istinto); 7. sii veloce; 8. non preoccuparti in anticipo di come verrà lo scatto; 9. non preoccuparti nemmeno dopo; 10. non preoccuparti delle regole, incluse le precedenti 9. I risultati hanno lasciato a bocca aperta i ”professionisti” della fotografia che all’inizio parlavano di toy camera, vedendo solo l’aspetto ludico della cosa, salvo poi ricredersi quando sia le foto che le stesse macchine fotografiche Lomography sono state esposte nei musei di tutto il mondo. Attualmente Lomography conta oltre un milione di membri in tutto il pianeta, e questo numero continua a crescere. In concomitanza con la permanenza del Lomowall, la galleria Biffi Arte ha invitato tre giovani fotografi piacentini che da tempo utilizzano questa strumentazione ad esporre le loro immagini negli spazi sotterranei di palazzo Marazzani Visconti.

Fino alla fine di luglio saranno, quindi, visibili le lomografie realizzate da Roberto Dassoni, Serena Groppelli e Arianna Tagliaferri. Roberto Dassoni, dopo la mostra “Jenifer, Oracolo Automatico #1” del 2009 al Laboratorio delle Arti (www.jenifer.it), interamente realizzata con una Diana F , presenta una serie di 4 pannelli 30×90 cm dove le foto si sviluppano orizzontalente come una sequenza filmica. Grazie alla possibilità di alcune fotocamere Lomography di avanzare manualmente la pellicola, Dassoni impressiona paesaggi e architetture urbane e rurali (comunque soggetti statici) sovrapponedo gli scatti e utilizzando lo scanner per ricomporre i pezzi di un racconto fissato nei negativi (35mm o 120mm). Serena Groppelli, oltre a pubblicare su flickr (http://www.flickr.com/photos/canterellina) ha esposto in due collettive nella galleria “Laboratorio delle Arti” di Piacenza e partecipa al progetto “Fotobook”. Presenta “Angoli”: di strade, case, finestre, luoghi. Angoli incontrati e vissuti che nella memoria si imprimono e rimangono, vicini ma separati, come le perle di una collana, come cristalli sospesi di tempo. Arianna Tagliaferri espone “LOVE

Vibrazioni in vetro Sculture e Gioielli

Oki Izumi

Dal 22.05.2010 al 25.06.2010

 

Le opere di Oki Izumi si guardano in altri modi.
Il materiale usato e’ trasparente e incolore, si vede attraverso, in certe opere si vedono forme sinuose che in realta’ sono fatte di aria, vuoti d’aria che si percepiscono formalmente come un oggetto tridimensionale.

Oki non usa materie opache, usa una materia invisibile e fredda, usa il vetro in lastra. Compone dei plastico sguardo puo’ penetrare all’interno e, addirittura vedere anche la parte opposta, e’ un altro modo di comporre e di percepire.
Questa materia durissima, fredda e impenetrabile, permette di percepire l’esterno e l’interno di un’opera, la sua struttura, l’insieme degli elementi sempre trasparenti che la formano.
Un’opera di vetro e’ inoltre molto sensibile alla luce dell’ambiente, secondo la direzione e l’intensita’ della luce il vetro mostra suggestivi effetti di riflessione, di trasparenza, di apparizione di bagliori cromatici.

Il vetro e’ un materiale carico di grandi possibilita’ comunicative, e’ invisibile ma impenetrabile; non si e’ mai certi della sua presenza, e’ un materiale che riflette e fa riflettere.
Bruno Munari

Nata a Tokyo, Oki Izumi si e’ laureata in letteratura giapponese antica allʼUniversita’ Waseda di Tokyo, ha studiato pittura e scultura con Aiko Miyawaki, Taku Iwasaki e Yoshishige Saito. Ottenuta nel 1977 una borsa di studio per la scultura dal Governo Italiano si diploma nel 1981 allʼAccademia di Belle Arti di Brera, nel corso di scultura di Giancarlo Marchese.
Ha partecipato con sue opere e installazioni alla Biennale di Venezia nel 1985 (Progetto Venezia, Terza mostra internazionale di architettura) e nel 1986 (Arte e Biologia, XLII Biennale Internazionale di Arti Visive); alla Triennale di Milano nel 1983; nel 1992 alla Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Roma, nel 1998 con Paola Levi Montalcini e nel 2010 con Iko Itsuki allʼIstituto Giapponese di Cultura a Roma, nel 2007 una mostra antologica al museo civico di Lubiana (Slovenia).

Colori

Franco Fontana

Dal 15.05.2010 al 15.06.2010

 

Franco Fontana e’ uno dei protagonisti assoluti della fotografia italiana del dopoguerra. Egli ha “reinventato” il colore come mezzo espressivo mediante un’inedita analisi del paesaggio, sia naturale che strutturato, nella ricerca di nuovi segni, strutture, superfici cromatiche corrispondenti alla sua fantasia creativa.

La galleria Biffi Arte, nata nel novembre 2009 per volonta’ dell’azienda Biffi, fondata a Milano nel 1852, ha invitato Franco Fontana a rappresentare i suoi colori in una grande mostra che raccoglie 30 tra i suoi piu’ celebri e acclamati scatti. “Colori” e’ un evento importante per la citta’ che, dopo il festival internazionale di fotografia Fotosintesi (dal 30 aprile al 10 maggio), per un mese arricchira’ gli spazi adibiti alla fotografia nelle scuderie di Palazzo Marazzani Visconti, sede della Galleria Biffi Arte a Piacenza.

