STEFANO SODDU
| IL VIAGGIO DI ULISSE
A cura di Alberto Barranco di Valdivieso
8 Giugno – 30 Giugno 2019
I sogni sono vani, inspiegabili: non tutti si avverano, purtroppo per gli uomini.
Due sono le porte dei sogni intangibili: una ha battenti di corno, l’altra d’avorio:
quelli che vengono fuori dal candido avorio, avvolgono d’inganni la mente, parole vane portando;
quelli invece che stillano dal lucido corno, verità li incorona, se un mortale li vede.
Omero – Odissea XIX 560-567
L’Odissea è narrazione assoluta. Calderone furioso nel quale tutti i temi della vita e delle aspirazioni umane si rincorrono in una girandola caleidoscopica di simbologie e di passioni. Sofferenza e piacere, coraggio e terrore, speranza e delusione: il poema omerico è il luogo delle antinomie e degli estremi. Una terra fertile di icone per Stefano Soddu, scultore poliedrico che tratta il ferro come carta, la carta come pietra e la terra come lava.
Omero in-canta un mondo estremo in cui lo scultore sardo ritrova le immagini adatte per indagare l’enigma e l’avventura, in cui esprimere il suo giocoso desiderio di raccontare personaggi e vicende, lui stesso scrittore d’uomini e luoghi, senza porsi confini intellettuali e imposizioni compositive.
Ecco allora il percorso poetico, fuori dagli schemi, di questa mostra di Stefano Soddu; esperimento di sintesi e astrazione per analogie dialettiche immediate con le storie omeriche, secondo un fluire, talvolta surreale talvolta simbolico, di oggetti ricomposti e di forme sintetizzate, di polveri colate e di glifi misteriosi, di oggetti totemici che sembrano sospesi nel silenzio di una dimensione di mezzo.
Soddu, è un isolano e in questi lavori, come il guerriero lerziade, è un viaggiatore errante, preda del suo istinto curioso di riconoscere nella materia il verso della narrazione, la rotta da seguire.
L’isolanità di Soddu è spesso citata come genetica agnazione al carattere proprio della sua “terra maris”. Aggiungo che questa indole lo spinge al gusto archeologico per la materia bruciata, per quella patina di brutale vetustà che si legge nelle vestigia arcaiche dell’antica Hychnussa e che lui amplifica nei suoi lavori con l’ausilio di ruggini, saldature e acidi.
La Sardegna è l’humus ideale per crescere dentro di sé la suggestione di nuragici ed euboici misteri, della cultura millenaria di una terra attraversata dalla storia e dai miti. Ed è un facile assioma sentimentale trovare similitudini ardite con il profumo della “petrosa Itaca” di Ulisse, luogo del perdere e del ritrovare. L’artista stesso, lasciò la Sardegna per trovare a Milano il luogo dell’esperienza matura conservando ancora oggi, a distanza di anni, il richiamo sanguigno delle origini e forse il senso di un “ritorno” necessario.
Nelle sculture di Soddu emergono, attraverso l’intensità vivace delle sue intuizioni, sagome dure, aspre eppure mai pesanti, che sono senz’altro in linea con i principi della scuola dell’assemblage, da lui mutuata, con grande libertà, attraverso una colta assimilazione dell’Astrattismo. Ed ancora, specie nelle sue pitture fatte di polvere minerale, si legge una estemporaneità che trae origine nella decostruzione linguistica che Piero Manzoni e Lucio Fontana hanno “esploso” nel mondo dell’Arte del Dopoguerra, stravolgendone le categorie. Soddu è un post-dada che non cerca la coerenza del “fare arte” per confermare la sua appartenenza ad una tesi bensì cattura semplicemente il carattere dei materiali seguendo l’estro istruito dall’istinto, che gli suggerisce l’idea e su questa disegna i suoi racconti.
Soddu si diverte e gioca con il Mito. Girovago sperimentatore di forme, affronta con l’entusiasmo dell’esploratore l’epica corsa di Ulisse: un poema eterno che canta il viaggio nel viaggiatore, ovvero il navigare dentro sé stessi, dentro le proprie debolezze e paure, illusioni e bugie.
Cercarsi è perdere le coordinate conosciute, sperimentare la diversità dell’ignoto.