Franco Fontana e’ uno dei protagonisti assoluti della fotografia italiana del dopoguerra. Egli ha “reinventato” il colore come mezzo espressivo mediante un’inedita analisi del paesaggio, sia naturale che strutturato, nella ricerca di nuovi segni, strutture, superfici cromatiche corrispondenti alla sua fantasia creativa. Per questo i suoi paesaggi si situano al confine tra rappresentazione e astrazione: le forme naturali diventano campiture di colore sorprendenti e la veduta si trasforma in visione di spazi metafisici.

Non a caso la personale che Biffi Arte dedica a Fontana prende semplicemente il titolo da cio’ di cui lui e’ maestro di tecnica ed espressione: “COLORI”. 30 fotografie in mostra, dalle dimensioni 40×60 e 70×100 cm, lambda print, tutte in vendita a prezzi compresi fra 4000 e i 6500 euro iva.
Oltre alle stampe la galleria dedica una sezione della mostra alla proiezione di foto di nudi tratti dall’altrettanto celebre serie delle “piscine”. All’interno del suggestivo nevaio, nelle cantine del palazzo, le foto si alternano in proiezioni verticali, accompagnate da suoni in surround d’acqua e d’aria.

Infine ad accompagnare la mostra un poster in edizione limitata 100 copie dove viene riprodotta per la prima volta una foto del 1990 dal titolo “Rosso”, usata come immagine simbolo per la campagna promozionale dell’evento.
La mostra e’ organizzata dai curatori stessi di Biffi Arte, Roberto Dassoni e Giorgio Milani ed e’ patrocinata dal Comune di Piacenza.

Circumnavigazioni e Derive

Roberto Salbitani

Dal 30.04.2010 al 09.05.2010

 

Festival Internazionale di fotografia FOTOSINTESI V Edizione

Per la Galleria Biffi Arte una mostra di Roberto Salbitani.

Tutto nasce dalla sensazione che Venezia non sia distesa sulle acque ma che sprofondi dentro il limo, che fluttui instabile su quella piattaforma di fango che i piedi talvolta sanno percepire. Sopra queste sabbie mobili Venezia vive segretamente un perenne sommovimento. La sua vita e’ nei riflessi colorati dei vetri che esibiscono le vetrine ma la sua verita’  e’ nella precaria condizione che si gioca sotto, a contatto del fango. E questa e’ anche la condizione delle mie stampe fotografiche quando ondeggiano nella bacinella dello sviluppo: le immagini si formano nel fango dell’argento amorfo, cercano di attraccare e di consolidarsi ad un centro che nuota nell’equilibrio instabile. Potrebbe sembrare contraddittorio rispetto a questa sensazione l’aver dato una forma circolare a queste mie immagini. Forse lo e’, non so dire. Racchiudere dei frammenti di questo luogo agitato in forme sferiche “come fossero tante bolle sospese o acquari od oblo’ da cui spiare in segreto” mi aiuta a rispondere non tanto ad una sensazione fisica quanto ad un’idea, a qualcosa che si forma a livello del simbolo. Quando percorro Venezia – lo faccio ormai da una vita – in lungo e in largo, come all’interno di un labirinto, non la percepisco certo come qualcosa di sferico, assolutamente no. Ricorro alla forma sferica anche se comprendo che puo’ risultare una forzatura come si obbedisce a qualcosa di illogico, di irrazionale. Sto davvero circumnavigando o sono spinto ad andare alla deriva, anch’io, assieme a lei?

www.fotosintesipiacenza.it

Mozart per un giorno

Eleonora Bagarotti

Dal 24.04.2010 al 29.04.2010

 

Presentazione de Cd-video del “Concerto per arpa, flauto e orchestra in Do maggiore K 299” del grande Wolfgang Amadeus Mozart. Soliste: l’arpista Eleonora Bagarotti e la flautista Anna Chiucchiuni; all’accompagnamento orchestrale il Camermusica Ensemble. Il Cd, prodotto da Musica d’Arpa, contiene anche il video realizzato dal regista e videomaker piacentino Roberto Dassoni, “Mozart per un giorno”, effettuato durante la registrazione avvenuta nella suggestiva cornice dell’Oratorio di San Rocco a Borgonovo Valtidone, lo scorso 9 giugno. Il filmato verrà proiettato da Biffi Arte in occasione dell’evento. Ma l’appuntamento di sabato si preannuncia doppiamente importante in quanto Biffi Arte ospita anche i frottage dell’artista Giorgio Milani, “Passione ed energia”, dedicati a Mozart e utilizzati per l’art work del Cd. Opere che permetteranno di approfondire, anche attraverso le arti visive, le suggestioni e le intime pulsioni che suoni e armonie accendono con i loro stimoli sonori. Il significato del titolo suggerisce l’energia che il genio salisburghese riesce a trasmettere inesauribile ad ogni esecuzione e la passione che scaturisce come una sorgente ad ogni frase e ad ogni piccolo accento. Nel poetario – realizzato nei giorni immediatamente seguenti la registrazione del concerto – Milani ha creato una propria sinfonia di parole visibili e nascoste che si materializzano anche in due frottage di colore azzurro e rosso: i colori dell’energia e della passione. a 1791). Soliste: l’arpista Eleonora Bagarotti e la flautista Anna Chiucchiuni; all’accompagnamento orchestrale il Camermusica Ensemble. Il Cd, prodotto da Musica d’Arpa, contiene anche il video realizzato dal regista e videomaker piacentino Roberto Dassoni, “Mozart per un giorno”, effettuato durante la registrazione avvenuta nella suggestiva cornice dell’Oratorio di San Rocco a Borgonovo Valtidone, lo scorso 9 giugno. Il filmato verrà proiettato da Biffi Arte in occasione dell’evento. Ma l’appuntamento di sabato si preannuncia doppiamente importante in quanto Biffi Arte ospiterà anche i frottage dell’artista Giorgio Milani, “Passione ed energia”, dedicati a Mozart e utilizzati per l’art work del Cd. Opere che permetteranno di approfondire, anche attraverso le arti visive, le suggestioni e le intime pulsioni che suoni e armonie accendono con i loro stimoli sonori. Il significato del titolo suggerisce l’energia che il genio salisburghese riesce a trasmettere inesauribile ad ogni esecuzione e la passione che scaturisce come una sorgente ad ogni frase e ad ogni piccolo accento. Nel poetario – realizzato nei giorni immediatamente seguenti la registrazione del concerto – Milani ha creato una propria sinfonia di parole visibili e nascoste che si materializzano anche in due frottage di colore azzurro e rosso: i colori dell’energia e della passione.

OSSESSIONE CONTEMPORANEA

Dal 17.04.2010 al 30.04.2010

 

Il progetto si è sviluppato nellʼambito della tesi di laurea in storia dellʼarte contemporanea di Elisa Molinari, ricerca che analizza il manichino come simulacro umano in un percorso tra arte, moda e cinema. Il termine ossessione è inteso come ciclico ritorno che solleva costanti dubbi sul limite tra ciò che è reale e ciò che non lo è. Nellʼestetica contemporanea, segnata dal superamento dellʼopposizione oggetto vs soggetto, il manichino diventa protagonista delle arti e delle relazioni sociali come una sorta di transfert del nostro quotidiano.

Lʼinstallazione, realizzata in collaborazione con Vialegnanoquattro Vintage, nel suggestivo spazio del nevaio, ricrea un piccolo angolo irreale dove i video di Roberto Dassoni e Chiara Granata, proiettati in verticale dialogano con il termine ossessione e con la presenza dei dummies. Girati entrambi nellʼazienda La Rosa S.p.a di Palazzolo Milanese, documentano in maniera artisticamente diversa, alcune parti della nascita di quello che a tutti gli effetti si impone come sosia vivente di perfezione.

Dopotutto chi nella vita non ha assunto almeno una volta il ruolo di manichino nel proprio modo di essere e chi dallʼaltro non ha permesso a un manichino di plasmare le proprie scelte e gusti?

Sabato 17 aprile, a partire dalle 17.30, alla Galleria Biffi Arte di via Chiapponi 39 sarà proiettato il doppio video Ossessione Contemporanea di Roberto Dassoni e Chiara Granata.“Ho voluto vedere da vicino queste creature irreali che mi hanno sempre fatto soffrire e sono andato nel cuore della città proibita[…] E’ una strana visone che sa di music-hall e di sala anatomica. Allineate contro un muro sono posate delle gambe da star, a un trave del soffitto sono sospese delle braccia terminnati in mani così perfette da avere sgomento a toccarle.

Più in là una selva di teste bianche e calve: di fronte dei busti di donne ammirabili, offrono visioni di pallide gole protese. In un altro reparto i corpi quasi completi di uomini, donne, fanciulli e bimbe, formano una folla sorridente vestita soltanto di calze e scarpe.”

Lucio Ridenti (fotografo e giornalista) “Donne di cera. Nel cuore della città proibita” in L’illustrazione italiana, n.21, 26 maggio 1935.

Evento in collaborazione con LA ROSA mannequins e Vialegnanoquattro Vintage, Piacenza.

FORTHEBIRDS

Dal 10.04.2010 al 11.04.2010

 

Biffi Arte saluta e rende omaggio alla squadra di CopraAtlantide Volley con una festa dedicata alla presentazione di un video dʼarte, appositamente realizzato. Durante la serata sarà anche presentato il progetto Biffi Volley Camp di Bobbio e sarà possibile consultare e acquistare il libro di Matteo Marchetti “Un balzo fra le stelle” con foto Cavalli e Fabrizio Zani.

Sarà presente parte della squadra e della dirigenza.

Il video FORTHEBIRDS di Omar Cristalli e’ prodotto da Biffi Arte. e dedicato ai giocatori della squadra di Volley CoprAtlantide Stagione 2009/10 Dur. 6 minuti Ripreso in HD 1080p

Il video si struttura in due parti. Nella prima lʼatmosfera di concentrazione e preparazione alla gara si dilata in un rituale fatto di gesti ripetuti e sottolineati da una musica ipnotica. Nella seconda parte la partita è sezionata in inquadrature strette al punto da esculdere sia lʼavversario che la palla. Salti, muri, servizi, abbracci… è una danza sospesa tra sport e arte.

DIDOCENTRICO

Dido Fontana

Dal 27.03.2010 al 23.04.2010

 

“Mentre mi accingo a descrivere il lavoro di Dido Fontana – dico descrivere perche’ spiegare (mi) sarebbe impossibile – mi rendo conto che e’ più difficile di quanto abbia immaginato. Il suo stile e’ stato definito grezzo – gonzo – fashion e antifashion – sexy – provocatorio – diretto – sensuale… tutte parole corrette, calzanti. Ma piu’ ci penso e piu’ sono convinta che troppe parole siano superflue e anzi quasi in contraddizione con la sua poetica dell’immediato. Le sue immagini non sono il frutto estetico di un’elaborazione concettuale, non ci sfidano a trovare un significato nascosto. Le sue immagini sono tutte da guardare. Basta lasciarsi cadere dentro. Guardare le sue foto puo’ essere come andare sulle montagne russe con gli occhi chiusi, il vuoto che si crea nello stomaco la pelle d’oca che sale e a tratti ridi e a tratti hai paura della vertigine. Nato in Italia nei primi anni Settanta, Dido crebbe circondato dai lavori e dalle macchine fotografiche di sue padre, cimentandosi egli stesso nel fare arte con diversi media, leggendo i Grandi, sollevando pesi, ascoltando musica heavy -metal e hip-hop e guardando immagini di ogni tipo. Passando senza filtri dalla cultura cosiddetta alta alla cultura di strada. In questo modo continuo’ ad incrementare nella sua mente una straordinariamente eterogenica pletora di immagini, che ritroviamo nelle sue foto – che non rappresentano solamente una figura e dove non c’e’ un messaggio ma un mondo -. La sua anima e’ barocca e il suo occhio e’ dannatamente voyeuristico ma il suo stile, rozzo e sensuale, e’ puro: l’artista lavora quasi esclusivamente con pellicole 35mm e polaroid, scegliendo queste tra le numerose alternative tecnologiche del digitale perche’ interessato ad ottenere immagini che catturino i suoi soggetti in modo naturale e pulito, senza manipolazioni o abbellimenti. Dido segue personalmente la stampa fotografica (C-print chemical ), limitata ad un numero ristretto di esemplari. Dido lavora senza assistenti, senza un set, senza luci da studio, procede senza un vero progetto, seguendo cio’ che viene e nasce da se’, cio’ che sente, soprattutto cio’ che vede. Non ci sono pose, non ci sono regole: bisogna avere fiducia, lasciarsi andare. A volte ci vuole del tempo, a volte e’ immediato ma ogni soggetto trova il suo stile, il suo modo di stare in camera e Dido lo cattura”. (Dany Trentin)

Disegni 1912-1925

Primo Conti

Dal 20.03.2010 al 21.05.2010

 

Alla galleria Soleluna si inaugura la mostra sui disegni giovanili di Primo Conti gia’ esposti al Museo Cantonale di Lugano in Villa Malpensata con una esposizione dal titolo Primo Conti, Disegni per Harriet Quien, “La donna che venne dal mare”, curata da Daniela Palazzoli.
Attraverso un nucleo di opere si ripercorrono gli esordi dell’artista fiorentino, dai primi disegni di stampo espressionista per arrivare fino alla sua celebre fase futurista che egli ha vissuto perseguendo il connubio arte-vita, anche grazie all’influsso di Umberto Boccioni. Questa antologia di fogli costituisce una raccolta privata che Conti dono’ al suo grande amore giovanile, la signora Harriet Quien che incontro’ – come lui stesso narra nelle sue memorie, nel capitolo dal titolo “La donna che venne dal mare”-, sulla spiaggia di Antignano.

Love Foto Automat

Alessandro Nidi – Gianluca Zuin

Dal 13.03.2010 al 26.03.2010

 

Realizzato a Berlino nell’estate 2008, il progetto si basa sull’atto di fermare casualmente persone per strada e chiedere loro di lasciare un messaggio d’amore. Si tratta di persone di tutte le nazionalita’ che si trovavano a Berlino per studio, lavoro oppure solo per vacanza. Per realizzare queste foto Alessandro Nidi ha utilizzato vecchie macchine da fototessera prodotte nella DDR che stampano in pellicola B/N. Le foto raccolte sono una quarantina e da queste Gianluca Zuin ha realizzato dei videoclip molto espressivi, dando importanza a particolari, volti e gestualita’ che probabilmente in un insieme di foto si perdono. L’installazione avviene nello spazio della ex nevaia di palazzo Marazzani Visconti, sede della grande galleria Biffi Arte. La proiezione, studiata ad hoc per lo spazio, e’ anche accompagnata da suoni registrati a Berlino dai due artisti. Le foto, polaroid e fototessere, ricopriranno le pareti del nevaio.

BOTANIC ART

Cinzia Castagna

Dal 06.03.2010 al 24.03.2010

 

Il lavoro di Cinzia Castagna svela, attraverso l’obbiettivo della macchina fotografica, nuove prospettive alla nostra percezione .Con l’attenzione al dettaglio grafico riesce a tradurre l’immensita’ della natura e lo fa usando un bianco e nero austero o il colore in modo evanescente. Le sue foto sottolineano la forma e il design, le strutture e le sfumature geometriche, aprendo lo sguardo dello spettatore su un mondo fatto di emozioni e poeticita’. C’e’ in queste foto il desiderio di confronto fra astratto e concreto, fra fantasia e realta’ , un doppio passo fra temporale ed eterno, con un’attenzione singolare per la natura nei suoi misteri. I soggetti non sono le aristocratiche orchidee , ne’ i nobili gigli, ma i fiori di sentiero, le bacche, i germogli, le erbe selvatiche e perenni che crescono lungo le rive dei fiumi. La flora “proletaria” si svela nella sua forma piu’ attraente e l’occhio attento del fotografo rivela il suo fascino celato, la sua straordinaria unicita’ che ci porta a pensare che: “OGNI COSA CHE PUOI IMMAGINARE, LA NATURA L’HA GIA’ CREATA” (Albert Einstein)

LOVE WILL TEAR US APART

Nikka Dimroci

Dal 13.02.2010 al 04.03.2010

 

Nikka Dimroci titola il suo progetto Love Will Tear Us Apart, come tributo all’immortale brano dei Joy Division. Ed e’ gia’ un incipit carico di promesse. Un gruppo musicale post-punk attivo alla fine degli anni Settanta che deriva il proprio nome dalle prigioniere nei lager destinate all’intrattenimento sessuale degli ufficiali nazisti. Un brano che e’ il racconto desolante di un rapporto d’amore che va alla deriva, con ritmi gelidi e martellanti, che rimbombano tristemente nel vuoto, in un’atmosfera rarefatta, opprimente e disincantata. La copertina del disco, infine, dalla grafica elegante e minimalista: una cornice a filetto, il titolo, la fotografia di un monumento funebre scattata da Bernard Pierre Wolff al Cimitero di Staglieno a Genova. E’ un angelo disteso, colto in diagonale, in cui la bellezza formale di certa statuaria simbolista, algida e voluttuosa ad un tempo, da corpo al dialogo ambiguo tra Amore e Morte. Nikka Dimroci parte da qui, da tutti questi elementi, e traccia un percorso visivo in bilico tra citazione e rielaborazione, convenzione e provocazione, malinconia e ironia. Riflette sul sesso esibito e consumato senza sentimenti, sulla mercificazione dei corpi, sull’apparenza, la finzione e il denaro come simboli deteriori della societa’ contemporanea e restituisce con ossessione un campionario di tipi umani omologati dal cerimoniale erotico e destinati alla solitudine. “Come in un brutto film, i personaggi diventano caricature di se stessi”, dice la fotografa. Nikka Dimroci si inserisce nella corrente della “fotografia messa in scena”o “fotografia allestita”, un tipo di fotografia che si afferma a partire dagli anni Ottanta e che rifiuta la ripresa diretta e spontanea della realta’ preferendo la costruzione di scene con personaggi, ambienti, trucchi e costumi. “Théatres des réalitées” significativamente il titolo della mostra che ne decreta l’affermazione in Europa; i suoi esponenti di rilievo sono Cindy Sherman, Philip Lorca diCorcia, Yasumasa Moritura, David La Chapelle, Pierre et Gilles, o ancora Erwin Olaf e Bettina Rheims. Nikka Dimroci, nel suo Love Will Tear Us Apart, allestisce i set preferibilmente sul “gia’ accaduto”, quando si spengono i riflettori e i corpi rimangono a brandelli nell’incubo notturno, con il senso di vuoto e di solitudine, l’amaro in bocca, il trucco sfatto, le calze rotte, il bicchiere vuoto, i corpi abbandonati su un palcoscenico lugubre e decadente a recitare l’ultima scena, smangiati dalle ombre e inchiodati senza scampo contro un fondale rigido, muro o pavimento che sia. L’elemento unificante di tutto il lavoro e’ la scelta di una luce netta, che drammatizza la scena e rafforza la posa: la naturalita’ e’ definitivamente svanita, sembra essere il messaggio. Il linguaggio di Nikka Dimroci, in maniera molto piu’ marcata e compiaciuta che nei precedenti lavori, attinge per paradosso al repertorio stilistico della fotografia glamour e di moda: il corpo femminile come icona e performance, l’interazione dei corpi con oggetti-simbolo, l’utilizzo di colori saturi e patinati, l’impiego sapiente e contrastato delle luci, la restituzione tattile e sensuale di tutti materiali, dalle epidermidi ai broccati.

KURSK_Truth in the end

Gianni Mimmo / Angelo Contini

Dal 06.02.2010 al 07.02.2010

 

Performance e sonorizzazione live del video Kursk, Truth in the end di Gianni Mimmo, Angelo Contini, Xabier Iriondo, Elda Papa e Agua Mimmo.

Dal varo al punto di non ritorno, la tragica, epica avventura del sottomarino nucleare russo Kursk, realizzata attraverso una intensa relazione tra musica e immagine. Un dramma estetico e contemporaneo il cui story-board e’ la musica.

+ A Number of displacement: indagine multi prospettica di luoghi e non-luoghi attraverso la fotografia di Elda Papa e la musica di Two Days/Tuesdays.

SHEN TI – Corpo in movimento

Paolo Lipari

Dal 30.01.2010 al 31.01.2010

 

Shen ti mira a presentare l’attuale volto della Cina attraverso un reportage dove a parlare sono direttamente le immagini e la musica eseguita dal vivo. Il tema centrale, come suggerisce il titolo in cinese, è quello del corpo, declinato su diversi orizzonti. La Cina, di per se’, costituisce un grande corpo in trasformazione, dove i segni del passato si confondono con i presagi di un prossimo futuro. Ma e’ proprio sul corpo dei suoi stessi abitanti che si sta giocando il match, dal ritmo travolgente, tra antico e moderno, autentico e artificiale, scelto e subito, originario e derivato. Scopo del video e della musica e’ quello di intercettare i messaggi trasmessi dai corpi, dagli abitanti di una realta’ che sembra avere il profilo di un altro pianeta. Se centro di interesse e’ il mondo cinese, gli spunti di riflessioni non si fermano ad esso: la dialettica tra una dimensione umana ancora genuina e un sistema di relazioni spesso fittizio e’ tema di stretta attualita’  nel nostro stesso vissuto quotidiano.

Durata: 43min Formato: digitale Genere: reportage Anno di produzione: 2007 Regia, riprese e montaggio: Paolo Lipari Musiche originali: Francesca Badalini Esecuzione dal vivo: ensemble di F. Badalini Location: Pechino, Shanghai, Hanzhou, Qingdao, Hong Kong Produzione: Anni Luce

Tra cielo e terra

Pietro Coletta

Dal 23.01.2010 al 27.02.2010

 

Viandante solitario di latitudini artistiche e spirituali, Pietro Coletta da sempre percorre le strade della sperimentazione, incline al raggiungimento della massima espressivita’ mediante un linguaggio essenziale, spoglio ma mai povero. Le sue opere raccontano di alieni angoli di mondo, di approdi insperati e di anelli di liberta’: mentre le Barchette di carta ci invitano sulle piroghe che percorrono lente le rive del Gange, le Meteore narrano di fortunose epifanie e le Soglie divengono icastico simulacro Vernissagedi inediti passaggi onirici dal reale all’irreale, dal terreno al metafisico.

Le sculture di Coletta sono innervate di energia, quasi un’anima le sorreggesse e le attraesse all’empireo, mentre i materiali si piegano docili, sfatti al volere dell’artista. Il rame, il ferro, l’ottone, la rete metallica o i sassi di Tufo della Murgia, dimenticano la zavorra gravitazionale e abbracciano ideali di leggerezza, di una levitas che, gonfia di entusiasmo, si tende al vento.
Forse lo stesso vento ispiratore ha condotto l’artista nel 1967 a Milano, citta’ nella quale ha frequentato l’Accademia di Brera seguendo i corsi di Marino Marini, Alik Cavaliere e Lorenzo Pepe. Sono seguite importanti partecipazioni a molte delle principali rassegne espositive nazionali e internazionali dalla Quadriennale di Roma del 1975 alla Biennale di Venezia del 1982.

La peculiarita’ propria delle sue sculture, cioe’ l’insita capacita di dialogare con lo spazio che le circonda, ha comportato l’invito a prestigiose manifestazioni quali “Pittura ambienta” a Palazzo Reale di Milano nel 1979, e a significative rassegne sull’arte italiana alla Lenbachhaus di Monaco, alla Hayward Gallary di Londra, a Sidney, a Ottawa.
Nel 1987 il Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano ha ospitato una sua personale a nel 2004 ha partecipato a “Scultura italiana 1960-2004” al Parco Scultura “La Palomba” di Matera a alla Fondazione Mudima di Milano.
Nel 2005 ha esposto alla Fondazione Arnaldo Pomodoro di Milano nella mostra “La scultura italiana dal XX secolo”.
Si ricordano infine nel 2006 “Mitos — Miti e archetipi nel mare dalla conoscenza” al Museo Bizantino e Cristiano di Atena, e successivamente a Tirana, Montecarlo e Cipro; nel 2007 “Spirit into Shape — Contamporary Italian Scoulpture” presso la sede dell’Ambasciata Italiana a Washington e al Meridian International Centre, sempre di Washington.

catalogo in Galleria con testo di Luigi Sansone

SHANGHAI Cina Coloniale

Marco Introini

Dal 16.01.2010 al 27.01.2010

 

Personale fotografica a cura di Massimo Ferrari, con un testo di Federico Bucci.

Esiste un’altra Cina, non quella imperiali del Milone di Marco Polo o de L’Ultimo Imperatore di Bertolucci, non la Cina dei cantieri, della architetture del futuro; esiste una Cina che punteggia la costa del Mar Giallo, la Cina coloniale, di cui Shanghai e’ la migliore espressione. Tre parole, tre luoghi sono importanti per capire questa citta’: Old Town, Concessioni, Bund.

Il lavoro di Marco Introini ruota intorno all’idea di luogo, muove e ritorna sempre a definire l’idea di spazio costruito, la sua identità, le regole della sua costruzione.

La sua formazione di architetto sicuramente facilita questo lavoro che comunque trae ragioni da una sensibilità attenta alla forma, alle relazioni tra le parti di un unico intero, alla geometria, alla misura.

La fotografia è per lui lo strumento per conoscere la realtà, per studiare il rapporto di identità tra l’architettura, la città e la loro traduzione costruita, un lavoro selettivo, capace di attardarsi in più di uno scatto a studiare le qualità proprie di un luogo, più di uno scatto per capirne le ragioni.

Il suo modo di fotografare mette in luce a prima vista le sue intenzioni, un atteggiamento critico e severo nei confronti di una realtà costruita che spesso non vogliamo riconoscere.

Da una realtà in cui i segni sono diversi, contraddittori, accomunati dalla casualità delle intenzioni più che da un’intenzionalità di progetto, questi sono ordinati nella composizione fotografica in una logica razionale, geometrica, in un’astrazione che ci suggerisce scenari.

Nessuna menzogna nelle foto di Introini, nessuna debolezza culturale, nessuna concessione ad immagini prive delle loro ragioni.

Tutto coerente con il bianco e nero, con il taglio deciso delle immagini, con le inquadrature serrate, alle volte senz’aria (le più emozionanti), tutto coerente con la messa in scena di tutti i segni del luogo, tutto coerente con l’assenza dell’uomo.

Partire dalla realtà dei luoghi ed infine ritornare alla realtà.

Il percorso fotografico utilizza l’espediente analogico per proporre una possibile soluzione, confronti e scontri aprono l’immaginario ad un nuovo progetto che ritrova assonanze più che distorsioni, paesi e città, campagne ed edifici. Da viaggiatore gli scatti sono collezionati, strappati al loro contesto, resi generali attraverso il taglio dell’immagine ed incollati come in una sequenza cinematografica, non a descrivere ma a definire una nuova idea di luogo.

Nelle sue sequenze il film propone una nuova realtà, uno scenario possibile costruito dalle ragioni dei tanti scenari visti, l’Europa e l’Italia, le città e i paesi, il percorso è pronto a ripartire perché il viaggio non termina mai

PROMISED LAND

Francesco Paladino

Dal 02.01.2010 al 09.01.2010

 

Video inediti ed installazione di Francesco Paolo Paladino

In programma:

MOTH MASQUE

e’ la trasposizione video dell’omonimo cd del gruppo di Timothy Renner, eccentrico e visionario personaggio della scena musicale americana, fondatore del gruppo Stone Breath, Breathe Stone, Crown Crague e predicatore attraverso internet. Il cd e dvd doveva essere pubblicato dalla etichetta americana Dark Holler Records, ma una grave malattia di Timothy ha fermato il progetto. Si tratta di un video di Karini.

IOWA STORIES

documentario girato da Paladino nello stato dello Iowa e che affronta il tema della trasfigurazione. L’autore è teso a cogliere questo particolare tipologia di trasformazione nella fisiologica “sicurezza” americana. E per far ciò affronta un viaggio attraverso l ostato più conservatore degli Stati Uniti, il massimo produttore di pop-corn. Lo Iowa appunto. In compagnia della songwriter Gayla Drake Paul. Un affresco che passa da incredibili sculture in burro, a scienziati che registrano i suono dei pianeti, fino a liutai che –nel tempo libero- costruiscono mitragliatrici.

POST ATOMIC RODEO

“trance-film” che affronta ancora il tema della “trasfigurazione” e della “trascolorazione”; il regista coglie il lento ed inesorabile “sciogliersi” del mito americano del rodeo. In un anonimo stadio di Monticello (Utah), in una notte estiva, si consuma il mito della tradizione, della bandiera e della ormai precaria “sicurezza” americana. Immagini che stentano a muoversi, eredi di Hopper e di Wenders.

NOCTURNAL SESSIONS

Un musicista italiano (Alio Die), una giapponese (Chako) ed uno americano (In Gowan Ring) sono ritratti dal regista alle prese di una session notturna evocativa e creativa. La verità è che mai hanno suonato veramente insieme, ma sia le immagini che i suoni sono stati mixati tanto da celebrare quasi sheakespearamente la magìa della notte estiva. Il caldo, le visioni e la musica sono struggenti elementi di uno dei primi lunghi di Paladino. Distribuito dalla Hinc sunt Leones è stato nominato video dell’anno (2oo6) da Blow Up.

PROMISED LAND

girato nell’estate 2007 a Pasadena ed a Houston (Texas) è diventato in pochi mesi una sorta di “cult” locale, che vede la presenza in qualità di attori dei maggiori artisti della città americana; dalle TWO STAR SYMPHONY, al cantautore Chase Hamblin (il crociato) , dal bluesman Geoffrey Muller all’artista di auto-truccate Kirk Sundreath. Una riflessione sul significato “doppio” delle cose, sulla disillusione di chi ambiva a riconoscere negli U.S.A. una “terra promessa”, il tutto camuffato e shakerato attraverso uno sghembo tentativo di girare un videoservizio su di un gruppo musicale locale. Si parla di Dio e si sente nel sottofondo il bluegrass e la country music. Uno dei film più visionari e sperimentali di Paladino, qui in edizione speciale.

WINTERBIRDS HELPED THE PASSENGERS

è un progetto audio/video di Paladino con Theo Zini (Opium). E’ la leggenda (inventata dal regista) degli uccelli d’inverno che con il loro canto aiutano le anime a volare via dal corpo delle persone, vive e morte. Il volo dello spirito è filmato con emozione con una sfida difficile e visionaria. Paladino recupera vecchie pellicole di Damiano Cucchi, misconosciuto autore piacentino degli anni sessanta a cui dedica il film, e le trasforma attraverso un processo di elaborazione dell’immagine quasi materica, senza concessioni a sistemi e trucchi da computer. Alcune immagini sono state girate in Nepal in compagnia di Marco Sgorbati. S itratta di uno dei film più pittorici del regista.

DUCKS

installazione film che risale al 2000, in epoca insospettabile. Sei ore di avvenure di alcune papere di plastiche affondate insieme a tutto un cargo nel Mar Rosso e riaffiorate nei più disparati luoghi del mondo. Il tema è stato poi trattato da altri artisti in epoca recente in alcune Biennali, ma l’autore piacentino ha proposto Ducks in alcune mostre ad Amsterdam molto prima. Il video, per l’occasione, è stato elaborato in verticale dal videomaker piacentino Roberto Dassoni.

La neve, le luci, l’albero… il silenzio del Natale

Jessica Incerti Telani

Dal 23.12.2009 al 06.01.2010

 

Video performance a cura di Jessica Incerti Telani La performance si sviluppa in due luoghi differenti. Seguendo la scia del titolo infatti rappresenta al primo piano nella sala Biffi “il Natale di tutti” quello che in superficie ognuno di noi vede, con i suoi colori e le sue sfumature… Un collage formato da diverse fotografie che hanno come soggetti i luoghi o le icone caratteristiche delle citta’  del mondo. Questa illustrazione scontornata è appoggiata su un fondale grafico. Ogni particolare delle citta’  cade all’interno di uno schermo nel quale avviene un’animazione legata al Natale.

Per la stanza al piano di sotto invece, e’ prevista una scena piu’ intima e meno colorata di quella rappresentata al piano superiore, piu’ astratta. Il Natale vissuto in modo personale, la relazione diretta che puo’ avvenire tra un individuo e un evento cosi’ unico e apparentemente gioioso.

TAM TAM la vita, la morte, l’amore. Poesie inedite ed edite 1966-1993

Nello Vegezzi

Dal 22.12.2009 al 23.12.2009

 

Presentazione di una nuova e definitiva raccolta di poesie con 150 inedite. Prefazione di Andrea Cortellessa, postfazione di Franco Toscani. Presentato da Eugenio Gazzola e Gughi Vegezzi. ed. Diabasis

NIENT’ALTRO CHE DEL BIANCO CUI BADARE

Alice Acerbi

Dal 19.12.2009 al 31.12.2009

 

In una lettera alla sua famiglia datata 1878, Arthur Rimbaud descrive la strada che sta percorrendo lungo il passo del San Gottardo: “…rien que du blanc à  songer, à  toucher, à  voir, ou ne pas voire”. Non c’e’ nient’altro che bianco a cui badare, in questo caso la neve che ricopre ogni cosa. Ed e’ proprio in mezzo alla neve che si chiude il progetto fotografico di Alice Acerbi. Il lavoro di Alice inizia dal buio con una serie di scatti che rivelano la sua necessita’  di fotografare in primo luogo se stessa: “Quello che mi interessa e’ riprodurre attraverso il mio corpo un diario della mia presenza”. Per uscire dall’ombra, per rivedersi immersa in pensieri e paure, sceglie luoghi disabitati: il ciglio della strada di notte, claustrofobici ascensori, boschi dai colori autunnali, le pareti gialle dello studio in cui lavora, quelle azzurre della camera da letto. Alice si mette a nudo attraverso le sue fotografie, a volte nel vero senso della parola, si priva degli indumenti e si ritrae in momenti di necessaria solitudine. Nel tempo il lavoro perde la forma di diario e Alice diventa una sostituibile presenza nelle sue stesse immagini. Usa se stessa come modella diventando un tutt’uno con il contesto nel quale si trova, i colori prendono sempre piu’ spazio: troviamo il verde rilassante degli esterni, la luce accecante e fredda della lampada uva, fino al bianco della neve, dove la fotografa si staglia come unica macchia di colore. La strada che percorre dal buio alla luce non e’ fatta di passi successivi ma di corsi e ricorsi, di stati d’animo che vanno e vengono, di colori che ritornano a caratterizzare le scene.

La mostra

Questo portfolio ha inizio nel 2004 ed e’ a tutt’oggi aperto. Le foto in mostra non sono disposte in ordine cronologico, bensi’ cromatico. Lo spettatore segue un percorso attraverso le immagini che dall’ombra, dal buio passando attraverso i colori, rappresentazione di un preciso stato d’animo dell’autrice, lo conduce verso il bianco, come luogo mentale, di sospensione. Cosi’, anche nel video realizzato dalla fotografa, la si vede sfogliare le pagine del suo “diario di immagini” e titolarne i capitoli con i colori che compongono lo spettro cromatico, fino a giungere a “nient’altro che del bianco cui badare”, quasi inteso come pagina bianca da riempire. Alla fine del video le foto vengono tolte dal diario per poi ricomparire in mostra. Cosi’ in un circolare ritorno alla luce, il video in un’altra sala viene proiettato con il montaggio al contrario, le scritte si scompongono rivelando le pagine bianche, le fotografie rientrano nel diario, e dal bianco si torna al buio come opposto e componente stesso della luce. Le fotografie esposte sono tutte realizzate in pellicola a colori 120 mm, e scattate con un vecchia biottica Yashica. Le stampe presenti in mostra sono di vari formati: 20×20 , 30×30 e 50×50 cm sono C print e sono stampe da negativo. Quelle 100×100 cm sono stampe digitali fine art gic a pigmenti, con scansione da negativo.

FOTOBOOK 2010

Dal 12.12.2009 al 13.12.2009

 

Il progetto FOTOBOOK si pone come punto d’incontro tra la vasta offerta di fotografie digitali di autori emergenti e di qualita’ e l’altrettanto ampio mercato di chi cerca suggestioni creative per i propri ambienti ad un costo ragionevole. I 200 mq di esposizione saranno divisi tra la collezione permanente dei 30 fotografi selezionati da Roberto Dassoni ed Elisa Bozzi, curatori dello spazio, e prestigiose mostre temporanee legate alla fotografia e alla video arte. L’idea di fotografia democratica nasce dalla volonta’ di sottrarsi alle logiche di mercato e di dare la possibilita’ a fotografi di talento di poter proporre i loro lavori abbattendo i costi di stampa e di promozione. Il prezzo di vendita delle fotografie e’ unico e indipendente dall’autore, cosi’ come standard sara’ il formato di stampa.

Fotobook prevede cinque attivita’ :

– la vendita delle singole foto attraverso il catalogo permanente in galleria;

– l’uscita di un dvd video che racoglie mini monografie degli autori;

– la pubblicazione di un libro fotografico di circa 140 pagine con testi critici di livello e stampa professionale.

La Rosa e la Viola Puer Natus

Enerbia

Dal 05.12.2009 al 06.12.2009

 

Performance musicale per la presentazione dell’edizione natalizia del CD “La Rosa e la Viola”, co-prodotto da Biffi per l’Arte. “La Rosa e la Viola ” e’ un disco che raccoglie i “progetti speciali” che il gruppo ha realizzato negli ultimi due anni, progetti che intersecano mondi artistici non esclusivamente musicale come quello del cinema e dell’arte contemporanea. Contiene infatti oltre che cinque brani musicali anche tre video rispettivamente di Francesco Paladino, Alessandro Fontana e Roberto Dassoni.La copertina del CD e’ un’opera di William Xerra realizzata appositamente per questo progetto.

Alcuni brani musicali hanno una veste contemporanea che prevede l’uso dell’elettronica oltre agli strumenti acustici realizzata con Massimo Braghieri . I video a loro volta sono di tre generi diversisssimi: il corto d’autore per “Il divano” di Alessandro Fontana, il video clip per “La Santa Croce” di Francesco Paladino, il video d’arte per “Ragazzine/Jenifer” di Roberto Dassoni; e sono il frutto di attive collaborazioni con i tre registi amic

Questa EDIZIONE LIMITATA contiene anche due struggenti brani del repertorio tradizionale natalizio. Il primo “Puer natus” si ricollega al celebre brano cinquecentesco di Praetorius in una versione che accoglie anche la presenza delicata dell’arpa di Eleonora Bagarotti. Il secondo “Gesu’ Bambin l’e’ nato” e’ un ninna nanna dolcissima con l’accompagnamento della chitarra di Massimo Visalli.